La storia e la sfida Cile-Argentina
Lo stadio di Pinochet
Lo stadio dove si è giocata la finale di Coppa America di calcio è quello dove Pinochet torturò quarantamila cileni negli anni Settanta: chissà se qualcuno lo ha ricordato a Messi & Co...
Chissà se qualcuno lo ha ricordato a Lionel Messi, il calciatore più forte dei tempi moderni: tu hai giocato in uno stadio che, 42 anni fa, fu utilizzato dal generale golpista Augusto Pinochet come campo di concentramento. La finale di Coppa America vinta dal Cile sull’Argentina è andata in scena all’Estadio Nacional Victor Jara. Già il nome dice molto: Victor Jara, cantautore, fu una delle vittime ammazzate in quest’impianto, costruito nel 1938 e dove nel 1955 si disputò tra Cile e Argentina l’ultimo atto della Coppa America. Allora vinse 1-0 la Celeste.
«Un popolo senza memoria è un popolo senza futuro». Questa frase, riportata in un cartello, domina l’entrata 8, conservata come era 42 anni fa. Lo stadio è stato ristrutturato, ma questo settore è stato mantenuto come memoriale della tragedia. Attraverso l’ingresso 8 i detenuti – il loro numero è imprecisato, qualcuno dice 12 mila, altre stime arrivano a 40 mila – cercavano infatti di comunicare con i parenti. Questo pezzo di stadio è come allora. Ha i colori, ma lo vedi in bianco e nero, come le foto dell’epoca, in cui sono immortalati i prigionieri ammassati in curva e i soldati con il fucile in mano. Qui, nel maggiore campo di concentramento della storia dell’America Latina, venne praticata la tortura e furono eseguite le condanne a morte. Le vittime ufficiali furono 41.
L’inferno durò due mesi, poi la giunta militare fu costretta a trasferire i prigionieri altrove, perché in questo stadio si giocò la gara fantasma che permise al Cile di qualificarsi per il mondiale tedesco del 1974. Cile e Urss dovettero infatti affrontare lo spareggio intercontinentale per assegnare l’ultimo posto disponibile per Germania 1974. All’andata, a Mosca, finì 0-0. L’Urss rifiutò di giocare il ritorno in un impianto che era stato utilizzato come lager. La Fifa ordinò ugualmente al Cile di scendere in campo. L’arbitro fischiò l’inizio e il capitano della Roja, Munoz, segnò a porta vuota il gol che qualificò la sua nazionale al mondiale tedesco.
Nel 1987, l’anno in cui nacque Messi, Giovanni Paolo II° in questo stadio celebrò una messa. Nel 1990, si festeggiò l’elezione del primo presidente del Cile post-dittatura, il democristiano Patricio Aylwin. Ma la vera festa fu quella per salutare Carlos Caszely, l’ex attaccante della nazionale, passato alla storia per aver rifiutato di stringere la mano a Pinochet. La madre era stata torturata dal regime golpista. Lui stesso, benché in piena attività negli anni Settanta – il 5 luglio ne compie 65 -, era un sostenitore di Allende. Caszely abbassò la mano quando si ritrovò di fronte Pinochet. Il regime lo risparmiò, ma dopo il mondiale del 1974, Caszely fu allontanato dalla nazionale.