In Ecuador, poesia ma non solo /2
Edificare la coscienza
Non è un luogo alla fine del mondo. Dal punto di vista culturale, e per i suoi scenari naturali e architettonici, è un esempio di eccellenza. Basti pensare alla vivacità di Quito e all'impegno del sindaco per la crescita di Esmeraldas e dei suoi abitanti
L’Ecuador, che sta nel parallelo zero, quella linea immaginaria che divide il mondo e che perdura quasi per intero nei mari e trova qui la sua porzione terrena maggiore, ha un sostenuto sviluppo economico, forse il maggiore del Sud America, di circa il 5% annuo. Da dieci anni con Correa vive un periodo di sicura stabilità politica, che, come si diceva, oggi ha però contro una agguerrita opposizione, che scende tutti i giorni in piazza, bilanciata dalle manifestazioni dei sostenitori del presidente che rispondono con grandi adunate. Chiaro che questo clima fa pensare al peggio, gli elementi di un possibile scontro ci sono tutti ed è sperabile che le recenti parole di Papa Francesco agiscano come deterrente a possibili atti di violenza. A Correa si contesta una certa politica autoritaria e scelte che non starebbero nei principi di una vera sinistra, su cui dovrebbe reggersi, nonché l’eccessiva accondiscendenza alla Chiesa (ben cinque, con quest’ultimo, sono stati gli incontri tra Correa e il Papa), con la negazione dell’aborto, ad esempio. Poi c’è l’opposizione della destra e dei ceti medi, eccessivamente colpiti da alcune tassazioni, come nel caso dell’imposta di successione. Chiaro che il grande capitale e la finanza internazionale non stanno dalla parte di Correa. Però i sondaggi alla metà di giugno danno ancora un netto vantaggio a favore del presidente. Ed è facile capire perché.
Il paese ha visto realizzate riforme a favore delle classi più indigenti, quindi di buona parte della popolazione, nei settori della sanità, della scuola (la migliore scuola primaria di tutta l’America Latina, secondo osservatori internazionali), del lavoro. Di un certo peso anche l’impegno per creare nuove infrastrutture pubbliche, con la costruzione di grandi opere, alcune già visibili, come il nuovo aeroporto di Quito e la parziale realizzazione di una rete stradale adeguata ai tempi. Non è poca cosa. La stabilità politica ha raggiunto livelli incredibili dopo anni in cui si sono avvicendati un numero elevato di presidenti, come nel caso di Rosalía Arteaga Serrano, “presidente per pochi giorni”, cinque precisamente, dal 7 al 12 del 1997, perché il Parlamento la destituì in quanto il maschilismo esistente allora, come in buona parte oggi, non poteva sopportare l’affronto di una donna presidente. Oggi la “presidente per pochi giorni”, mi dice che sta all’opposizione e si è data alla scrittura pur continuando nella battaglia a difesa dei diritti delle minoranze e delle donne.
Una stabilità che ha giovato non poco all’Ecuador, nonostante le evidenti contraddizioni. La prima la tocco con mano quando di fronte alla mia preoccupazione di non avere la moneta Sucre, una volta giunto a Quito, scopro che in Ecuador l’unità monetaria nazionale non esiste, essendosi affidati nel 2002 al dollaro, questo per evitare una caduta nella iperinflazione, come successo in Venezuela e in altri paesi di quel continente. Curioso questo per un paese che esprime una certa opposizione agli Stati Uniti. Ma per altri aspetti è forse più opportuno parlare anziché di contraddizioni di marcate diversità. A incominciare dalla composizione etnica, essendo molto forte la componente indigena. Per non parlare delle distinte condizioni socio economiche a livello territoriale, ma qui è il nord la zona più povera. O la grande varietà relativamente alla struttura geofisica, che va dalle coste pressoché caraibiche o oceaniche alla selva amazzonica, dalle alte montagne andine alle campagne fiorenti che si avvicinano alla costa. Detto questo, dell’Ecuador diciamo subito che fa battere il cuore e diventa ai miei occhi una felice rivelazione che volentieri voglio raccontare. E pensare che è un paese quasi sconosciuto a noi europei, di cui è difficile trovare perfino una guida (ma buone sono quelle della Lonely Planet e quella di Francavilla e Scalettaris), ma imprescindibile è il libro Ecuador (Quodlibet) dello scrittore Henri Michaux, non un diario geografico, scritto nel 1927, perché egli intende il viaggiare, come lo scrivere e il dipingere, «per attraversarmi», ma ci sono scorci di quel paesaggio, incontri con le persone, animali e altro, insomma un racconto di rara bellezza, come questo brano: «La pioggia sfalda e travolge la montagna. Le Ande si sono abbassate come candele nel corso di una notte».
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Quella delle minoranze è una questione essenziale di questo paese (che ha il 71,9% della popolazione costituito da meticci, ossia una combinazione tra indigeni e bianchi, il 7,4% composto da montubi, etnia mista di bianchi, neri e indigeni, il 7,2% è formato dalla comunità afroecuadoriana, il 7,0% da etnie indigene qui da oltre un millennio, il 6,1% è costituito da bianchi – spagnoli, tedeschi, italiani, polacchi), come mi informa un professore dell’Università Andina di Quito, pure lui contro Correa perché non ritiene adeguato l’impegno del presidente per queste comunità. L’etnia andina è presente non solo in Ecuador ma pure in Bolivia, Perù e Argentina, ma qui, con la bellissima città di Cusco in Perù, abbiamo il più importante gruppo andino e chi visita Otavalo (città a due ore da Quito), non può che rimanere impressionato da questa presenza così forte e orgogliosa della tradizione. La popolazione indigena conserva un proprio modo di vestire, di parlare, di vivere e opera prevalentemente nell’artigianato: infatti nel grande mercato chiamato Plaza de Los Ponchos Mercado, si può trovare una grande scelta di prodotti artigianali di ottima lavorazione provenienti dalle mani abili degli indigeni. L’equilibrio tra le varie etnie è senz’altro un punto da cui non si può prescindere, mi dice il vicesindaco-scrittore Aníbal Fernando Bonilla, che pur non essendo di etnia indio tiene in grande considerazione questa parte della popolazione, che qui è larga maggioranza. Di Otavalo, dice che è un «emporio di bellezza e paesaggi, di argilla e leggende, di artigianato multicolore, di oggetti della tradizione tribale».
Peraltro proprio nei giorni dell’ultima settimana di giugno proprio a Otavalo si celebra la festa del sole, sacra per i popoli andini, e da tutte le parti, anche dall’estero, si viene a bagnarsi alla magnifica cascata di Peguche che riceve acqua dal grande lago Cuicocha, specchio d’acqua di origine craterico conosciuto anche come laguna degli Dei e che ha come sfondo l’impressionante vulcano Cotacachi innevato che cinge la città di Otavalo. Gli indigeni pensano che bagnarsi nelle acque della cascata Peguche sia un modo per rigenerarsi, per ricevere la necessaria energia per la restante parte dell’anno. Alla lettura poetica di Otavalo mi fermano due indios che vivono a Trento e mi raccontano del loro attaccamento ai luoghi, alla loro tradizione, del loro amore per l’Ecuador, dove ritornano ogni anno.
Cuenca, è una città con un centro storico ben conservato, patrimonio dell’Unesco, con una importante Università e una vita culturale tra le più vive dell’America Latina, e dove la popolazione straniera è consistente dato il buon livello di vita e l’ambiente unico. La città è a 2.500 metri di altitudine. Questa città ha vissuto una storia controversa perché nonostante fosse sorta prima degli Inca, nel VI secolo, andò poi in rovina, dagli stessi Inca fu ricostruita, nelle intenzioni si voleva rivaleggiare con Cusco, poi decadde fino a divenire una città quasi abbandonata, e gli spagnoli quando vi arrivarono seguendo la leggenda di una città dai templi d’oro, non vi trovarono nulla e rimasero delusi, ma nel 1557 iniziarono la costruzione di questa bella città che appare come un grande esempio di architettura coloniale spagnola.
A Esmeraldas siamo sull’Oceano Pacifico, con l’acqua calda del mare e un movimento un poco ondoso ma assai gradevole, qui tutto l’anno la temperatura si mantiene sui 30-33 gradi, con un po’ di umidità e piogge improvvise che si placano in brevissimo tempo. È chiamata “la capitale del ritmo” per la diffusione di locali da ballo, soprattutto sulla spiaggia. La popolazione qui è quasi per intero nera, definibile afro-ecuadoriana, o mulatta. La storia, non si sa quanto leggenda e quanto verità, racconta che una barca di schiavi africani si arenò in queste spiagge e da allora, dall’800 si ha la presenza nera. Più verosimilmente i latifondisti della zona utilizzavano schiavi neri provenienti dall’Africa per lavorare nelle piantagioni. C’è un giovane sindaco, Lenín Lara Rívadeneíra, figlio della direttrice dell’Università, e probabile prossimo presidente del paese, che tenta di fare un discorso culturale importante, per dare una coscienza a questa popolazione che vive in uno stato di degrado economico e sociale, a incominciare dal controllo delle nascite. Troppe ragazzine partoriscono figli che divengono figli del disagio, che si trovano da sole a crescerli, in quanto i ragazzi sono completamente deresponsabilizzati e non sentono alcun obbligo o dovere morale. Con grande fiducia il sindaco mi dice che «è un lavoro enorme ma il mio impegno è totale». Un impegno rivolto anche a valorizzare questa città che ha una spiaggia bellissima e la si vuole far diventare una realtà turistica importante dell’Ecuador, ciò anche con interventi significativi nell’ambito culturale con manifestazioni di grande prestigio, come il festival internazionale di poesia di cui si è detto (ndr: nella prima parte del reportage, https://www.succedeoggi.it/wordpress2015/07/appuntamento-a-paralelo-cero/).
Quito è una città molto bella, direi elegante con il suo centro storico di impronta coloniale (fu riconosciuta patrimonio dell’umanità dall’Unesco fin dal 1978, la prima con Cracovia), fondata nel 1535 dagli spagnoli. La città è tenuta particolarmente bene, con la Plaza Grande che è anche un giardino e dove la gente sosta sulle panchine mitigando il caldo del giorno di una città che coi suoi 2800 metri presenta durante la giornata un clima particolare, assai variabile: caldo e freddo, sole e pioggia. Un giovane poeta del luogo, Sharvelt Kattán, mi dice che «il clima è bizzarro come le ragazze della città e non ci si può che rassegnare». Ma è un clima gradevole senza eccessi di freddo o di caldo e così per tutto l’anno. Quito è una città che sorprende chi pensa all’Ecuador come a un luogo alla fine del mondo. È una città vivace con numerosi locali (specie a Mariscal) e molte iniziative. Ci sono chiese di grande rilievo, ricordo la Chiesa di San Francesco, con la sua bellissima piazza, la Basilica del Voto Nacional e l’insieme degli edifici che coronano Plaza Grande: la cattedrale, il palazzo arcivescovile, il palazzo di Carondelet, sede del governo. Non si può che concordare con chi ha detto che il centro storico di Quito è un grande monumento, uno scenario straordinario, molti lo ritengono il più affascinante dell’America Latina. Numerosi sono anche i musei, quello della medicina, il museo francescano con pitture della famosa Scuola d’arte religiosa di Quito, e ancora l’incantevole piccolo Museo Casa del Alabado di arte pre-colombiana, bellissimo e organizzato all’interno di una vecchia casa coloniale del centro storico, dove si può ripercorrere una consistente parte della storia di questo paese, attraverso gli oggetti della vita quotidiana e dell’arte di quel periodo.