«L'anima del Führer», Marsilio
Hitler in chiesa
Dario Fertilio ha recuperato a fatica i documenti che spiegano come il Vaticano favorì la fuga dei nazisti dopo il 1945. E ne ha costruito (quasi) un romanzo
Più o meno tutti, tanto per essere ottimisti sulla persistenza della memoria, sanno che molti gerarchi nazisti furono favoriti, e molto, dalla chiesa cattolica a mettersi in salvo raggiungendo paesi lontani e sicuri, in primis quelli del Sud America, in primis l’Argentina e il Cile. L’operazione salvataggio, che vide il pontefice su posizioni neutre o defilate (comunque de facto consenzienti), cominciò verso la fine del ’43 e durò, addirittura, fino al ’47. I nazisti salparono dal porto di Genova, dove arrivavano in modo sicuro, ossia con varie organizzazione di appoggio. Qualche nome: Erik Priebke, Joseph Mengele («l’angelo della morte»), Eduard Roschmann («il macellaio di Riga»), Adolf Eichmann (organizzatore del traffico degli ebrei verso lo sterminio), Otto Wachter (ebbe un ruolo importante nel colpo, di stato in Austria), Gustav Wagner (capo del lager di Sobibor), Franz Stangl (capo del campo di sterminio di Treblinka).
Perché facilitare la fuga dei demoni nazisti? Molti, a San Pietro, si rifacevano a una pietas che a sua volta aveva radici storiche. Dall’asylon dei greci, poi adottato dai romani. Non ultima la prevalenza del concetto di misericordia, anche di fronte a spietatissimi criminali. Fu comunque un’operazione dai contorni deliberatamente nebbiosi, per ovvie ragioni diplomatiche internazionali. Non va dimenticato l’interesse, da parte degli Alleati e dell’Urss, di recuperare alcuni scienziati tedeschi: potevano servire «dall’altra parte». Infine, c’era chi si ostinava a prendere in considerazione un «nazismo buono», ossia baluardo contro l’idolatria del capitalismo e l’orda marxista, blasfema al massimi livelli. Dall’altra parte, c’era il fronte pagano e adoratore del male, propagandato da Alfred Rosenberg o Ernst Bergmann. Doveroso aggiungere che la Chiesa cattolica difese parimenti, ospitandoli, molti ebrei.
Il brillante giornalista e scrittore Dario Fertilio ha ricostruito le fasi salienti di questa «via dei ratti» (definizione presa a prestito dagli inglesi: in una nave che affonda i topi trovano subito la via di scampo, vera o presunta). Fertilio, in L’anima del Führer (Marsilio, 215 pagine, 16,50 euro) ha raccolto informazioni tra mille difficoltà visto che molte fonti scritte sono (deliberatamente?) scomparse. Per dare un senso narrativo compiuto e coerente alla vicenda, è ricorso alla sua vocazione inventiva, sempre sul solco del verosimile.
Il libro si apre con la panoramica della sconfitta imminente dell’Asse, sottovalutata dai più idioti, o fanatici, nazisti e fascisti. Il 19 luglio ’43, anniversario dell’incendio di Nerone, i bombardieri americani inaugurarono la “area bombing” su Roma, “citta aperta”, come Firenze, Venezia e Assisi. Si alzarono in volo 321 bombardieri bimotori B25 e B26 (le fortezze volanti) che, affiancati da numerosi caccia, sganciarono sulla città 682 tonnellate di bombe (con il micidiale esplosivo Rdx). Varie manovre imprecise causarono più vittime del previsto. Furono uccisi 1500 romani. Seimila i feriti, 10 mila le casa sbriciolate o fortemente lesionate. Macabro particolare: non sfuggì alla pioggia di fuoco il cimitero del Verano. Molte tombe furono scoperchiate. Il generale Eisenhower pronunciò una frase dai toni nazisti: «Se per salvare un solo americano dovete buttare giù il Colosseo… buttatelo giù!». Il teatro Flavio rimase in piedi, mentre la basilica di San Lorenzo si tramutò in cumuli di macerie.
Fertilio, nella sua narrazione semi-romanzesca, fa uno zoom sulla città prussiana di Konigsberg, dove nacque Kant, da parte del Primo Fronte Baltico e dal Terzo Fronte Bielorusso. Inutile la resistenza della Werwolf, organizzazione Lupo mannaro: gruppetti di adolescenti convinti che Konigsber fosse destinata a diventare «la tomba del bolscevismo». Ridicola illusione. In pochi giorni dilagarono il tifo, la fame più disperata, la prostituzione, il collaborazionismo. Il venitreenne soldato Petr voleva godersi l’ebbrezza della vittoria. Sia per il fatto che non era un fanatico sia perché era nativo di Konigsberg (da genitori russi), il soldatino dall’animo sempre più mite, s’accorge dell’orrore della feroce occupazione e aiuta Maritza Altman, una tedesca, vedova e con una figlia (Sonia, poi richiusa nei centri di educazione marxisti per la “de-germanizzazione”). Le fa avere un impiego, quindi allevia la sua perenne fame. Nasce un quasi idillio. Petr, in Prussia col nome russo Koursov, ricevere l’incarico di fare la spia in Vaticano: i sovietici volevano vederci chiamo sulla «fuga dei ratti». Si spaccia come tedesco in fuga e sbarca a Roma, dove incontra una figura chiave, il vescovo austriaco Alois Hudal, che governata la chiesa di Santa Maria dell’Anima.
Questi aveva creato in certo imbarazzo con la pubblicazione dei Fondamenti del nazionalsocialismo, frequentato assiduamente da un certo Rauff, emissario della Germania. Dopo la morte di Pio XI e la salita al soglio di Pio XII (che non incontrerà mai), conta sull’indiretto assenso di questi per organizzare le fughe dei papaveri di Hitler. Hudal è un visionario. Ebbe un merito, quello di far cessare la caccia all’ebreo, a Roma. Davanti alla tomba di Adriano VI comunque prega perché si salvi l’anima di Hitler. Il credo del vescovo Hudal non rinnega la bontà della missione nazionalsocialista… «Ho sperato che il Reich interpretasse l’esigenza spirituae e storica di una conciliazione fra potere dello Stat e diritti naturali dell’individuo, alla luce del cristianesimo… Stato, Popolo e Razza restano comunque sottomessi alla parola di Dio».
Tenacemente visionario. E così si trova di fronte al “tedesco” Petr. Che aiuta organizzando, con i dovuti appoggi, luoghi sicuri in attesa dell’imbarco sulla nave destinata in Argentina. Petr dai molti nomi e affranto per la morte di Maritza, farà un inaspettato incontro sul punte dell’imbarcazione. Poco prima i nazisti lo cercheranno, non credendo alla sua fittizia copertura.