Radiografia del terrorismo/16
Galassia Al Qaeda
La strategia di difesa adottata dagli Usa dopo l'11 settembre 2001 si è dimostrata sbagliata. Soprattutto perché ha teso a indicare Al Qaeda come unico "nemico"
Tornando agli eventi immediatamente successivi agli attacchi dell’11 settembre 2001, nel mondo occidentale cominciò un dibattito sulle tattiche più adeguate a contrastare la minaccia del terrorismo. Tuttavia, in molti ambienti politici, i fraintendimenti su Al Qaeda, accusata di essere l’unica organizzazione terroristica implicata negli attentati americani, si stanno dimostrando persistenti. In effetti, l’idea che dietro la minaccia si trovasse un singolo uomo, Osama bin Laden, e un singolo gruppo, Al Qaeda, è stata, per certi versi, comoda e rassicurante. L’enorme difficoltà di comprendere la reale natura della moderna militanza islamica radicale induce a ricorrere a idee semplicistiche che danno senso a un fenomeno straordinariamente vario e mutevole. Eppure se l’unico vero colpevole fosse stato bin Laden, la sua uccisione avrebbe posto fine al problema del terrorismo e se Al Qaeda fosse stata l’unica organizzazione temibile, il problema sarebbe già risolto, ma come è evidente, non è così.
Per circa dieci anni si sono etichettati tutti gli avversari come Al Qaeda, permettendo ai governi di fare ciò che desideravano, riducendo al minimo le critiche internazionali. Dopo l’11 settembre, i governi potevano ottenere sostegno morale ed economico dagli Stati Uniti contro ogni minaccia si inquadrasse come terrorismo islamico. Durante l’autunno del 2001 cellule di Al Qaeda, mai individuate prima, furono “scoperte” in decine di paesi tra i quali l’Iraq.
È oggi chiaro che già quando la polvere delle Twin Towers non si era ancora depositata su Manhattan, persone influenti dell’amministrazione Bush decisero del tutto erroneamente che il regime di Saddam Hussein dovesse essere in qualche modo coinvolto negli attentati. Alla fine del 2001 ex alti funzionari della Cia e politici americani informarono i giornalisti che Muhammad Atta, uno dei responsabili degli attacchi, si era incontrato con un agente iracheno a Praga prima dell’11 settembre; le indagini del Fbi, della Cia, dei servizi segreti britannici e di altri paesi europei hanno in seguito dimostrato che questa affermazione, per altro in seguito ritrattata, era falsa poiché le ricevute delle carte di credito dimostravano che Atta, al momento del presunto incontro, si trovava negli USA. Nell’estate del 2002, il presidente George Bush e il primo ministro britannico Tony Blair hanno cominciato a parlare di “ampi legami” tra il regime iracheno e Al Qaeda. Da questo momento si inizia a delineare la guerra in Iraq, che scoppierà il 20 marzo 2003 quando le forze anglo-americane attaccheranno Baghdad.
La nuova dottrina di difesa americana fu formalmente annunciata in un documento presentato al congresso degli Stati Uniti il 20 settembre 2002. Dichiarando che l’era della deterrenza e del contenimento era finita, il documento impegnava gli USA, agendo anche da soli, se necessario, ad una campagna preventiva di vasta portata contro il terrorismo. Allo stesso tempo, il documento include una classica dichiarazione di universalismo americano. Si afferma che le istituzioni americane sono il solo possibile modello per il mondo, il XX secolo si è concluso con “una vittoria decisiva per le forze della libertà ed un singolo modello sostenibile di successo nazionale: libertà, democrazia e libera iniziativa”. La minaccia preventiva è una strategia allettante. Offre la speranza che i problemi sollevati dal terrorismo siano completamente risolvibili.
L’8 ottobre 2001 iniziano i bombardamenti sul territorio afghano. L’amministrazione Bush indica l’Afghanistan come la sede di Al Qaeda. Pochi giorni più tardi la paura di un attacco chimico da parte dei terroristi prende forma. Alcune persone accusano i sintomi del carbonchio e vengono riscontrare tracce di antrace nella corrispondenza che questi avevano ricevuto. Mentre le bombe continuano a tuonare in Afghanistan e mentre vengono fatte le prime vittime tra i civili, iniziano le indagini volte a scoprire i nomi dei mandanti delle lettere all’antrace. Un mese dopo viene divulgata la notizia che la cellula terroristica del gesto avrebbe agito all’interno degli USA. Gli americani sono sconvolti, non riescono a capire come un nemico che l’aviazione sta attaccando a chilometri e chilometri di distanza possa essere presente anche nel cuore del loro paese. I dubbi, più che legittimi, non fermano la guerra. Il terrorismo, come i virus, è dappertutto. C’è una diffusione mondiale del terrorismo, che è come l’ombra portata da ogni sistema di dominio, pronto a uscire dal sonno. Non si ha più la linea di demarcazione che permetta di circoscriverlo, il terrorismo è nel cuore stesso della cultura che lo combatte, è la frattura visibile che oppone sul piano mondiale gli sfruttati e i sottosviluppati al mondo occidentale e si congiunge segretamente alla frattura interna al sistema dominante.
La politica americana si è sviluppata in due fasi. La prima fase, quella della guerra al terrorismo, ha incontrato un relativo consenso tra gli Stati del mondo, quale che sia stato ovviamente il loro impegno reale. Questo consenso ha suscitato le riserve di una parte dell’opinione pubblica o dei movimenti in difesa dei diritti umani anche negli stessi USA. Al contrario, la seconda fase, l’asse del male, è oggetto di pesanti critiche anche fra gli alleati europei, critiche fondate su diverse argomentazioni.
La prima critica riguarda la minaccia eccessiva annunciata dagli USA. È difficile ammettere che una guerra di prevenzione possa giustificare l’insieme delle misure indicate dagli americani, che sono costose da un punto di vista politico, giuridico, in termini di libertà pubbliche, finanziario e, soprattutto, strategico giacché si potrebbe giungere ad un aggravamento delle crisi regionali e dei rischi di conflitti fra Stati più importanti, dalla Palestina al Kashmir. In secondo luogo, abbiamo già appurato che anche quando i terroristi si sono procurati armi (non si sa se di distruzione di massa), non l’hanno fatto attraverso Stati “canaglia”, ma attraverso intermediari mafiosi, all’interno di Stati che non sono considerati nemici come la Russia, oppure all’interno dello stesso blocco occidentale; per fare un esempio, l’antrace che fu utilizzato sulla costa atlantica degli Stati Uniti nell’ottobre 2001, proveniva dai laboratori americani. L’Iraq, del resto, considerato sempre dall’amministrazione americana uno “Stato canaglia” non disponeva di armi di distruzione di massa. La terza critica considera l’esteriorizzazione della minaccia trascurando il fatto che il terrorismo è un fenomeno tanto interno all’Occidente ed ai suoi alleati prossimi come l’Arabia Saudita e il Pakistan, quanto presente in molti altri paesi non solo del mondo arabo; questa diffusione è, inoltre, l’effetto di crisi regionali che la politica americana ha esasperato. Molti dirigenti coinvolti in azioni terroristiche sulla scia di Al Qaeda si sono re-islamizzati e sono stati reclutati in Occidente oppure si tratta di convertiti. La quarta argomentazione che è emersa anche all’interno dei circoli dirigenti americani, verteva sulla questione che gli USA non avrebbero avuto i mezzi per condurre più campagne militari su diversi teatri d’operazione (Afghanistan, Iraq) con i rischi susseguenti di aggravamento o di fusione di conflitti già esistenti, quindi di apertura di nuovi fronti (Iran ,per esempio). Tra l’altro l’operazione di mantenimento della “democrazia” in Iraq, più difficile del previsto, ha posto enormi problemi di immobilizzazione e di rotazione delle truppe poiché decine di migliaia di soldati sono stati mantenuti in zone di guerra ben oltre i dodici mesi abituali.
È chiaro che l’Europa non ha mai offerto alternative plausibili. Al di là della visione meno drammatica della minaccia, essa predilige il negoziato, la via politica e la cooperazione tra forze di polizia, senza avere i mezzi per imporre questa visione agli USA. Totalmente sopravanzata sul piano militare dagli Stati Uniti, non cerca né di concorrere con loro, né di influenzarli, accontentandosi di partecipare simbolicamente quando la causa sembra giusta, o facendosi da parte quando disapprova. È altrettanto vero che in Europa si vive una situazione differente da quella americana. Nei paesi europei esiste una congiunzione tra Islam, colonialismo, immigrazione e spazi d’esclusione sociale; questa congiunzione, che struttura l’immaginario europeo nei confronti dell’Islam, non ha senso per gli americani. L’immigrazione musulmana negli USA non corrisponde a spazi di esclusione sociale, che sono occupati dai neri o dagli immigrati dell’America latina: non è, dunque, potenzialmente contestataria. I musulmani che vivono negli USA appartengono piuttosto alle classi medie e i loro redditi sono al di sopra del reddito medio; il movimento politico Nation of Islam, in precedenza Black Muslims, costituisce un’eccezione, ma si situa al di fuori delle grandi organizzazioni musulmane, tanto sul piano dell’ortodossia religiosa quanto sul piano del reclutamento, esclusivamente razziale. Non è un caso, dunque, che l’80% dei musulmani americani voti il partito repubblicano. Tra l’altro, la maggioranza degli arabi americani è cristiana, il che rompe il legame tra arabo e musulmano, automatico in Europa.
Per concludere dobbiamo sottolineare, quindi, che le prime azioni nella lotta al terrorismo hanno condotto alla guerra in Afghanistan (2001) e alla guerra in Iraq (2003). In risposta a questi attacchi militari si sono susseguiti gli attentati terroristici “minori” avvenuti in territori islamici contro turisti e rappresentanti del mondo occidentale in Marocco, Indonesia, Kenya, Arabia Saudita, Turchia, Pakistan ed Iraq; mentre sul suolo europeo ci sono stati attentati di grandi dimensioni in Spagna, a Madrid, l’11 Marzo 2004 e in Gran Bretagna, a Londra, il 7 luglio 2005. Rinviando al prossimo articolo un’analisi più dettagliata della guerra in Iraq, sulle cui macerie l’ISIS ha costruito e continua a svilupparsi, preme sottolineare che la guerra in Afghanistan ufficialmente iniziata il 7 ottobre 2001 è ancora in corso.
Ufficialmente iniziata per distruggere Al Qaeda e uccidere Osama bin Laden, il primo obiettivo sicuramente non raggiunto grazie alla guerra in Afghanistan, il conflitto sembra non vedere ancora il termine definitivo. Il 2 maggio 2011 bin Laden viene ucciso in Pakistan . Nel maggio 2012, i leader della NATO promossero una strategia di uscita per ritirare le truppe. Le trattative di pace sostenute dall’ONU avvennero tra il governo afghano e i Talebani. Nel maggio 2014, gli USA annunciarono che le operazioni di guerra sarebbero terminate nel 2014, lasciando solo una piccola forza residuale nel paese fino al 2016. Ad oggi, decine di centinaia di persone sono state uccise nella guerra. Più di 4.000 soldati NATO e mercenari così come più di 15.000 membri delle forze di sicurezza afghane sono stati uccisi. Nell’ottobre 2014, le forze britanniche diedero le ultime basi nell’Helmand all’esercito afghano, ufficialmente terminando le operazioni di guerra.
Le foto testimoniano la guerra in Iraq del 2003.