Roberto Mussapi
Every beat of my heart, la poesia

L’Italia di Shelley

Così nei versi del poeta che ha come biglietti da visita l’Allodola e il Vento Occidentale quello che all’occhio sembra un paesaggio si tramuta in un mondo…

Shelley scrisse forse una delle più originali opere poetiche d’Occidente, in relazione al cielo, un vero e proprio poema in forma di trilogia del volo. Se prendessimo sue composizioni come elementi di un trittico (che poi era quanto intendeva l’autore) Alla nuvola, A un’allodola e Ode al vento occidentale costituiscono un composito poema del volo, dell’avventura verso la leggerezza inebriante del cielo. Shelley, che condivide con gli altri grandi romantici Byron, Keats, Coleridge, la certezza dell’ispirazione come realtà concreta e operante, scrive versi fondamentali sul senso stesso della poesia, rivolgendosi all’Allodola: immerso nell’estasi di quel canto meraviglioso, il poeta intuisce che quel suo simile, più piccolo, più alto, più capace di volo e canto, è il suo maestro: l’allodola è sua sorella, ma anche di più, è il sapiente custode dei segreti alla cui ricerca il poeta dedica la propria vita. «Più di ogni metrica di suoni incantatori, più di ogni tesoro nascosto nei libri, il tuo talento servirebbe al poeta, tu che disprezzi il suolo. Insegnami la metà di quella gioia che certamente il tuo cervello conosce: dalle mie labbra fluirebbe allora la tua follia armoniosa, e il mondo ascolterebbe allora, come me ora».
L’Allodola, come il Vento Occidentale, sono i suoi biglietti da visita, ma tutta la sua poesia è soffiata come da un vento e cantata come da un uccello altissimo e quasi invisibile. Shelley, che scelse la Liguria, Lerici, dove incontrava l’amico Byron (quello divenne il Golfo dei Poeti, i quali cambiano nome ai luoghi, facendoli mito: che cos’era il balcone della mai esistita storicamente Giulietta Capuleti, a Verona, prima che Billy la inventasse?), Shelley che veleggiava con la sua barca Ariel (fatta da lui costruire a Genova, battezzata con il nome del demone shakespeariano dei venti), scrive pagine incantevoli su quel paesaggio. Che immediatamente non è più paesaggio: paesaggio è il destino delle cartoline e delle poesie sentimentali o confidenziali (non so quale dei due reati sia più grave). Quello che all’occhio è un paesaggio si tramuta nei versi in un mondo, in questo caso fremente e incantante nello stesso tempo. Una delle meraviglie di questa Italia meravigliosa che, grazie a Dio, poeti stranieri (Goethe, Byron, Shelley, Bonnefoy) ci hanno saputo svelare. Altro che quel ramo del lago di Como, e addio monti!

 

shelley

I
Il sole è tramontato, dormono le rondini,
i pipistrelli rapidi svolazzano nell’aria grigia,
i rospi lenti e molli strisciano dai loro angoli umidi,
e il soffio della sera qua e là vagando
sulla tremante superficie del fiume
non sveglia un gorgoglio dal suo sonno estivo.

II
Non c’è rugiada stasera sull’erba secca,
né umidità nell’ombra degli alberi,
il vento a raffiche, lieve e secco,
e nel moto incostante della brezza
polvere e foglie si sollevano a sprazzi,
turbinano sul selciato delle strade.

III
E sulla superficie del fiume fluttuante
l’immagine increspata della città si distende,
immobilmente inquieta e tremante,
all’infinito, senza mai dissolversi,
andate…
voi, mutati, la troverete identica.

IV
L’abisso dove il sole è affondato è chiuso
dalle più nere barriere di una nube cinerea,
come un monte si addensa su un monte
ma in espansione e in alto, a folla,
e sopra uno spazio di azzurro acquatico
perfora splendida la stella della sera.

P.B. Shelley
(Traduzione di Roberto Mussapi)

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