«Vivere al ritmo della radicalità nella storia»
Cercasi libertà
Un saggio di Giovanni Feliciani cerca la terza via tra vecchia politica e nuovo disimpegno: un mondo «in cui gli individui si governano da soli, senza bisogno di capi»
Un libro «rappresenta la più importante macchina per comunicare e informare» e attenendosi scrupolosamente a questo suo concetto Giovanni Feliciani, filosofo ed editore, nel libro Vivere al ritmo della radicalità nella storia (Bibliosofica, 482 pagine, 20 euro), ci propone la sua visione della vita («La mia vita è una Filosofia», lo dice chiaro e tondo) e, vi assicuro, non è poca cosa. Un saggio scritto tutto in prima persona dove predomina l’Io inteso come l’autore, d’altronde non ci si poteva attendere altro da chi dichiara di rifarsi all’individualismo di Stirner e ad una parte del pensiero di Nietzsche. Feliciani è esplicito sin dall’inizio: se non volete essere coinvolti, se non volete guardare le vostre contraddizioni, se non volete abbandonare le vostre convinzioni o se volete rimanere chiusi nel vostro non fare e non dire, è meglio che non leggiate questo libro. Si potrebbe, quindi, pensare ad un eccesso di sicurezza dell’autore, ad una sorta di «mania di grandezza», ma non è così. Feliciani sciorina tutto il suo credo, può piacere o meno, ma questo è un altro discorso, e Vivere lancia più di un sasso nell’acqua stagnante della nostra società. Ci sarà pure qualcuno che si tufferà per vedere cosa c’è sotto i cerchi concentrici creatasi nella ferma e anche maleodorante acqua…
L’autore mette per iscritto ciò in cui crede, ciò per cui ha combattuto, l’io, non solo il suo ma un io generale, direi quasi cosmico, quell’io tante volte invocato ma di cui alla fin fine mai ci è importato nulla, o hanno fatto sì che non ci importasse nulla. Un io condizionato da tante, troppe ideologie, ismi e dottrine che ci hanno spersonalizzato e resi succubi di una società che non ci appartiene, mentre noi siamo vittime e prede della società stessa. Abbiamo intenzione di fare qualcosa per riappropriarci del nostro essere profondo, abbandonare e combattere le gabbie, toglierci le briglie che ci siamo fatti mettere? Ecco che Feliciani ha la pretesa di darci qualche “consiglio” o, meglio ancora, di farci prendere coscienza di certi condizionamenti. Si potrebbe obiettare che già in tanti hanno fatto il cahier de doleances della nostra società. Vero, allora un punto di vista in più di certo non può far male, ma potrebbe sicuramente arricchire il dibattito.
È ora, secondo Feliciani, di superare lo stallo storico, politico e filosofico in cui siamo immersi. È ora che ci si reinventi «creatori», che si esca dalla banalizzazione di cui tutti siamo vittime, che ci si ribelli al «potere politico» da singoli, ovvero non accettando più programmi politici di questo o quello e togliendo così loro la base su cui fondano il potere stesso. Una visione, per così dire, della lotta politica che può, in un primo momento, ricordare quella di José Saramago, là dove l’autore portoghese teorizzava un’astensione di massa per creare un vuoto politico che avrebbe distrutto la classe politica. Potremmo, dunque, parlare di un moderno anarchismo basato sulla cultura, sul sapere e sulla presa di coscienza di sé? Sì, ma non solo… Feliciani, infatti, si rifà espressamente al concetto («condizione umana») di Stato anarchico, «quello in cui gli individui si governano da soli, senza bisogno di capi, di autorità, e simili, in modo tale che dalla volontà di ciascuno di fare il bene proprio, che va però a vantaggio di tutti, cioè di tutta la società, ne nasca una comunità armonica ed equilibrata, a tutti i livelli: sociale, politico, economico, culturale, religioso, ecc.». Ecco che, specifica subito dopo, andrebbero raggiunte le tre “A”, ovvero Amore, Armonia ed Anarchia.
Facile a dirsi ma difficile da attuarsi. Eppure basterebbero pochi atti anche banali, che ci potrebbero far rendere conto di come siamo condizionati, basti pensare, sempre secondo l’autore, ai tanti giuramenti che siamo “costretti” a fare anche se non crediamo in quello che dovremmo giurare. Quanti di noi lo hanno fatto? «Tutta la nostra vita può essere riassunta “nel” ciò che abbiamo compiuto». Ecco, forse in questa frase è l’estrema sintesi del tutto. Siamo soddisfatti di ciò che abbiamo fatto? Saremo soddisfatti?
«Solo in pochi riescono a liberarsi da tale gabbia e vivono cercando di cambiare e migliorare la realtà, interiore ed esteriore», a me lettore non interessa sapere se Feliciani sia riuscito a liberarsi dalla sua gabbia, interessa sapere se, quando sarà il tempo, potrò dire: «Sì, in fondo sono uscito dalla gabbia». O perlomeno ci ho provato.