“Gin Tonic”, un racconto di formazione /1
Premonizione
«Dal giorno che aveva visto madre e figlio insieme ridere con quelle stesse bocche aperte guardandosi negli occhi, capì che quella era una relazione irripetibile. Il suo ruolo era solo quello di intrufolarsi fra i due senza farsi accorgere, sulla punta dei piedi...»
Decisero di sposarsi quando avevano tutti e due ventun’anni. Lui era meccanico, più per la passione delle auto che gli facevano sognare lunghi viaggi da solo senza meta, che per quella dei motori. Appreso quel mestiere distrattamente, un giorno disse in famiglia che non avrebbe continuato gli studi. Il padre non aveva nascosto la sua disapprovazione, ma alla fine si era arreso. Non che aspirasse a vette impossibili: si aspettava che arrivasse almeno a un diploma nella speranza di ottenere un posto come impiegato comunale. Non riusciva neanche a pensare di vederlo laureato. La madre invece tenne per sé il dolore per quel gesto di rinuncia, convinta che le sue capacità in quel modo andavano sprecate. Con il tempo, però, crebbe in lei la convinzione, che non confessò mai a nessuno, e che forse lei stessa non trovava del tutto giustificata, che quella fosse una buona soluzione. Si sarebbe messo in proprio con un’officina e sarebbe rimasto vicino a loro, o meglio a lei, che avrebbe potuto così continuare a dargli tutta la protezione di cui aveva bisogno. Se poi non si fosse reso indipendente nel giro di qualche anno, poco male, loro gli avrebbero garantito un sostegno tanto modesto quanto dignitoso finché fosse stato necessario. Il timore che anche questo figlio li avrebbe prima o poi lasciati nasceva dall’esperienza degli altri due più grandi, che se ne erano già andati alla ricerca di un posto di lavoro stabile al Nord piuttosto che buttare via il tempo con amici vagabondando per le stradine grigie, tortuose e strette del paese. L’unica figlia si era sposata molto giovane appena l’anno prima e, seguendo il marito lungo un flusso migratorio, si trovava all’estero. Il padre era rimasto deluso da quella partenza, ma si rendeva conto che una moglie deve seguire, appunto, il marito. Colpa di quella cittadina testarda arroccata su un monte, dimenticata da tutti, che non sapeva trattenere i giovani.
Questo figlio somigliava molto al padre nell’aspetto, e infatti era alto, con uno sguardo scuro e profondo e una fossetta sul mento; con una testa piena di capelli castani e un viso rettangolare. Allo stesso tempo era molto simile alla madre. Alcuni atteggiamenti del viso, quelli corrucciati o sorpresi, per cui bastava cambiare l’orientamento delle sopracciglia, magari facendogli diventare il viso asimmetrico; uno spostamento laterale della testa appena accennato per sottolineare l’attenzione verso la persona che si trovava di fronte; o il sorriso aperto che mostrava senza paura i denti bianchi, facevano dire agli altri che loro due non potevano che essere madre e figlio. Una trasmissione di espressioni iniziata a pochi minuti dalla nascita e durante la sua infanzia, in una età in cui gli era sembrato del tutto naturale ripetere i sottili movimenti del viso della donna che aveva poi mantenuti e fatti propri inconsapevolmente, come segni di una relazione intensa, desiderata, magari proibita, che non poteva essere manifestata diversamente. Se non posso essere con te, cerco di essere come te. Che queste somiglianze fossero così visibili indicava anche che la madre aveva trascorso molto tempo a guardarlo negli occhi, uguali a quelli del marito, cercando di appropriarsi di ciò che le era ignoto del suo uomo, del suo passato, così che, attraverso il figlio, potesse amarlo ancora di più ed essere riamata. Rimaneva a osservare senza stancarsi e senza parlare il bambino che cresceva; quando accadeva che risvegliandosi al mattino lui sentisse su di sé lo sguardo attento della madre, le sorrideva di rimando e voleva essere preso in braccio. Lui le stringeva il collo e poi, con il passare degli anni, le gambe, affondando la sua testa alla giunzione e dandole un inconfessabile piacere; crescendo le circondava la vita, le spalle fino a chinarsi su di lei per baciarle la testa. In quei momenti tra i due si stabiliva uno scambio di messaggi che seguiva linee incomprensibili agli altri, escludendo ogni forma verbale di comunicazione.
Per tutto questo groviglio di sentimenti, l’annuncio dell’intenzione di sposarsi la trovò tanto impreparata quanto incapace di esprimere quello che provava. Rimase sorpresa per non aver capito che quel momento sarebbe arrivato e le sembrava ancora tanto presto. Le sue motivazioni esplicite riguardavano la giovane età e il lavoro che stentava a prendere piede, soprattutto a causa della sua pigrizia, da lei giustificata comunque come un aspetto dell’insoddisfazione del figlio, ma che nel padre stimolava continui interventi e qualche rimprovero. Segretamente lei tentava di proteggere quello stato di cose perché vi vedeva un’occasione per trattenere il ragazzo in casa. Così quando lui si presentò dando ufficialmente la notizia, la donna, già informata da canali sotterranei, chiese subito se esistessero delle ragioni importanti per quella decisione; con discrezione cercò di sondare se le loro effusioni non si fossero spinte troppo avanti e in modo irreparabile, tanto da rendere indispensabile un matrimonio. Alla risposta negativa, lei avvertì un grande sollievo perché restava ancora qualche speranza di far rimandare o di annullare quel proposito, anche perché poteva indicare che il figlio non aveva ancora avuto a che fare con una donna, un’altra donna. Cercò di convincerlo a desistere, visto che, nel complesso, lui sembrava ancora abbastanza incerto, ma sapeva di non poter essere troppo pressante. In fin dei conti tutto rientrava nell’ordine naturale delle cose.
La fidanzata era una tipa piccola e tenace con un’espressione sveglia, grandi occhi attenti e i capelli corti bruni, che aveva raggiunto facilmente il diploma e già da due anni lavorava in una città a venti chilometri di distanza. Ogni mattina si alzava alle cinque per prendere servizio alle sette. Tornava a casa, sbrigava commissioni, aiutava per la cena, quando i fratelli maggiori tornavano dalla campagna e assisteva i più piccoli negli studi. La sua era una famiglia dove la soddisfazione dei bisogni essenziali era l’unica necessità quotidiana e non vi era molto posto per superflue manifestazioni di affetto. Nel poco tempo tutto per sé frequentava alcuni amici e quando finalmente incontrò quel ragazzo sensibile e diverso dal solito, che conosceva da anni ma con cui non le era mai accaduto di rimanere a parlare a lungo, non le fu difficile pensare che si trattava di amore. Anche lui stava bene con lei; gli sembrava che lei fosse energica e seria, che comunicasse sicurezza e non fosse, come le altre, soltanto preoccupata dei vestiti. Non sapeva dire se ne fosse innamorato, ma non era sicuro di capire cosa significasse esserlo. Con grande imbarazzo lo aveva chiesto alla madre, prendendo spunto da un film romantico visto in televisione durante la cena. Lei aveva risposto evasivamente dicendo che si trattava di qualcosa che cresceva dentro e che non poteva essere scambiato per nient’altro. A una richiesta di maggiore dettagli, aveva descritto uno stato d’animo per cui si stava tanto bene con una persona da far venire la voglia di passare molto tempo insieme, di confidarsi, di condividere sia i momenti belli che altri tristi. Era esattamente quanto provava lui per la ragazza. Tanto che quando parlarono della data delle nozze, lui si trovò a corto di argomenti per rimandarle. Il matrimonio gli sembrava prematuro ma come unica giustificazione rimaneva quella del suo lavoro che non dava segni di stabilità. Lei lo rassicurò prontamente dicendogli che all’inizio il suo stipendio sarebbe stato sufficiente per tutti e due; avevano a disposizione una casetta e si poteva rimandare l’arrivo dei figli. Il ragazzo si trovò a ricorrere proprio a questi argomenti con la madre quando questa gli manifestò le stesse perplessità che lui a sua volta aveva espresso alla fidanzata, ma approvando in cuor suo la decisione nonostante le voci che parlavano di un passato chiacchierato della ragazza. Il padre, ritenendo che il matrimonio in quel momento poteva essere lo stimolo giusto per far provare al figlio il senso della responsabilità e fargli finalmente mettere la testa a partito, si inserì in questa discussione e diede il suo parere positivo.
Nella famiglia della ragazza l’opposizione alle nozze era senza mezzi termini. Lo consideravano un fannullone, uno di quelli che non sarebbe mai arrivato da nessuna parte. I tempi, però, non erano più quelli di una volta e genitori efratelli maggiori non potevano ostacolare il matrimonio di una giovane donna indipendente economicamente e che, in caso di netto contrasto, dato il suo temperamento, li avrebbe messi di fronte a scelte difficili. La loro protesta si scontrò contro quel muro che la ragazza si era costruita attorno per difendere la sua posizione. Si giunse alla data fatidica. Sui gradini della chiesa, sotto il sole, c’erano due giovani, belli, raggianti, con delle gote rosse un po’ per l’emozione un po’ per il gran vento freddo che scendeva giù dalla montagna. Fecero pochi passi fino al centro della piazza dove vennero scattate molte foto vicini alla fontana di pietra al centro, troppo grande per quel piccolo spazio tra la sacra casa di Dio e il civile municipio. Durante il pranzo, il neosposo, tra la madre alla sua destra e la moglie alla sinistra, promise solennemente di iniziare a lavorare seriamente al ritorno dalla luna di miele. Le foto di quelle città del Nord li mostravano al massimo della felicità e riuscirono ad attenuare i cattivi presagi che le famiglie in parte avevano formulato e in parte tenuti nascosti, tanto da pensare che quegli scenari foschi indicassero soltanto un dispiacere di vedere allontanarsi, sebbene nel modo più naturale possibile, dei figli tanto giovani quanto cari.
Gli sposi presero possesso della loro casetta. Lei continuava la sua vita di sempre con la sveglia precoce che la costringeva ad abbandonare il calore del letto e l’odore di quell’uomo che la teneva abbracciata per quasi tutta la notte. Lui cominciò a organizzare il suo lavoro, ma non era costretto a una levata altrettanto impegnativa. Spesso, quando sapeva che il padre era fuori al lavoro, andava dalla madre per lamentarsi della sua scarsa resistenza, provando finalmente il piacere di dare spazio a quanto sentiva dentro. Lei lo invitava in inverno a rimanere a scaldarsi di fronte al caminetto, preparandogli una tazza di caffelatte, e in estate a sedersi al fresco sotto il portico bevendo con lui una spremuta di limone con zucchero e ghiaccio. La moglie capiva che il marito aveva bisogno di essere stimolato ma che, essendo stato molto viziato, non poteva aspettarsi cambiamenti repentini. Anzi, dal giorno che aveva visto madre e figlio insieme ridere con quelle stesse bocche aperte guardandosi negli occhi, capì che quella era una relazione irripetibile. Il suo ruolo era solo quello di intrufolarsi fra i due senza farsi accorgere, sulla punta dei piedi in modo che a lui non mancassero le cure materne. Per mantenerle, prima di uscire gli apparecchiava nei giorni feriali una colazione che doveva essere soltanto riscaldata, mentre in quelli di festa gliela portava a letto insieme al giornale, quando lui apriva gli occhi qualche ora dopo di lei. Questa consuetudine del risveglio ben oltre il consentito non la disturbava e comunque poteva essere compatibile con quel suo scarso lavoro che non esigeva un orario rigido.
Dopo tre anni, essendo la situazione migliorata in modo appena percettibile, cominciò a lamentarsene sporadicamente, fece qualche viso lungo, ma senza che lui sentisse l’obbligo di modificare sostanzialmente le sue abitudini. Un po’ aveva paura che lui si infastidisse troppo e potesse lasciarla: lo amava ancora e non era di sicuro pronta ad ammettere una sconfitta. Certamente non le piaceva che la piccola casa fosse aperta agli amici di lui a qualsiasi ora, anche notturna, considerando le sue alzatacce. Provava a chiedere di fare poco rumore, perlomeno. La preghiera veniva esaudita per i primi dieci minuti, poi tutto ricominciava come prima, senza cattiveria, ma con la naturalezza di giovani, spesso disoccupati, che si incontrano a bere birra e a parlare insieme del più e del meno. Un modo per ammortizzare le difficoltà. Non poteva non essere comprensiva lei, che talvolta si sentiva in colpa per avere un lavoro fra tanti uomini che non l’avevano. Lui, durante le visite quotidiane alla madre, ogni tanto faceva presente l’insoddisfazione della consorte, un fatto che non era mai capitato ai suoi genitori dove la madre difficilmente avrebbe detto qualcosa a quel padre responsabile e dal comportamento irreprensibile sia in famiglia sia al lavoro. Trovava conforto nelle risposte della donna che attribuiva molta importanza alla stanchezza della moglie, ma anche alla modernità di questi tempi che vedevano le donne troppo libere di esprimersi, mentre non coglieva il riferimento piuttosto esplicito alla sua scarsa applicazione al lavoro. La donna consigliava di avere pazienza ma, a dire il vero, era molto contenta della confidenza che il figlio le concedeva e capiva che quelle difficoltà nel suo matrimonio avevano impedito un distacco vero e proprio da lei, anzi probabilmente favorivano una loro ritrovata intimità. Allo stesso tempo sperava che tra i due non sorgessero screzi irreparabili perché non avrebbe sostenuto la vergogna. In paese già si mormorava abbastanza per il fatto che la coppia non avesse ancora figli; la separazione avrebbe alimentato voci insostenibili.
Al settimo anno le liti erano frequenti; il lavoro era avanzato molto poco; non che non fosse bravo, ma era così lento nelle consegne che i clienti lo abbandonavano, anche a malincuore. Continuava a dipendere dalla moglie; figli, fortunatamente, non se ne erano visti. Lei stava male e attribuiva il suo stato a lui, senza abbandonare la speranza di vederlo più autonomo, se soltanto lui avesse dato inizio a un cambiamento, se avesse perlomeno lasciato intendere di voler tentare, così come si augurava lei, anche se questo naturalmente non lo aggiungeva mai, certa com’era che fosse la sola strada ragionevole da seguire. Lui non si opponeva, ma neanche si impegnava davvero a prendersi qualche responsabilità in più; aveva provato a ritoccare alcuni suoi comportamenti ma controvoglia, tutto in fondo gli sembrava soddisfacente e, magari con il tempo le cose sarebbero persino migliorate. La moglie, via via più stanca, era riuscita a ottenere poco, ma neanche di fronte al patibolo avrebbe riconosciuto di essersi sbagliata su di lui; aveva visto delle possibilità e non poteva accettare di aver fallito clamorosamente. Né poteva dire a nessuno, e tanto meno a se stessa, che i suoi famigliari che comunque avevano sempre sostenuto le sue idee e anzi, per non farla disperare, continuavano a incoraggiarla, avevano avuto ragione fin dall’inizio. L’intreccio delle comunicazioni portava a mantenere la situazione esattamente così com’era. Aveva un bel da fare a spiegare i motivi che spingevano lui ad andare all’estero a trovare degli amici durante il mese di ferie, mentre lei rimaneva a sistemare le piccole questioni della casa trascurate nel resto dell’anno. Accennava a tutti con vaghezza, tranne alla suocera che sapeva la verità ma non l’avrebbe raccontata, che il marito era fuori per qualche lavoro stagionale mentre, come prevedibile, provvedesse lei alle spese quasi integralmente. Fra le due donne si stabilì una complicità impensabile negli anni precedenti, quando un certo grado di ostilità era abituale nei loro rapporti. La nuora attribuiva la pigrizia del marito alle eccessive premure dell’altra che, a sua volta, non poteva reprimere del tutto quel sentimento di separazione di cui la incolpava, forse inconsapevolmente. Invece, proprio la protezione di quell’individuo fragile e sbagliato per quel paese di montagna le portò ad allearsi insegnando alla donna a pensare come fa una madre.
(continua)