Cartolina dal Portogallo
L’asse Napoli-Lisbona
Città di sbarchi e di imbarchi, dove attraccano solo vascelli fantasma... Uno sguardo parallelo su due mondi che hanno molto in comune. Più di quanto dica la storia
Inevitabile, da Lisbona, uno sguardo di ritorno, lungo ma molto lungo, verso Napoli. Come evitarlo? Ed è uno sguardo che trascende le pur straordinarie similitudini tra le due città. Perché come è impossibile non affermarle, nello stesso tempo è altrettanto impossibile non negarle. Il che non toglie la comunità di modi e perfino di destini che unisce le due città. Come altrimenti spiegare il così strano caso di un’eroina portoghese della nostra Rivoluzione del 1799, la generosissima Eleonora Pimentel Fonseca? Ma come pure non vedere l’emblematicità della sua fine, di fatto proprio per mano della terribile onda di ritorno della sinistra lazzaritudine partenopea ‒ l’impiccagione senza mutande!
Dunque è impossibile, stando qui, non imbattersi continuamente nelle differenze che dividono «the two cities». Differenze nelle quali si rivela in primo luogo una cosa sola: Napoli è un luogo assolutamente unico (più ancora che una città unica ‒ qui il genere trascende la specie)! Nel bene, come ancor più nel male. Nell’odio, come ancor più nello sviscerato e perduto amore che ad essa ci lega. E questo i napoletani lo sanno benissimo, anche se in vari modi fanno di tutto per nasconderlo. Ma effettivamente non vi è modo migliore per notarlo, che guardare Napoli da lontano. Con quel così tanto raccontato sguardo dell’emigrante. Condizione che qualunque napoletano si augurerebbe di non dover impersonare mai!
Naturalmente ho riflettuto su questo continuamente durante il mio soggiorno qui, ma in questo genere di percezioni vi sono sempre dei vertici intuitivi. Nei quali l’evidenza diviene schiacciante. E chissà perché questi vertici mi colgono sempre nei pressi di Cais do Sodrè. Luogo emblematico, perché è stato questo, sempre, il luogo degli imbarchi e degli sbarchi. Qui si trovava infatti la mitica Ribeira das Naus, il febbrile luogo dove si costruivano, calafatavano e poi lanciavano i vascelli destinati ad andare incontro all’Ignoto. Ebbene, una volta usciti dal vagone del metro e incamminatici tutti verso l’uscita, in quelle lunghe, folte e sempre meste file della mattina presto, mi colpiva la stupefacente silenziosità di questa massa umana.
A Napoli impossibile! : ‒ a qualunque ora del giorno e della notte ed a qualunque longitudine o latitudine dello stato d’animo della massa (brio, mestizia, o altro). Ed immediatamente dopo, al cospetto del bianco muraglione semicircolare posto di spalle alle scale mobili che menano in superficie, mi accorgevo di colpo del significato generale di questo silenzio. Si tratta di ciò che ben presto colpisce del carattere luso e di tutta l’ambientalità che da esso scaturisce: l’austerità!
La discrepanza non riguarda del resto solo Napoli ma l’italianità in generale. È ben noto qui che «o italiáno è barrulhento! ». È rumoroso. Come il castelhano (qui odiato!). Comune carattere zigáno, dice qualcuno con un certo sprezzo. Ricordo di uno scrittore portoalegrense (Brasile) che raccontava delle sue doppie origini, italiane e portoghesi, e descriveva il lato luso della sua famiglia appunto come austero. Io stesso, frequentando l’università di qui, ho avuto modo di sperimentare l’incontro-scontro con una forma particolare di austerità, e cioè quella intellettuale : ‒ il rigore! Rigoroso è infatti il luso in tutto: nel pensare, nel sentire, nel credere nell’amare. È il versante ombroso del sanguigno radicalismo fanatico del castelhano. Così che il loro comune atavico fervore religioso assume qui una nota vibrante in modo ben diverso. Specie nel senso del profondo. Il nostro, quello partenopeo, solo apparentemente simile, è invece in realtà superstizioso, scomposto e spesso addirittura sguaiato. Profondo per nulla! Chi non conosce cose come i cortei e gli eccessi dei fujenti, ed il loro senso?! Evidentemente l’orgiasmo orfico-pitagorico-dionisiaco non ha mai abbandonato le nostre terre.
E così tutto è qui austero e rigoroso : ‒ il cielo terso fino a ferire come una lama duramente azzurra, il clima (anche nel calore), l’aspetto e modi di giovani uomini e donne, e di vecchi uomini e vecchie donne (insieme fragili e fortissimi, come giunchi), il candore affatto abbagliante di ogni edificio (ovunque bianco ed azzurro!), la stessa bandiera (pur nei suo sgargianti eppure discreti colori), le lunghe e dritte avenidas, dimesse e quasi campagnole (per quanto urbanissime) nella loro essenzialità (il Brasile ne è pieno!), la rozzezza sbrigativa degli irregolari muraglioni imbiancati a calce che circondano incombenti le più squisite ed eleganti architetture, i caseggiati ciechi di lato (senza finestre e balconi). E questo pur considerata ogni possibile variazione del brio, del calore e perfino della seducente malizia. Di tutto ciò vi sono qui tracce dappertutto : ‒ nell’architettura, nell’urbanesimo, e nell’umore della strada e del luogo pubblico. Nonostante Lisbona non manchi di essere spesso un luogo luminoso, colorato e vivace. A volte perfino confortevolmente rumoroso.
È evidentemente espressione di tutto questo quel così fascinoso tono retro e demodè dominante dappertutto, e così simile al decoroso riserbo perfino timido della gente. Tutto qui si ritrae su sé stesso, esitante (cheio de receios) e talvolta perfino un po’ sdegnoso.
E proprio così si ritrae dai clamori, sempre sguaiati e sopra le righe, del Moderno. Anche Napoli si ritrae dal Moderno, e forse ancor più di Lisbona. Ma in modo radicalmente diverso. Cioè nell’ostinazione a radicarsi in sé stessa (volendo essere a tutti i costi, appunto, solo ciò che è e nient’altro: assolutamente unica e per questo meravigliosa!) così sprofondandovi sempre. Auto-amandosi, sognandosi, scrutandosi profondamente. Ma senza mai riuscire a vedersi, senza mai giungere alla comprensione del mistero inesplicabile che essa costituisce. Le cui tracce però sono non solo evidenti ma addirittura esplicite. Chiunque può leggere il mistero profondo di Napoli sulle sue stesse labbra, sui tratti del suo volto. E chiunque può averne addirittura un’intuizione totale. Ad ogni svoltare d’angolo, ad ogni scorcio, ad ogni attimo. Sempre!
Ma dire questo mistero è impossibile!
Napoli è dunque, in tutto questo, l’esatto opposto di Lisbona. Per quanto si affaccino entrambe, ridenti, sull’acqua. E per quanto si elevino entrambe in un saliscendi inquieto, pieno di incredibili ripidità, lungo le dolci curve della costa. Napoli: approssimazione ribollente, efflorescente, rigogliosa, soverchiante / Lisbona: ombrosa e luminosa delicatezza, piena di morbide pieghe, dell’austero rigore. L’una luce fosca e l’altra luce brillante. Una città, Napoli, «bella e pericolosa…assustadora», come benissimo diceva un’amica italianista di qui. Per servirvi, la nostra Teresa Jorge Ferreira delle passeggiate letterarie. Decisamente, da colui nelle cui vene scorre sangue luso, Napoli proprio non può farsi amare. Napoli è sì simile a Lisbona. Ma è anche perdutamente diversa : greca, mediterranea, medio-orientale, africana. Regno del variopinto Caos, e non del grazioso e raccolto decoro. Napoli può farsi amare solo dai napoletani (sebbene non senza odio).
Ed io napoletano lo nacqui.