A proposito di "Rituccia" al Festival di Napoli
Eduardo e Antigone
Fortunato Calvino ha proiettato nel presente la guerra dell'Eduardo di «Napoli Milionaria!» e ha costruito uno spettacolo che racconta la nostra "guerra civile"
Di questa assonnata ottava edizione del Napoli Teatro Festival Italia, pochissimi sono stati gli spettacoli che hanno avuto il sold-out mesi prima del debutto ufficiale. Tra questi, ha letteralmente sbancato Rituccia scritto e diretto da Fortunato Calvino, drammaturgo e regista napoletano, pioniere del teatro della legalità. In scena, Antonella Cioli, Antonella Morea, Laura Borrelli, Rosa Fontanella, Gioia Miale. Una produzione Prospet promozione spettacolo.
La drammaturgia di Rituccia nasce su commissione. Nel 2014, per commemorare i trent’anni dalla scomparsa di Eduardo De Filippo, il Dipartimento degli Studi Umanistici dell’Università di Napoli “Federico II”, decise di ricordare l’autore-attore dedicandogli un libro molto particolare, che si distinguesse cioè dai soliti improntati sulla figura dell’autore partenopeo: un libro che raccogliesse drammaturgie originali ispirate alle sue opere. Fu così che i professori Pasquale Sabbatino e Patricia Bianchi, rispettivamente, ideatore e curatrice del volume Scrittori per Eduardo (edito ESI), convocarono alcuni tra i migliori drammaturghi di Napoli.
Tra di essi, Fortunato Calvino il quale lavorò alla stesura di un testo traendo ispirazione da Napoli Milionaria, spettacolo che da ragazzo aveva visto in scena con lo stesso Eduardo. L’emozione di quell’incontro teatrale – e poi umano, perché Eduardo gli autografò il programma di sala, abbracciandolo caramente – ancora vive nei ricordi di Calvino, che da quel momento in poi comprese che il teatro sarebbe stato la sua casa. Questa la genesi di Rituccia: non la continuazione letterale dell’opera eduardiana, ma una drammaturgia nuova in cui la bambina malata e solo evocata nel testo originale, adesso è diventata una donna dei nostri giorni, guarita nel fisico ma non nell’anima, devastata dai ricordi di bombe, rifugi, fame e miseria. Ma la guerra descritta da Calvino non è solo guerreggiata: quella che viviamo è soprattutto una battaglia umana e sociale, in cui si lotta costantemente e quotidianamente contro la più piccola sopraffazione. Allora la famosa battuta “adda passà a’ nuttata”, riferita alla guarigione di Rituccia, diventa metafora esistenziale.
Rituccia non vive più nella casa della famiglia Jovine. Adesso risiede in una zona “urbana” e fa la segretaria in uno studio medico. È sola. Non ha famiglia. Le uniche persone che conosce sono le pazienti del dottore che, tra l’attesa e un caffè freddo, si raccontano a lei. Tra di esse, una giovane innamorata e una donna malavitosa. E proprio la giovane, sedotta dell’uomo della sorella della malavitosa, sarà la causa della morte di Rituccia.
Fortunato Calvino è tra gli autori e registi storici di Napoli. I suoi spettacoli trasformano la realtà in tragedia grottesca, come solo può esserlo una telematica metropoli come Napoli devastata ancora da guerre fratricide tra malavitosi “guappi alla Viviani”. Ma la serietà dell’argomento non può scenicamente appesantire lo spettatore, ed ecco che con la maestria di chi il teatro lo fa da sempre e conosce bene il mestiere, Calvino inframezza la comicità – qui costruita proprio come una scena scarpettiana – in netto contrasto con gli assoli mnemonici di Rituccia, da vero teatro greco. Anche lo studio di Pirandello fa il suo ingresso con la scena del ventaglio costruita su movimenti scanditi da pause e mimica facciale di altissima qualità attoriale.
La scena (di Paolo Foti) è spartana. Sedie e scrivania. Gli ambienti sono video proiettati, mentre il gioco luci (di Renato Esposito) separa il ricordo dalla realtà e il dualismo di Rituccia che soprappone sé a sua madre Donna Amalia. Le musiche (di Paolo Coletta) sono beat del cuore. I costumi (di Annamaria Morelli) presentano già i personaggi: tuniche per la bravissima ed intensa protagonista Antonella Cioli, che s’aggira come Antigone tra le macerie dei ricordi e si aggrappa a fatica in una realtà dis-umana che riconosce ma non accetta; Antonella Morea, la malavitosa, apparentemente un personaggio leggero in realtà donna di potere sanguinario, è una pietra miliare del nostro teatro; Laura Borrelli, la fanciulla innamorata, disegnata da Calvino come un personaggio machiavellico e ingenuo al tempo stesso, è il filo rosso della storia. Della Borrelli sentiremo parlare molto presto, protagonista di ben altri palcoscenici. Infine ci sono le eclettiche Rosa Fontanella e Gioia Miale che, prima disperate di guerra poi donne di malavita, sono passate da un personaggio all’altro con grande maestria e naturalezza.
Rituccia ha il pregio di avere portato in scena temi delicati: quelli della guerra civile, del malcontento, della violenza, dell’indifferenza sociale che, mischiata al rancore, crea una miscela esplosiva e cioè l’odio oramai penetrato nella vita quotidiana di ognuno di noi. Tutti argomenti su cui ancora oggi non si riflette e dibatte a sufficienza. Uno spettacolo, infine, che alla fine lancia una sorta di sfida allo spettatore: la guerra siamo noi, è vero, ma noi siamo anche la storia. E solo grazie alle nostre gesta possiamo riscriverne un lieto fine.