Parla il leader della band araba
«Il nostro pop arabo»
Incontro con Hamed Sinno, leader dei Mashrou Leila che al loro quarto album hanno cambiato pelle, sposando la causa pop internazionale: «Cambiare vita vuol dire essere vivi»
I colori del mezzè, i suoi sapori e profumi parlano del Libano e del Medio Oriente in mondo esemplare. Ogni paese ha creato la sua variante, ma in fondo dalla Bosnia Erzegovina fino al mediterraneo nord africano vi è una fortissima influenza comune. In Libano si è sicuramente raggiunto l’apice dell’arte culinaria araba, il mezzè del paese sono assolutamente insuperabili. Fa però sorridere come ogni paese nato dalla dissoluzione dell’ex impero ottomano tenti di sostenere che gli splendidi cibi locali siano solo loro. In Grecia affermano che il moussaka, i ghiros, le spanakopite, la feta e il risolatte, siano greci, a poca distanza più in là gli stessi cibi diventano turchi, e poi libanesi, palestinesi, israeliani, egiziani, armeni. Il massimo della comicità si tocca con il caffè, la stessa tazzina viene definita bosniaca, greca, turca, armena, libanese, araba. Il cibo racconta molto della propria identità e spesso smentisce il tentativo di nascondere sotto il tappeto mille contaminazioni e contraddizioni che pure a un’attenta analisi, appaiono abbastanza ovvie. Un discorso simile lo si può fare con la musica. In questi mesi è uscito il nuovo singolo dei Mashrou Leila, la banda indie-rock più famosa di tutto il Medio Oriente, che ha avuto tantissimo successo anche in Italia dove tornerà il 23 luglio a Cividale del Friuli, mentre prima sarà a Chiasso Festival il 20 giugno.
Il nuovo brano musicale ha spiazzato non poco i fan storici, in quanto la band ha deciso di giocare con la propria identità storica di gruppo indie-rock che parla di temi come l’omosessualità, il divieto di matrimoni inter-religiosi, le forze armate e invece di proporre un brano nel solco dei precedenti album ha scritto un pezzo pop. Il tutto nel tentativo di far comprendere che la contaminazione e la contraddittorietà sono realtà incancellabile nell’animo di un artista e di ogni essere umano. Il progetto era stato anticipato a Succedeoggi nello scorso autunno da Hamed Sinno, cantante del gruppo, che in questi giorni abbiamo risentito per fare il punto della situazione.
Hamed Sinno, cosa vi ha spinto a questa piccola rivoluzione?
Abbiamo voluto giocare un po’ con noi stessi e con il nostro pubblico. C’è molta pressione sull’identità di un gruppo musicale, soprattutto al suo quarto disco. Il pubblico si aspetta che una band rimanga nel solco dei suoi precedenti dischi. Abbiamo voluto svincolarci da questo laccio. In fondo è una questione di scelte, fino a quando si rimane critici nei confronti delle aspettative delle persone, si rimane liberi. Dopo tre album vogliamo sperimentare percorsi diversi, anche giocando un po’ con il pop. Nella nostra carriera abbiamo sempre toccato temi molto controversi per la cultura libanese e ora abbiamo deciso di fare un pezzo più giocoso. Sapevamo fin dall’inizio che molti dei nostri fan avrebbero storto il naso per questo nostra voglia di sperimentare la musica pop. La reazione è stata divertente, a tratti aggressiva. Molti fan ci hanno detto: «Che cavolo state facendo, voi siete una rock band!». Penso che ci stiamo prendendo un grosso rischio con questo nuovo album, tanti ci avevano consigliato di non cambiare. Molte case discografiche, soprattutto regionali, cercano sempre un immagine chiara, ci hanno chiesto di battere sul fatto che siamo tutti di religione diversa, ma così finivamo per cadere in uno stereotipo libanese, cosa che noi non interessa. Noi non abbiamo bisogno di battere sulle nostre diversità perché sono insite in noi stessi.
Le persone possono avere identità multiple
Tutti abbiamo identità multiple e questo a volte significa anche contraddirsi. Nel brano 3 minutes citiamo un verso di Song of Myself di Walt Whitman, il verso dice «Do I contradict myself? Very well then I contradict myself, (I am large, I contain multitudes)». Abbiamo tradotto questa frase in arabo, per far capire che dopo aver fatto musica per otto anni, era normale che potessimo cambiare, crescere, contraddirci, o giocare un po’ con noi stessi.
Il premio Nobel Nadine Gordimer, nella «figlia di Burger», racconta la storia di Rosa, figlia di un importante attivista anti apartheid, che «conscia di quanto la sua identità sia in connessione con quella paterna, lascia il Sudafrica alla volta dell’Europa per poi tornarvi dopo una serie di nuove esperienze». Bisogna a volte contraddirsi per poter avere un identità forte?
Penso proprio di sì. Il pubblico ha sempre amato il nostro indie-rock molto impegnato, ma per noi quest’esperimento ha un significato profondo perché alla fine rischia di esserci un certo snobismo nel considerare la musica pop per forza di poco spessore. Il termine pop spesso non vuol dire molto, è un termine che nel campo musicale viene usato per un ambito vastissimo. Mai come in questo momento il gruppo è stato internazionalmente riconosciuto, avremmo potuto semplicemente ripeterci, invece per noi questo era proprio il momento giusto per rischiare giocando con la nostra identità.
Gli estremi si toccano, chi ascolta solamente musica pop e chi ascolta solamente musica colta, alla fine ha in comune una certa chiusura mentale, chi invece sa ascoltare generi colti e più popolari allo stesso tempo non ha più apertura?
Molta gente colta non ama il pop, lo considera sbagliato solo perché “pop”, ma non argomentano mai con motivazioni, lo dicono solo appunto per snobismo. Ma il pop è una forma musicale come altre, con artisti valide e altri meno. Anche il commerciale può avere un senso, moltissimi lavori stupendi sono stati apprezzati dalle masse e non erano per forza senza spessore artistico. Shakespeare probabilmente scriveva anche per lavoro e quindi anche per soldi. Pensare che bande indie o rock non scrivano mai con intenzioni commerciali è fuorviante.
Quando sarà pronto il quarto album?
Lo stiamo registrando ora, ma ci vorrà almeno un anno prima che sia terminato.
In Italia avete fatto il primo concerto un anno fa e avete riscosso un tale successo che siete già tornati tantissime volte.
In Italia abbiamo avuto un successo davvero inaspettato, abbiamo già fatto sei concerti in città come Firenze, Milano, Venezia, Parma, Torino, Napoli. Non so perché proprio in Italia abbiamo avuto tutto questo seguito… Il bello è che il pubblico è a maggioranza italiana, non sono arabi che vivono in Europa. Lo stesso vale in Francia e in Inghilterra. Mi chiedo sempre come mai un pubblico che non capisce l’arabo ami la nostra musica. Il 20 di giugno saremo in Svizzera al Chiasso e il 23 luglio a Cividale del Friuli.
L’Italia è un paese amante dell’Opera, spesso è normale studiare prima i testi delle opere…
Sì, probabilmente è per la vostra tradizione di melomani, ma in parte è anche amore per la musica e le voci. Molti europei amano la grandissima cantante egiziana, Umm Kulthum, pur non capendone i testi. È il mistero della musica.
L’Egitto è forse il paese in cui riscuotete più successo
Sì, in Egitto ogni concerto è un evento folle. Il pubblico è molto differente a seconda dei paesi in cui si va. Al Cairo siamo conosciuti da molto più tempo, parliamo di concerti con 10mila persone, in Europa nei posti dove ci conoscono di più ci saranno un migliaio di persone e non molti capiscono l’arabo. Il pubblico nei diversi paesi viene per motivi diversi. Un concerto è musica e parole, ma soprattutto la performance, cinque persone che tentano di comunicare con il pubblico. Ci sono dei posti dove suoni per la prima volta e devi creare nei primi dieci minuti un’energia, che è appunto la magia della musica.
Il nuovo album sarà tutto pop?
Ci saranno un paio di canzoni pop, elettroniche e dance.
Sentendo «3 minutes» ho pensato che in fondo giocare sulle tante identità possibili sia una esperienza molto libanese. I libanesi quando sono sull’orlo dell’abisso escono e vanno a ballare
Potrebbe essere, anche se l’intenzione non era quella. Generalmente è una caratteristica umana quella di avere in realtà mille se stessi, ed essere immersi in un mondo pieno di aspettative bianche o nere. Posso però dire che tutto quello che stiamo facendo è intrinsecamente libanese che lo vogliamo o no perché questa è la nostra terra.
https://www.youtube.com/watch?v=HUhYXRSDWjg