Luca Fortis
La scena al centro dei conflitti

Fare teatro in Libano

«C'è sempre in Medio Oriente una nuova emergenza. Una delle poche risposte che abbiamo è l'importanza di porre domande grazie al teatro»: parla Hashem Adnan, fondatore del collettivo Zoukak

Il sole primaverile incomincia a scaldare l’aria di Beirut. La città è come sempre piena di energia, anche se la sua vitalità rimane sempre contraddittoria, a volte difficile da cogliere. I libanesi oscillano tra una volontà di oblio dei drammi del passato, che spesso rasenta la superficialità, ad una consapevolezza della propria cultura estremamente raffinata. C’è chi pensa solamente all’ultima borsa di alta moda da comprare e chi passa le ore immerso tra i libri. Per capire meglio il mondo della cultura libanese incontro Hashem Adnan, attore del collettivo libanese Zoukak (www.zoukak.org).

Come è nato il collettivo teatrale Zoukak?

Zoukak è un progetto che nasce nel 2006 in modo spontaneo, abbiamo tutti studiato arte e teatro, e finito gli studi non c’era molto da fare. Potevamo lavorare o per la televisione o nel mondo della produzione di programmi. Il teatro non era pensabile. In Libano un attore che calca il palcoscenico è trattato alla stregua di una prostituta o una di uno stripper. L’unica possibilità per fare quello che volevamo era essere indipendenti e contare sulle nostre forze. Per questo abbiamo deciso di creare una compagnia di teatro che fosse quasi un’onlus, L’idea era di lavorare in gruppo combattendo l’individualismo che domina il mondo. Noi pensiamo che il teatro dovrebbe essere l’opposto.  Quasi tutti i nostri progetti sono diretti da più persone, scriviamo in modo collettivo. E’ la dinamica di gruppo che ci interessa oltre che la ricerca dell’indipendenza. In un paese dove la guerra ha spazzato via tutto quello che c’era prima e dove era impossibile fare arte come collettivo, molti artisti se ne sono andati, o  hanno finito per cadere anche loro nel lato oscuro delle violenze settarie. Il paese

è stato sgretolato in tanti gruppi che si odiavano, il settarismo è diventato la norma. Tutti si sono chiusi in sette e gruppi religiosi, ma il teatro è un arte per tutti…

Se nell’epoca contemporanea in Occidente spesso è l’individualismo che domina, è anche vero però che in Libano sono i gruppi settari che trionfano. Mi può spiegare meglio qual è il vostro concetto di gruppo? 

Quasi tutti gli attori libanesi vivono spesso di tv, o cinema. Zoukak è un gruppo di individui che vuole vivere di teatro, pochissimi collettivi o individui possono davvero farlo. Un gruppo condivide anche un feeling comune o intuizioni, mai ideologie.  Per esempio uno di questi feeling è il sentirsi liberi dalle comunità settarie. Noi ci chiediamo sempre il significato del fare teatro oggi, ci interroghiamo sul perché vogliamo farlo e su cosa vogliamo dire alla società.  Non rispondiamo in modo idealistico, ogni domanda pone nuove questioni. C’è sempre in Libano o in Medio Oriente una nuova emergenza. Una delle poche risposte che abbiamo è l’importanza di porre domande grazie al teatro.  Nella vita ci sono tanti conflitti. Ci sono quelli economici, tutti vogliono mettere le mani sulla ricchezza, c’è la questione religiosa, abbiamo le tre religioni più grandi al mondo che vogliono prevalere l’una sull’altra, e poi ci sono i movimenti politici che sfruttano queste dinamiche.

zoukak1Quindi voi proponete un’idea di gruppo che combatta allo stesso tempo i settarismi e l’individualismo?

Sì, tutti in Libano della fede un’appartenenza, nel paese a volte sembra impossibile suggerire un’idea per tutti, ma non si può fare teatro per una sola religione, si farebbe propaganda. Ecco perché abbiamo deciso di combattere il settarismo e lo sfruttamento che i politici fanno di esso.

Nello stesso tempo nel mondo la questione principale è che non si vuole che si pensi o si sia indipendenti. Si suggerisce alla gente di essere parte del mercato economico come consumatore globale, tutto è un prodotto da vendere o comprare, in questo senso si integrano minoranze o religioni, ma solamente perché non ostacolino il mercato neo-liberale capitalistico. Non vi è in realtà nessuna filosofia umanistica dietro. Ci rendono simili a un sito internet in cui tutto è diviso in categorie nette, ognuno sa quale prodotto è per chi e per chi non è. Non c’è niente da chiedere bisogna solamente consumare. Penso che l’ideologia del mercato suggerisca un nuovo stile di vita che tagli i ponti con il passato, diventiamo bambini appena nati tutta la vita. Per me, non solo non è intelligente, ma non è nemmeno umano. Ci sono differenze storiche enormi tra Europa e Medio Oriente, ma la gente non capisce le differenze tra le varie storie o religioni perché tanto tutto ha già una risposta. L’Islam viene percepito in Europa come terrorismo e in Medio Oriente esistono altrettanti luoghi comuni sull’occidente. È molto difficile suggerire nuovi paradigmi distruggendo questi stereotipi.

Ma fate solo domande o date anche risposte?

Il teatro non può rispondere a domande o essere ideologico, si possono solamente porre questioni sulla realtà. Non si tratta di avere una meta, creiamo solo possibilità, poi chiunque può decidere o non decidere come rispondere. Per esempio alcuni anni fa abbiamo fatto una spettacolo sull’identità di genere e su quali siano le idee della società sugli uomini e le donne. Non abbiamo provato a dire la nostra società fa schifo e va cambiata, erano solo domande su  quello che accade che volevamo condividere con il pubblico, coinvolgendolo nella discussione. Perché fare domande in quest’epoca è fondamentale. È l’elemento centrale. È davvero difficile trovare buone domande in questo mondo pieno di pressioni. Sono pressioni differenti nei vari paesi del mondo.

In Libano uno dei fatti che spinge a farsi domande sul senso sella vita è la possibilità realistica di una morte improvvisa per un’auto bomba o una guerra. Noi abbiamo sicuramente un’idea diversa da quella occidentale sulla morte improvvisa per violenza politica, perché da noi è quasi un evento normale. Uno dei nostri ultimi progetti è proprio sulla percezione della morte e dell’immortalità nella società. Ci siamo ispirati all’epopea di Gilgamesh, racconto sulla relazione tra dio e l’individuo che ha influenzato poi tutte le tre grandi religioni monoteistiche. Tutte quante parlano dello stesso dio, ma indicano stili di vita diversi. Gilgamesh può ancora suggerire una idea molto attuale su cosa stia accadendo oggi.

Parlate anche della guerra civile libanese?

Un altro nostro spettacolo è Perform autopsy in cui affrontiamo la storia libanese. Quello che noi sappiano sul nostro passato è di solito molto limitato e dipende dal gruppo settario che lo racconta. Questo la dice lunga su di noi. Addirittura nelle scuole del paese non si insegna la storia degli ultimi 60 anni perché non c’è alcuna storia condivisa e quindi ogni libro o professore racconterebbe la sua visione conflittuale.

zoukak2Fate teatro conto l’oblio della propria storia?

Come Zoukak abbiamo tre direttive di lavoro che interagiscono l’una con l’altra. Abbiamo lavorato molto sul concetto di teatro come terapia, per esempio interagiamo con persone che hanno subito la guerra civile libanese e con i tanti rifugiati siriani o palestinesi presenti nel paese. Proponiamo poi ai ragazzi anche riflessioni sull’ideologia del mercato e sulle proposte politiche tradizionali nella Repubblica dei Cedri.

Sugli eventi storici libanesi proponiamo domande sull’esistenza o no di un’idea comune della storia. Nel nostro paese sono le famiglie le uniche che insegnano gli avvenimenti avvenuti dopo gli anni sessanta e ogni comunità ha la sua visione non condivisa con dagli altri.  Noi vogliano capire se è possibile parlarne. Vogliamo domandarci perché la gente vuole o non vuole parlarne.

Alla fine chiediamo al pubblico di raccontare le loro storie di quegli anni, molti vogliono dimenticare o addirittura vivono in un eterna negazione. Noi, tra la negazione e il dimenticare proviamo a suggerire una memoria collettiva che venga da storie personali. Raccontare gli accadimenti della propria vita agli altri è diverso che raccontare la storia del paese. Vediamo reazioni diversissime. Proprio per questo abbiamo creato un personaggio che cerca l’oblio, uno che fa il martire e un altro ancora che fa il criminale. Tutti in Libano pensano di essere martiri e che gli altri siano i criminali. Nella Repubblica dei Cedri dopo la fine del conflitto c’è stata un’amnistia e questo ha reso impossibile mettere in prigione i criminali di guerra che infatti ancora oggi governano il paese.

Conosce l’Ubuntu sudafricano? La “Commissione per la verità e la riconciliazione”, fu un tribunale straordinario istituito dopo la fine del regime dell’apartheid con lo scopo di raccogliere le testimonianze delle vittime e dei perpetratori dei crimini commessi da entrambe le parti durante il regime, richiedere e concedere (quando possibile) il perdono per azioni svolte durante l’apartheid, e riconciliare realmente vittime e carnefici, oppressori ed oppressi. Nel vostro teatro riecheggia l’idea di Mandela?

In Libano purtroppo non è accaduto niente di simile al processo di riconciliazione sudafricano. Si è messa semplicemente una grande pietra tombale. Al massimo si pagano soldi a chi ha avuto danni materiali o fisici.

Il sistema suggerisce al paese di tagliare con il passato e andare avanti pensando solo al lavoro e ai soldi. Meglio diventare business man, che rielaborare la storia da un punto di vista sociale.  Si può incontrare tranquillamente un taxista criminale di guerra che ti racconti fiero le sue gesta e ti dica pure che lo rifarebbe mille volte. Al massimo potrebbe aggiungere che ora serve la pace solo perché non è il momento della guerra, ma in futuro sarebbe pronto a tornare a combattere se servisse. Anche molti giovani, vittime delle ideologie dei padri, la pensano ancora così. Anche se, bisogna dire, che il gruppo che sta uscendo da questa prigione mentale e comincia a pensare in modo libero sta crescendo velocemente, ma non ha ancora potere. Altri invece hanno messo il passato nel dimenticatoio, ma non hanno alcun progetto sul futuro. Zoukak è nato anche per questo per riflettere su un progetto comune in un paese settario e diviso in mille comunità che si sentono tutte marginalizzate perché la costituzione ha diviso il sistema politico in quote, il presidente è per forza un cristiano maronita, il primo ministro è sunnita e il presidente del parlamento sciita. Nessuna persona appartenette ad altri gruppi religiosi, come per esempio i drusi, o gli alawiti, cristiani di altre chiese o atei, può ambire  a queste cariche. Inoltre, un sunnita o uno sciita non possono diventare presidente della repubblica, così come un cristiano primo ministro. Se la gente vuole combattere per i propri diritti lo fa purtroppo ancora attraverso la sua comunità.

Il sistema libanese, dopo la guerra civile, vive nutrendosi del caos. Il potere non è centrale, è un sistema mafioso tra varie famiglie che hanno smesso di farsi la guerra e si spartiscono il potere in mondo precario per fare business insieme o non ostacolare i singoli affari. Il Libano è stato creato da colonizzatori francesi, non era mai stato un paese e generare dal nulla una paese mettendo insieme persone che non condividono tra di loro alcuna idea comune sulla nazione ha creato un progetto assurdo che ha portato a far convivere insieme genti che si sentono arabe, europee, siriane. Tutti hanno doppie appartenenze. In questo senso, sì con il nostro teatro noi tentiamo di aiutare la gente a farsi domande, a pensare e in caso elaborare i tragici fatti degli ultimi decenni..

Ma le differenze possono essere una ricchezza, pensi all’Italia o l”Unione Europea.

L’idea dello stato nazionale è un idea falsa creata dal mercato ed ora tentano di unificare più mercati..

E se l’unificazione di più paesi con grosse differenze al loro interno fosse più simile ai vecchi imperi europei o a quello ottomano e quindi fosse proprio il superamento degli stati nazionali mono culturali?

Non so, per me rimane molto chiaro il tentativo di creare un mercato globale e siccome i vecchi regimi non danno più nulla al mercato, allora tentano di cambiarli… Il tentativo di dividere il Medio Oriente per paesi omogenei dal punto di vista religioso sembra in contraddizione con l’approccio del mercato capitalistico di voler creare mercati unificati di consumatori, ma in realtà potrebbe essere che paesi omogenei culturalmente possano poi essere più facilmente globalizzati.

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