Simona Negrelli
Visto al teatro Morelli di Cosenza

Pirandello & voce

Inseguendo il magistero di Carmelo Bene e Leo De Berardinis, Roberto Latini interpreta tutte le voci dei "Giganti della montagna" come fossero una partitura dell'anima

Il suo teatro è innanzitutto un omaggio e una dichiarazione d’amore al teatro stesso. Le sue performance sono un metalinguaggio che fanno dell’incontro col pubblico il proprio centro vitale. Per questo I giganti della montagna di Pirandello è un dramma perfetto per Roberto Latini, un manifesto della potenza dell’immaginazione e del ruolo insopprimibile della poesia e dell’arte, nonostante declini culturali ricorrenti e sconfessioni da parte delle masse. Calzante anche per l’attenzione alle diverse tonalità vocali, sottolineata in alcune didascalie del testo. Che Latini prende e smembra, frammenta e assembla per costruire uno spettacolo (visto al teatro Morelli di Cosenza, come penultimo appuntamento dell’interessante stagione curata da Scena Verticale, e prodotto da Fortebraccio Teatro) che è una polifonia in cui le battute di ben quindici personaggi si esprimono nella moltiplicazione delle voci, resa evidente dai quattro microfoni in scena, da parte dell’attore-regista.

L’idea originaria era quella di farsi affiancare sul palco da un’altra attrice, ma poi la decisione, forse un po’ azzardata, di proseguire in solitaria. Il risultato è un lavoro incentrato sulle capacità attoriali di Roberto Latini, consacrate, tra l’altro, da un premio Ubu come miglior performer ricevuto nel 2014. Per i suoi studi sulla voce sono stati scomodati più volte Carmelo Bene e Leo De Berardinis, riferimenti imprescindibili per chi, come Latini, usa le corde vocali come fossero uno strumento musicale. Non è un caso che abbia studiato alla scuola di Perla Peragallo che con Bene ha collaborato spesso e con De Berardinis ha lavorato per anni in un vero e proprio sodalizio artistico.

roberto latini2Latini si cimenta col dramma incompiuto di Pirandello a dispetto di chi, in passato, sosteneva che, proprio per il fatto di non essere stata portata a termine, l’opera non dovrebbe essere rappresentata. «Sono sempre stato affascinato dal non finito […] per il teatro è qualcosa di ontologico», scrive nelle note di regia. Prima di lui, lo stesso De Berardinis aveva interpretato e diretto I giganti della montagna, anche se il pubblico forse conosce maggiormente la versione più “classica” di Strehler, trasmessa anche dalla Rai. Roberto Latini concentra tutto in se stesso, sfumando il contrasto, presente nel testo, tra la compagnia di attori in bassa fortuna che, al seguito della contessa Ilse, porta in giro il dramma scritto da un grande poeta, suicida dopo il rifiuto della contessa-attrice; e il gruppo dei cosiddetti “Scalognati”, formato da personaggi eccentrici che, capitanati dal mago Cotrone, si sono rifugiati in una villa abbandonata, perché infestata dagli spiriti, per sfuggire alla realtà e poter vivere di sogni. Gli attori vengono ospitati dagli scalognati nella villa, nell’intento di allestire lo spettacolo per i giganti, esseri dediti alla vita materiale e al denaro, in occasione di una festa nuziale. Il dramma si interrompe a questo punto, al secondo atto. La morte sopraggiunta inesorabile ha impedito a Pirandello di scriverne il terzo, anche se sappiamo (grazie agli appunti dettati dal premio Nobel al figlio) che si sarebbe dovuto concludere nel peggiore dei modi: i giganti non apprezzano il dramma e fanno strage degli attori. Ma l’immaginazione e la poesia vivono anche senza interpreti, perché «se siamo stati una volta bambini, possiamo esserlo sempre», ammonisce Cotrone alla fine del secondo atto. Per questo l’azione si svolge «al limite, tra favola e realtà».

Latini dà forma a questo confine onirico, costruendo una partitura per voci, suoni e immagini. Ai diversi toni, che vanno dallo stile rap alle profondità cavernose fino al birignao, corrispondono maschere e posture, come quelle da commedia dell’arte o da artista di strada sui trampoli, a volte col viso trasfigurato da una calza o in nudo integrale, fino al gran finale, in cui Roberto Latini si erge su tutti, sospeso nel vuoto su un trampolino, che poi sembra un’ara sacrificale quando vi si distende. Voci e movimenti sono accompagnati da suggestive musiche e suoni, composti da Gianluca Misiti, inscritti in una scenografia spettrale e magica, che si avvale di elementi curatissimi (realizzati da Silvano Santinelli) come il campo di grano o il lampadario a gocce e i sipari di velatino che si abbassano e si alzano a illuminare e soffondere la scena. Il fumo, le bolle di sapone e i giochi di luci (dirette da Max Mugnai) fanno il resto. Il risultato è uno spettacolo immaginifico, un po’ cerebrale, in cui gli effetti scenici e lo stupore prevalgono sull’emozione.

Le foto sono di Angelo Maggio

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