Cartolina da Lisbona
Ulisse e Camões
Un grande poeta, Luís de Camões, e il mito di una città che affonda le radici nella storia e, nel Cinquecento, è destinata a diventare la nuova Roma...
Dalle bancarelle dei vecchi libri di Lisbona non poteva non spuntare anche Camões. E con lui ovviamente Lisbona nei Lusíadas, il poema che fu epopea nazionale lusa (Hernani Cidade, Camões em Lisboa e Lisboa nos Lusíadas, Biblioteca de Estudos Olisponenses, Lisboa 1972). La nascita di Camões, come quella di Sant’Antonio, è naturalmente molto contesa. Lisbona la disputa a Coimbra. Che il poeta passasse quasi l’intera sua vita in questa città, tranne i lunghi anni trascorsi In India, è però cosa certa.Tangibile la traccia delle sue poesie cortesi, scritte mentre si aggirava dentro e fuori il Paço da Ribeira, l’antico palazzo reale, poi crollato nel terremoto del 1755. Tra i modelli di queste poesie i nostri Petraca, Sannazzaro e Virgilio. C’è bisogno, al nome Sannazzaro, di ricordare nuovamente Napoli?
Camões fu uno dei principali artefici del mito di Lisbona fondata da Ulisse.
La cosa è dubbia, dato che la fonte dell’ipotesi è Strabone. Ma pare che il geografo parlasse di una città che sorgeva sulle sponde del Mediterraneo. C’è da dire però che Plutarco accenna ad un misterioso ultimo viaggio di Ulisse (forse che alla fine si stancò anche di Itaca e di Penelope?) da Itaca fin oltre le Colonne d’Ercole. Testimonianze a favore, quelle di Isidoro di Siviglia, del crociato Osberno (protagonista dell’assedio di Lisbona del 1147), e poi dei dotti Gaspar Estaço, Damião de Góis e André de Resende. Infine vi sono gli estremamente ambivalenti versi, come al solito affermanti e neganti, di Pessoa in Mensagem: «O mito è o nada que è tudo….». E questi versi sono più che una condanna dell’ipotesi.
Insieme alla già menzionata (in altri miei reportages) evidente natura non greca di Lisbona.
Ma insomma è chiaro che nei tempi in cui il mito fu forgiato, esso servì allo scopo di elevare Lisbona anche per via della storia remota all’altezza di un destino creatore che essa stessa si era fatto con le sue mani. Ed è anche chiaro ciò da solo la equiparava alle virtù degli Elleni.
Ma comunque Camões da Lisbona se ne dovette andare. E di certo non senza rammarico. Era a «cidade da prata», la città dell’argento. La sua Rua Nova (oggi Rua Aurea a Baixa) rigurgitava di eleganze e preziosità da tutto il mondo. I magazzini intorno all’attauale Cais do Sodrè rigurgitavano di merci. E grazie a questa ricchezza la città aveva ormai oltrepassato le antiche mura medievali e si era espansa sulle colline, assumendo le stesse proporzioni di oggi.
In questa città inquieta e vogliosa si svolse la vita bohème di Camões. Che poi, per il suo ferimento in duello di un fidalgo di corte, gli costò la prigione e l’avversione del re. Come raccontato dalla nostra Teresa Jorge Ferreira (Passeios líterarios), pare che egli stesso abbia scritto che se non fosse andato via da Lisbona si sarebbe perso. Chissà che non sarebbe diventato come il nostro Caravaggio, cioè un delinquente e grassatore.
In ogni caso pare anche che, nonostante le sue poesie cortesi, egli fosse decisamente un uomo della carne e non dello spirito. Per constatarlo basta del resto leggersi le sue descrizioni sensuali della Ilha dos amores nei Lusíadas. E così da lontano egli narra epicamente dell’assedio di Lisbona. Inizia così il mito della forza militare lusa : ‒ «…à força portuguesa». La Lisbona saracena non può resisterle : ‒ «…à força dura / da gente cuja fama tanto voa». Erano gli stessi Goti che infine avevano piegato Roma.
E così nasce la capitale. E subito l’Oceano tenebroso che le sta davanti entra in concorrenza con il Mediterrano e con il Nilo. Spaventoso mare, ma promessa di incalcolabile dilatazione. Lisbona diviene un immenso molo. Come un tempo la sicula Panormos. Inizia la febbre dei Descobrimentos. E Camões vi prende parte personalmente. Descrive le navi nel porto proprio come navi greche. Gagliarde e piene di soldati coperti di ferro. Descrive gli addii : «Partimos-nos». Le vecchie madri che piangevano i figli come già morti. Ed un misterioso vecchio che già malediceva la cupidigia e la vanità che armavano le navi ed accendevano la febbre nei cuori. Cupidigia di spezie e di oro. Era la vecchia Europa medievale che parlava. Già sapeva che quello era l’inizio della fine. Da ora in poi il capitalismo non avrebbe avuto più né limiti né confini. E poi tutte le sue riproduzioni di circostanze e deità greche nel corso del viaggio di Vasco da Gama fino in India. Infine, come sempre, il ritorno a Lisbona. Ormai «nova Roma». Roma di certo ancora più cristiana di quella dei papi. Il suo compito infatti quello di creare un «Império Universal de Cristo». L’impero del globo.
Non molto tempo dopo, nella seconda metà del ‘500 l’Infante Dom Sebastião avrebbe consumato, proprio in questo ossessivo delirio, la sua intera giovane vita, dissipando così anche tutte le forze dello stesso intero Portogallo. Mai più il paese si sarebbe ripreso dallo smacco di Alcacerquivir. E subito dopo cadde per molto tempo sotto il dominio dell’odiato castelhano. Ma intanto era il mito del Quinto Império, poi ripreso anche da Pessoa in Mensagem. E su questa stessa falsariga si mosse Padre Vieira, il gesuita che avrebbe impiantato tra Brasile, Paraguay ed Argentina un’autentica teocrazia democratica ed indiana. Esperimento unico nella storia, ma represso nel sangue proprio da chi invece in America non voleva altro che arricchirsi succhiando la ricchezza ed il sangue indiano.
Lunghe, lunghissime prospettive, partono da questa città. Sogni ed ancora sogni. Il Camões di Lisbona lo testimonia.