Celebrazioni a Gubbio e a Cantiano
Riti e miti: è di scena il Venerdì Santo
La Passione e la Morte di Cristo si offrono alla “meditazione collettiva” attraverso secolari teatralizzazioni. Come quella della cittadina umbra, con la sua processione al suono delle battistrangole, e la “Turba” che sveglia il paese marchigiano alle 5 del mattino
Pensateci bene, mentre mettete in valigia la giacca più leggera e i jeans per fare delle vacanze di Pasqua l’occasione di una pausa rigeneratrice dello spirito in qualcuno dei topoi del Bel Paese. In qualsiasi borgo troverete celebrazioni del Triduo, quei tre giorni segnati dal dolore che si tramuta in speranza. Scrive Franco Cardini (I giorni del sacro, Milano, 1982) che nella cultura popolare italiana «la Settimana Santa costituisce un grande rito di meditazione collettiva sul mistero della morte e al tempo stesso di esorcismo di essa. Quanto più tremenda e dolorosa è la morte di Dio, tanto più essa è candidata a essere sconfitta ben presto allorché si scioglieranno le campane della Pasqua».
Ecco allora nello Stivale, al Nord e soprattutto al Sud (dove ghermisce di più la sofferenza), le «teatralizzazioni del sangue», come le chiama Alfredo Cattabiani nel suo Calendario (Milano, 2003). E se a Trapani per i “Misteri” sfilano statue di cartapesta e a Sordevolo, in provincia di Vercelli, la processione del Venerdì Santo ha come colonna sonora la musica cinquecentesca di Giulio Dati, il gemellaggio tra religiosità, storia, arte e parola si sigla in due posti al centro dell’Italia, divisi da una manciata di chilometri e da un valico appenninico. Sono Gubbio, la città francescana dell’Umbria, fiera però di un passato laico che faceva delle autorità civiche gli arbitri della vita sociale, e Cantiano, primo comune marchigiano sulla via Flaminia, stretta tra gole montuose e l’alveo del fiume Burano, sovrastata dal dantesco monte Catria, fiorita in primavera degli alberi di visciole per la produzione di celeberrima confettura.
Gubbio e Cantiano sono divise da una strada provinciale chiamata “Contessa”. Una fettuccia che si percorre in meno di trenta minuti. Il paese marchigiano dunque era nell’orbita di Gubbio, al punto di essere inserita nella medesima diocesi. Così se dal XIII secolo a Gubbio si prese a celebrare, e si celebra ancora, la Passione e Morte di Cristo con una processione, a Cantiano si tiene in contemporanea la Turba: impegna tutti gli abitanti dall’alba alla notte del Venerdì Santo in una rappresentazione spalmata in piazze e sagrati e culminante sul colle Sant’Ubaldo, che tre Croci piantate fendendo la prima erba trasformano in Golgota.
Il segno dei movimenti laici penitenziali del Medioevo marchia entrambe le manifestazioni. Infatti le confraternite di ardenti fedeli che avevano in odio il fasto della Chiesa e gli contrapponevano, attuandola in prima persona, una vita di povertà, sofferenza e dedizione all’altro trovarono in San Francesco il più fulgido portabandiera. E il Santo di Assisi soggiornò a lungo a Gubbio, legandola al miracolo del lupo, e predicò anche nelle contigue Marche. Ecco allora che il canto orale del Miserere e il suono lugubre delle “battistrangole”, uno strumento di legno percosso alternativamente su ogni lato da maniglie di ferro, caratterizza entrambi gli eventi.
La processione eugubina è curata appunto da una confraternita, quella di Santa Croce della Foce. Quando arriva la sera, Gubbio si illumina di torce e fiaccole. Il fuoco è simbolo di purificazione, richiesta di perdono a Dio. Così, rendendo corruschi le antiche pietre, i merli, i portali di palazzi gentilizi, falò vengono accesi in piazza San Pietro, via Dante, Largo San Marziale. È la scena su cui sfilano i “Sacconi”, i personaggi vestiti di ruvidi abiti che connotano la Confraternita. Mostrano i simboli della Passione, un teschio, che rimanda al Golgota, e le statue del Cristo Morto e di Maria Addolorata. Due cori intonano il Miserere a due voci. Preghiere, crepitio di fuochi, il suono dei battistrangole, le ombre lunghe sui monumenti: rivive il Medioevo dei flagellanti e delle laudi francescane.
Anche a Cantiano si mette in scena al suono dei “battistrangole”. Ma qui, si diceva, il “film” del Venerdì Santo comincia alle cinque del mattino, con i giovani che percuotendo lo strumento percorrono le vie del paese e danno la sveglia a quanti vogliono fare il “giro della sette chiese”, lo stesso numero dei luoghi santi di Roma, ma anche le sette parole di Gesù in Croce o i sette dolori della Madonna. Mentre nelle cucine si preparano ciambelle, cresce, pasta e ceci, fuori la “turba” degli abitanti recita l’Ultima Cena, la condanna e l’uccisione del Redentore, coinvolgendo duecento personaggi in costume, in un caso particolarissimo di rappresentazione riconosciuto dall’Istituto del Teatro dell’Università di Firenze. Anche qui la memoria più lontana risale al movimento dei Battuti, penitenti che procedevano flagellandosi nudi nel cammino della sofferenza e della redenzione. Quella più recente va invece all’anteguerra, allorché i cantianesi usavano solo la mimica e il canto del Miserere, mentre oggi la parola e la recitazione di passi salienti del Vangelo rende più immediata, ma forse meno suggestiva, la comprensione dei fatti narrati. Proprio in Luca è scritta la parola “turba”, nel significato di folla tumultuosa: «…mentre Egli ancora parlava, ecco una turba di gente. Li precedeva colui che si chiamava Giuda, uno dei dodici, e si accosto a Gesù per baciarlo…».
La scena del tradimento è rappresentata intorno alle 21 nel Parco della Rimembranza. Seguono il processo e la condanna di Cristo e, alle 23, l’ascesa al Calvario. Chiude la sfilata finale dei personaggi verso la Collegiata di San Giovanni Battista. Ma è già il nuovo giorno, quello della Resurrezione.