Da un libro in odore di Strega
Il miracolo di Gemito
Renato Carpentieri interpreta alcune pagine de "Il genio dell'abbandono", il bellissimo romanzo di Wanda Marasco su Vincenzo Gemito: la premessa di uno spettacolo memorabile
Ieri ho assistito a un miracolo. L’hanno realizzato una scrittrice, Wanda Marasco, e un grande attore, Renato Carpentieri, i quali hanno evocato un meraviglioso, diabolico e angelico sculture napoletano a cavallo tra Ottocento e Novecento: Vincenzo Gemito. Tutto è successo in una sala della collezione ottocentesca della Galleria nazionale d’arte modernadi Roma, tra due splendide tele di De Nittis e un ritratto pre-futurista di Giacomo Balla (quando ancora dipingeva, bontà sua). Si presentava un romanzo che suppongo notevolissimo, Il genio dell’abbandono, appunto di Wanda Marasco, appena pubblicato da Neri Pozza e – speriamo – in odore di Premio Strega. Qual è il miracolo? Piano, tra un po’ ci si arriva.
Il romanzo è una corposa biografia di Vincenzo Gemito. Personalmente avevo contezza di questo grande artista perché non ho mai dimenticato una conversazione con Paolo Ricci, storico d’arte e di teatro napoletano dell’altro secolo, che voleva dimostrare come tutti i personaggi di Raffaele Viviani fossero presi pari pari dal repertorio di capuzzelle di Gemito. Lo stesso Viviani, diceva Paolo Ricci, era in realtà una scultura di Gemito che improvvisamente aveva preso vita con una specie di Pinocchio con il suo polentina Geppetto. Con ciò voleva dimostrare, il grande studioso, che Gemito era riuscito a fondere in un unico tipo fisico le due anime di Napoli, quella aristocratica e quella plebea; e che Viviani questa fusione di umanità debordante e compassata freddezza aveva poi riversato nel suo teatro allora (fine anni Settanta) ancora negletto. Ma Gemito riempiva il mio immaginario anche perché una sua scultura, una testa di bambino, imponeva la propria insolenza da una consolle di famiglia e a chiunque venisse in visita in casa, mio padre diceva che aveva preso quella testa rissosa perché somigliava a quella di suo figlio. Cosa di cui mi rammaricavo, perché mi preferivo calmo piuttosto che non rissoso come il mio alter-ego di Gemito.
Insomma, prima di ieri ne sapevo abbastanza di Gemito; abbastanza da considerarlo un genio sommo e disturbato; pazzo come tutti i grandi-grandi e isolato come tutti coloro i quali raccontano l’essenza di quel che sarà. Ciò, forse, mi ha aiutato a cogliere il senso del miracolo.
Del libro di Wanda Marasco ho desunto la profondità e la sostanza evocativa: l’autrice, dal racconto dello sculture geniale e disturbato, ha tratto un quadro esaustivo di Napoli, di quel miscuglio di alto e basso, inutile e indispensabile, bello e brutto, meraviglia e sconcezza che la forma da secoli immemorabili. Il romanzo del pazzo visionario che modellava corpi è diventato parabola verbosa di una città che non riesce a chiudere se stessa in una forma univoca: con il mare che puzza e l’immondo che rifulge. Odori e forme eccessive. Fin qui la presentazione del Genio dell’abbandono. Poi è successo il miracolo.
Ossia che Renato Carpentieri s’è alzato davanti a un leggio e ha letto per una mezz’ora abbondante alcune pagine del romanzo. Sarebbe ingeneroso chiamarla solo una lettura: Carpentieri ha diretto se stesso in una memorabile interpretazione. Il romanzo è costruito in modo complesso: in forma indiretta, il narratore e Vincenzo Gemito dipanano i fatti, mentre le voci dirette dei personaggi le vivono. Gemito, il narratore e i personaggi parlanti alternano calda lingua napoletana a ghiaccioli italiani in uno stile memorabile, evocativo, umanissimo e musicale (per quant’è musicale il teatro, ovviamente: perché questo teatro è, non altro). Ebbene, Carpentieri ha compiuto il miracolo di dare un colore specifico a ciascuna di queste lingue: l’italiano e i napoletani (ogni personaggio ne parla uno diverso). All’inizio calcando sull’intonazione in modo da distinguere il giovane dal vecchio, il maschio dalla femmina, ma poi solo suggerendo l’intimità con la quale ciascuno dava il proprio contributo alla storia: rabbioso il folle Gemito, addolorato sua moglie, sorpresa sua figlia, rassegnato suo padre. Il miracolo è stato questo: che nella stessa voce c’erano intenzioni diverse che lo spettatore riusciva perfettamente a identificare; grazie ai toni, ai volumi, alle pause e, solo in ultima analisi, alle parole.
Ecco, spero si sia capito. Spero si sia capito che se Renato Carpentieri dal romanzo di Wanda Marasco trarrà uno spettacolo, come io spero, sarà uno spettacolo da non perdere: memorabile. Un miracolo, insomma.