Un evento curato da Daniela Amenta
Storie del Tevere
Una sera, a Roma, per raccontare le avventure dimenticate e il mito calpestato del fiume. E per capire che la città della bellezza va vissuta, non solo demonizzata
Una serata qualunque in trattoria dell’Ostiense. Chiacchere, pizzette, penne all’arrabbiata, annaffiate da un bicchiere di birra o di vino. Eppure una serata diversa. Comunque da ricordare. Ce ne fossero tante! Perché l’invito a ritrovarsi qui, dove anche Pasolini faceva tappa nelle sue scorribande notturne insieme alle sue ombre, è per parlare del Tevere, di cui da questa sala a vetrate si intravede un’ansa limacciosa giù in basso tra cespugli e scarpate di detriti che sembrano discariche.
Un tempo lo veneravano come un Dio, perché portava tesori, ricchezza, lavoro. Oggi è una delle tante fascinose presenze dimenticate, rimosse di questa città così distratta e intorpidita da generare miraggi. Giusto dunque restituirgli per una volta attenzione. Un tributo che noi che ci viviamo dovremo versare come una tassa a tutta Roma per la sua straordinaria, sproporzionata bellezza. E non solo un dazio di pura contemplazione. Perché anche lo sguardo prima a poi si acquieta nell’abitudine, si addormenta d’appagamento. A volte di nostalgia. E allora anche l’incanto, la sorpresa si spegne.
Una città non è una bella passante, che le fischi dietro e poi chissenefrega ne arriverà un’altra. Per abitarla davvero, coglierne l’anima, bisogna raccontarla, magari farci a pugni ma raccontarsela. Specie Roma. Che se ne fa Roma della Storia di cui mena vanto, se non genera più storie. Al massimo solo lamenti: il traffico, la sporcizia, il disordine, i bus che non passano mai, i vigili che non ci sono o prendono le mazzette, la sinistra che fine avrà fatto.
Riunirsi in tanti, almeno un centinaio, un pubblico da teatrino off, per sentirsi raccontare, leggere storie che ruotano attorno al Tevere, al vecchio nume in disarmo. Come non si fa quasi più. Una serata controcorrente dunque, come l’ha battezzata Daniela Amenta, giornalista lasciata a terra dalla chiusura de l’Unità, che si sta riciclando come organizzatrice d’eventi a tema, per far movimento lei che nel «movimento» ci è nata. Un invito sparso in giro col passaparola, un’offerta di dieci euro, cena compresa, come biglietto d’ingresso. E un gruppo di colleghe, scrittrici, scrittori, poeti, cantautori, chiamati a intrattenere i presenti con i loro racconti. Le loro impressioni, le loro rime nel cassetto. Dedicate al Tevere. Non una conferenza, quelle, che noia, lasciamole al Rotary, ma un happening partecipato, complice, che lascia più echi dentro. Speciale perché sa di casa e non di salotto. Di informazioni vissute e metabolizzate in una visione critica di città e non rubate agli asettici cataloghi di Internet.
Come quelle rimesse in circolo da Ella Baffoni e Susanna Schimperna che evocano la grande impresa, sponsorizzata ma poi vissuta con delusione da Garibaldi, che ha salvato Roma dalle ricorrenti piene ma, rinchiudendolo tra le quinte di enormi Muraglioni, ha condannato il Tevere in cantina e trasformato in cartoline amarcord da museo le vedute di Roesler Franz. O introdotte e offerte al dibattito da Jolanda Bufalini, altra ex Unità, che ha cominciato a guardare il Tevere e a pensare ricette per recuperarne l’oblio dalle sponde del Tamigi, dove ormai vive suo figlio, e dove proprio lungo il fiume si è sviluppato il rilancio della città.
Ma soprattutto storie, pescate nella propria memoria e trascinate in buona scrittura, inizio di una collana di altre storie sui cui tutti potrebbero lavorare, provar voglia di aggiungere magari altri anelli, come succede solo quando si vede un buon film, si legge un buon libro. Quella raccontata da Daniela Amenta, ad esempio, ambientata ai bordi della Magliana. Protagonista un ragazzino, afflitto dalla stessa malattia alle ossa del pianista Petrucciani, che corona un sogno impossibile: difendere la porta della squadretta del quartiere nel derby con una parrocchia vicina. Finirà con un pareggio che ha il sapore epico e amarognolo delle partite descritte da Soriano. E ancora altre schegge di vita come quelle sprigionate dai rap romaneschi di due poeti cantautori, come Alessandro Pieravanti del Muro del Canto e Vinicio Pizzalis.
Come si può considerar morto o agonizzante un fiume come il Tevere che suggerisce e fa mettere in rima anche le immagini poco spettacolari del suo degrado? Della spietata cattiveria cui fa complice e sfondo. Come nel folgorante racconto a specchio di Luigi Bonanni, cantante e animatore dei Centocelle city rockers, che chiude la serata. Roma, piazza Trilussa, ai giorni nostri: due eroinomani che si stanno drogando sotto il ponte buttan via le siringhe già riempite per sfuggire alla polizia. Roma, la stessa piazza, mezzo secolo dopo. Il fiume è coperto, ingabbiato da una guaina d’acciaio che lo nasconde alla vista. Solo un letto di melma ormai dove due archeologi stanno scavando. Ed ecco rispuntano fuori le due siringhe ancora intatte e già pronte, che gli scopritori, entusiasti, si accingono ad usare. Tra tante reliquie inutili e mute il tesoro è resuscitare quella leggendaria pozione magica fuori circolazione che porta l’oblio.