Un concerto tra jazz e blues
Dee Dee & Katrina
Dee Dee Bridgewater ha dedicato un disco a New Orleans in memoria della tragedia dell'uragano. E per presentarlo in Europa ha scelto il festival di Ravello
L’arena stellata di villa Rufolo è gremita, gomito a gomito italiani e stranieri, soprattutto americani. L’afa è soffocante, una cappa di caldo umido che evoca la Louisiana, un clima inedito per la collinare Ravello ma ideale ambientazione per il concerto di Dee Dee Bridgewater, che ha regalato al Ravello Festival l’anteprima di Dee Dee’s Feathers (Ed. Okeh/Sony) in uscita l’11 agosto in Europa: un album prezioso, dedicato alla musica e alla bellezza di New Orleans; un atto d’amore nel decimo anniversario della strage dell’uragano Katrina. C’è attesa per la superstar che, nel corso di una carriera multiforme lunga quattro decenni, ha raccolto, tra i tanti riconoscimenti, tre Grammy, un Tony Award per The Wiz nel 1975 e la nomina ad ambasciatrice della Fao per l’impegno nel sociale. C’è attesa per questo annunciato ritorno alle origini, per questa definitiva consacrazione a regina del jazz, dopo i successi che la hanno incoronata icona del pop e miglior attrice di musical.
Lei, in realtà, esordio al Village Vanguard di New York, un primo album del ’74, Afro Blues, oggi cult per gli appassionati del genere, il jazz lo ha nel dna, ereditato dal padre che suonava la tromba in formazioni jazzistiche. Una passione che gli episodi più commerciali – ha calcato perfino il palco di Sanremo – non hanno minimamente scalfito. E che si è rafforzata durante il soggiorno parigino, negli anni Novanta, con i tributi ad Ella Fitzgerald e Billie Holiday. Ora, a 65 anni ed un “battesimo nelle acque del Mississippi”, è stata la chiave per raccontare una città risorta dopo il disastro, un monito a non abbattersi e a guardare alla vita con ottimismo.
Il progetto è nato dopo che Dee Dee ha partecipato all’inaugurazione del Jazz Market di New Orleans, il primo spazio dedicato alla storia del jazz, che qui ha avuto le basi, e alla formazione musicale. Partner dell’ambiziosa sfida il trombettista Irvin Mayfield, 36 anni, 15 album all’attivo, cattedra all’Università della sua New Orleans, fondatore e direttore artistico della New Orleans Jazz Orchestra. «È il primo disco che non produco da sola – confida la cantante – perché volevo che si avvertissero le atmosfere di un luogo che conserva intatte tradizioni perse nel resto del Paese e dove si respira ancora l’orgoglio afroamericano. Lo abbiamo inciso, con la collaborazione del mitico Dr. John, negli Esplanade Studios, una chiesa storica abbandonata e riconvertita in studio di registrazione. Anche la foto di copertina riproduce l’interno di una casa del 1739. È stata un’esperienza toccante che mi riconcilia con gli Stati Uniti che avevo abbandonato perché purtroppo il razzismo è un male mai sconfitto, scoprendo però che anche la Francia contemporanea si è infettata di questo morbo».
A Ravello Bridgewater & Mayfield si sono presentati con una formazione ridotta della Noja: Michael Watson al trombone, Riccardo Pascal al sax tenore, Jason Weaver al basso, Adonise Rose alla batteria, “tutti fratelli neri”, un solo bianco, Victor Atkins al pianoforte, come citazione visiva (agli albori del jazz non ci sono pianisti di colore) di un album e di un live costituito in gran parte da citazioni di brani classici, esplorati e riadattati, a cui si mescolano composizioni nuove idealmente legate alla cultura della “Big Easy”. Nel buio la tromba nostalgica di Irving introduce l’ingresso di Dee Dee, un panama a nascondere la testa rasata a zero, ancora molto sexy, malgrado qualche chilo di troppo, nell’abito etnico, coloratissimo, che fascia le forme giunoniche e avvolge in una danza sinuosa le lunghe gambe affusolate. «Se non hai mai visto una vecchia città del sud, pensa a New Orleans, se non hai mai visto quella città, ragazzo, è un peccato…», intona con la sua voce affascinante e potente. La narrazione-celebrazione della città della musica per eccellenza inizia con la popolare New Orleans scritta, nel 1932, da Hoagy Carmichael. E si fa corale col dialogo dei fiati in un virtuosismo strumentale-vocale esaltato dalla sezione ritmica.
Seconda “piuma”, secondo omaggio, stavolta al visionario Duke Ellington: Come Sunday, il dolore che si fa speranza in quel che verrà. È un’ouverture melanconica, spiazza la platea, poi le luci virano sul rosso, creano arazzi arcobaleno sul palco, Dee Dee e Irvin – come di rito nelle storiche jam session – si scambiano parole fuori microfono, si accende il fuoco di Big Chief e, in un viaggio sensoriale sulle orme di Dr. John, ci troviamo trasportati nel quartiere di Tremè pronti a scatenarci al ritmo gioioso e squillante degli ottoni. I musicisti si divertono e noi con loro, la cantante imita la tromba, improvvisa annunciando il prossimo pezzo, Do you know what it means, scherzosamente dedicato a Armstrong in un delizioso siparietto tra la Bridgewater nei panni di Louis intenta a duellare a suon di note con l’eccezionale, istrionico Watson.
Il ghiaccio si è rotto, i “numeri da circo” continuano con la performance brillante di Whoopin blues, altra gemma della tradizione jazz della musa New Orleans. Dee Dee è gasata, scambia battute con Mayfield e con gli spettatori, flirta sfacciatamente col trombettista, lo seduce come una sirena, sussurrando il motivo della canzone da lei composta nella rosa delle dodici tracce di Feathers. C’èst ici que je t’aime, canta facendo volare l’immaginazione fino al cuore dei voluttuosi bordelli della zona francese. E, senza interruzione, attacca l’altro inedito a sua firma, Congo Square, un inno alla schiavitù libera dalle catene, un vibrante cocktail del sound di geni come Buddy Bolden, Jelly Roll Morton, Sidney Bechet. Comunicano passione la Bridgewater e la sua band, mentre calano le luci e si crea una dimensione intima al ritmo rilassato di What a wonderful world, il capolavoro di Bob Thiele, ultimo cavallo di battaglia di Armstrong. Il mondo è meraviglioso, la vita è piacevole, il cuore balla come un eterno carnevale. Eccoci in pieno Mardi Gras col pulsante Rising Tide, la temperatura del pubblico sale al massimo come un’alta marea, tutti in piedi ad accompagnare il tempo con le mani, a salutare con una standing ovation il gran finale di un concerto evento. Sembra che l’incantesimo sia finito, ma Dee Dee & C. riservano un’altra sorpresa. L’arrivederci è la bellissima “House of the rising sun”, riarrangiata dal folk di Dylon, della Baez e degli Animals in un dolcissimo, magico blues. La casa del sole nascente è a New Orleans.