«Into The Wild Truth» del Corbaccio
La verità su Chris
Carine McCandless ha scritto un libro sul fratello Chris, il protagonista della vicenda di “Into the Wild”. Dal suo racconto il ritratto di un ragazzo più ribelle che selvaggio
«A lungo ho preferito che non si sapesse tutta la verità su Chris. Ma adesso è giunto il momento di spiegare fino in fondo la scelta di mio fratello»: questo scrive Carine McCandless, sorella del giovane americano (nato in West Virginia) che, dopo aver preso la laurea in Scienze Sociali all’università di Emory, abbandona tutto e tutti e con lo pseudonimo di Alexander Supertramp, parte per un viaggio di due anni. Negli Usa e nel nord del Messico. Raggiungerà l’Alaska, in condizioni fisiche pessime, assediato dal freddo e dalla fame. Per non essere riuscito a mangiare carne di alce mastica una bacca velenosa. Muore in un autobus abbandonato, tra dolori incredibili.
La sua vicenda è stata scritta da Jon Krakauer, ispirato da una breve notizia comparsa su un giornale. Ne scrive un libro, Nelle terre estreme, uscito nel 1996 in America e l’anno successivo in Italia (Rizzoli). Questa incredibile avventura, che ha spinto il ventenne ad allontanarsi dall’ipocrisia sociale e familiare, ha fatto il giro del mondo. Ad ampliare l’accaduto è stato il regista-attore Sean Penn: il suo film, Into the wild apparirà nel 2007. Molti si chiesero perché Chris fece quella scelta estrema e quali motivazioni ci fossero dietro quella scelta così radicale. Lo racconta sua sorella Carine McCandless in Into The Wild Truth. Il libro-rivelazione è stato tradotto dal Corbaccio (374 pagine, 17,60 euro). L’ultima frase scritta da Chris: «La felicità è autentica solo se condivisa». È un urlo di disperazione di un giovane in aperto contrasto con il padre Matt, uomo che insegue il materialismo e basta, istrionico, violento, ben istruito, gran lavoratore e anche pianista di jazz con un certo talento. Rivela Carine: «Quando lui entrava in una stanza, catalizzava l’attenzione di tutti e con i suoi magnetici occhi nocciola ti sfidava a distogliere lo sguardo».
Carattere vulcanico che pretendeva di avere l’attenzione di amici e parenti, ai quali raccontava di libri, di viaggi e di scienza. Sposò Billie, otto anni più giovane, pattinatrice con trascorsi di ballerina. La donna sapeva che Matt era già sposato e che aveva avuto tre figli (un quarto nascerà più tardi) dalla moglie Marcia. Ovviamente le promise di divorziare. Niente da fare. Continuò a comportarsi da bigamo. Addirittura faceva incontrare i suoi figli con quelli avuti da Billie, ossia Chris e Carine. Insomma, come direbbero gli psicologi, vivevano tutti nella cosiddetta “famiglia disfunzionale”, ove i ruoli sono confusi, vischiosi, ipocriti. Matt si spostava da una casa all’altra. I suoi figli sapevano che il telefono rosso, sulla sua scrivania, serviva per mettersi in contatto con i fratellastri. Entrambe le donne di Matt accetteranno alla fine la sua condizione di bigamo. Durante una delle numerose liti col padre, Chris reagì spiegando a proposito delle vacanze: «Quello che non ho alcuna intenzione di fare è organizzare su carta la mia estate, rendendola prevedibile e distruggendo ogni possibilità di avventura». La sorella, nel descrivere Chris, più magro e più basso del padre, afferma che «la sua superiorità era più morale che fisica». In testa aveva ben fisso il concetto di libertà, sulla scia di molte letture (tra cui Jack London). Libertà Intesa come affrancamento dai frusti valori piccolo-borghesi e da un clima familiare diventato insopportabile. Chris, molto legato alla sorella, un giorno le disse: «Scappa!». Carine ricorda una delle sue frasi: «C’è un guinzaglio attaccato al denaro».
L’autrice di Into The Wild Truth racconta infatti: «Il denaro non è mai stato solo il denaro, era potere, era fedeltà, era una leva. Chris lo comprese presto. Tanto è vero che ribadiva spesso: “Se prendi i loro soldi, ti sentirai in obbligo con loro per il resto della tua vita, perché loro ti faranno sentire sempre così. È questo che vuoi?”». La sorella del ribelle, una sera prese in mano un libro di Tolstoj, Felicità familiare, e si imbattè in una pagina su cui Chris aveva segnato a margine un asterisco e delle parentesi all’inizio e alla fine del seguente passaggio: «È male non saper sopportare la solitudine». In una delle lettere spedite a Carine, Chris scrisse: «Sono semplicemente senza speranza e non c’è modo di riportarli alla realtà. Oltre vent’anni di bugie e inutili giochetti li hanno ridotti in uno stato permanente di Pazzia psicotica. Ecco perché non ho più contatti con loro e non mi piace parlare con loro… sono come una malattia contagiosa: se vi si rimane esposti troppo a lungo, prima o poi si comincia a sentirne gli effetti dannosi sulla propria anima». E più avanti: «…Suppongo che abbiano la convinzione che “maturando”, diventeremo più simili a loro, e che quando avremo una famiglia nostra improvvisamente “vedremo la luce” e riconosceremo che loro sono stati degli “ottimi” genitori e che tutte le nostre lamentele non erano altro che il piagnucolio di inconsistenti, immaturi bimbetti viziati… Sono pronto a scommettere che lo pensano davvero. Deve essere il modo in cui razionalizzano, a loro uso e consumo, tutta la faccenda… Perciò io con loro ho chiuso». E se ne andò, cercando valori opposti. In nome della libertà e dell’autentica morale. Antesignano di una ribellione sessantottina virata sul privato, ha pagato con la vita.