Al Museo Archeologico Nazionale di Napoli
Il sogno di Pompei
Una grande mostra di dipinti e foto ripercorre la suggestione che la scoperta delle rovine di Pompei ha prodotto sull'arte mondiale. Da Goethe fino a Picasso
Anche per i Napoletani, anche per chi lo già visitato, è sempre un’emozione varcare l’ingresso del Museo Archeologico Nazionale, lasciandosi miracolosamente alle spalle la confusione e il traffico di una zona a frenetica viabilità. Il luogo è maestoso e austero, e sa d’antico, di nobile; lo sguardo è immediatamente catturato dallo scalone monumentale protetto dai leoni, in fondo all’atrio, ma mentre ci si appresta a raggiungerlo, si hanno almeno altre due tentazioni: la Collezione Farnese, posta a destra dell’entrata oppure la galleria verandata di sud-ovest, dove la luce che penetra dagli enormi finestroni gioca con sculture delicate o enormi.
In questi giorni però il grande richiamo del Museo sta al secondo piano, dove tutta la famosa Sala della Meridiana (55 metri di lunghezza per 20 di larghezza e altrettanti di altezza) accoglie la mostra Pompei e l’Europa 1748-1943.
La mostra, suddivisa in quattro sezioni cronologiche, presenta oltre 200 tra dipinti, disegni, sculture, stampe, foto, oggetti e libri provenienti, oltre che dallo stesso Archeologico e dai principali musei napoletani, da gallerie, musei e accademie di mezza Europa. Tutto questo affascinante materiale è qui raccolto per dimostrare quanto la scoperta di Pompei abbia influito sulla cultura europea dal Settecento alla metà del secolo scorso e come gli artisti più diversi, dopo aver visitato quelle rovine man mano che i lavori di scavo le riportavano alla luce, ne siano rimasti suggestionati.
Nel 1787 Goethe descrive «le magnifiche viste» che già attirano ed entusiasmano un turismo d’elite, proveniente da tutta Europa. Leopardi cita «l’estinta Pompei» ne La Ginestra. Canova dipinge una serie di tempere ispirate a temi tipicamente pompeiani come la vendita di amorini e la danza. Hackert ed altri famosi vedutisti documentano i lavori di scavo e conservazione del sito. Chateaubriand, all’inizio dell’Ottocento, per primo propone di lasciare i reperti là dove sono stati trovati, in modo che Pompei possa diventare un unico enorme museo a cielo aperto. L’architetto francese Mazois ottiene l’autorizzazione a disegnare le rovine e realizza uno studio in quattro volumi che diventerà un pilastro per i successivi studiosi. Pittori come Pitloo, Gigante, Duclere, Palizzi scelgono Pompei riportata alla luce come soggetto dei loro quadri, mentre altri come Valenciennes immaginano nelle loro tele la terribile eruzione del 79 d.c., quella che distrusse la città.
Gli allievi della Ecole des Beaux Arts di Parigi disegnano nelle loro prove accademiche gli edifici pompeiani nel loro stato attuale e in un ipotetico aspetto originale. Lo studio della pittura murale rinvenuta a Pompei influenza l’Eclettismo e molti artisti si dedicano a replicarne gli affreschi. E mentre gli archeologi lavorano sulla conoscenza scientifica dell’antica Pompei, gli artisti Romantici la usano come sfondo di romanzi, poemi, opere liriche. Gli ultimi giorni di Pompei, nata come opera lirica di Giovanni Pacini, rappresentata per la prima volta al San Carlo di Napoli, diventa un quadro del pittore russo Brjullov e subito dopo un romanzo best-seller firmato dallo scrittore inglese Bulver-Lytton.
Il versante femminile dell’universo pompeiano pure colpisce la fantasia degli artisti, che ne declinano ora l’aspetto della quotidianità ora l’aspetto sensuale, come fanno Domenico Morelli con Il bagno pompeiano e Federico Maldarelli con La stanza da letto di una pompeiana. Sete ornamentali, ceramiche e mobilio si ispirano agli arredi della città sepolta, mentre si studiano l’architettura domestica pompeiana e il suo decoro.
A metà Ottocento, con l’intuizione della colata di gesso si ottengono i calchi delle vittime dell’eruzione e la fascinazione che Pompei esercita sugli artisti ma anche sulla gente comune subisce un’impennata. Ne è autore Giuseppe Fiorelli, primo direttore degli Scavi nell’Italia unita e introduttore del biglietto d’ingresso all’area.
Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, l’area degli Scavi diventa sempre più vasta e dal 1924 per quasi 40 anni ne è direttore e anima l’archeologo Amedeo Maiuri, che affronta anche i terribili danni conseguenti al bombardamento dell’agosto del 1943. In questo periodo fino alla guerra continua il pellegrinaggio degli artisti, ora testimoniato anche dalle fotografie: passano di qui Paul Klee, Le Corbusier che esegue schizzi e acquerelli che gli serviranno più tardi a elaborare l’idea di casa col patio sorretto da esili colonne, Picasso che trova ispirazione per Due donne che corrono sulla spiaggia (nella foto), Cocteau, e ancora Sironi, Funi, De Chirico.
Questo straordinario repertorio di opere ispirate al sito conferma, con le parole dell’architetto francese Charles Garnier, che «Pompei non è un ammasso di macerie informi e mutili, è una rovina vivente (…), è la realtà stessa». Anche il visitatore ne resta suggestionato, e ne esce con il desiderio di tornare a Pompei per ripercorrerne le vie e anche per vedere l’altra parte della mostra, che presenta i calchi delle vittime dell’eruzione, recentemente restaurati e per la prima volta esposti al pubblico nell’Anfiteatro degli Scavi.
La mostra, che fa parte del programma di eventi per Expo Milano 2015, sarà aperta, a Napoli e a Pompei, fino al 2 novembre.
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