Riflessioni sul pelo dell'acqua
Il tuffo mistico
Uscire dall'acqua, salire sul trampolino, tuffarsi e ritornare nell'acqua significa descrivere un ciclo vitale. Lo sapevano bene gli antichi, mentre noi oggi talvolta lo dimentichiamo
Il suono della parola tuffo rende molto bene il senso dell’azione che stiamo facendo. La t ricorda la terra, il trampolino di partenza, mentre le due effe trasmettono il rumore dell’entrata in acqua. In una sola, veloce traiettoria, vi sono riuniti tre elementi naturali, terra, aria, acqua, perciò fare un tuffo significa attraversare frontiere, perdersi nel tempo.
Già i greci di Paestum misero la pittura dell’uomo che si tuffa all’interno della parete di una tomba, la bellissima tomba del tuffatore visibile proprio nel Museo Archeologico di Paestum. Il tuffo voleva sintetizzare cosa era stata la vita di quell’uomo, un veloce passaggio da un mondo conosciuto, la terra, ad uno sconosciuto, il mare. Fra la terra ed il mare c’é l’aria, l’unico spazio che l’uomo riesce ad abitare. Nel momento in cui l’uomo non ha più i piedi per terra e comincia a cadere, solo in quel momento egli può trasformare la sua caduta in un gesto esemplare, cioé in arte. Poi la caduta sarà irreversibile, ingoiato dalla profondità del mare.
A rendere ancora più affascinante il significato del tuffo vi è l’esempio che appare spesso nella letteratura dei mistici: l’esperienza del mistico, essi dicono, è simile a quella di un uomo che in pieno oceano si tuffa senza salvagente. Se camminare sull’acqua con la nave, significa affermare la potenza dell’uomo, tuffarsi dalla nave in pieno oceano, significa abbandonarsi a Dio. Nell’esperienza mistica l’oceano è Dio, il tuffo è il violento passaggio di stati diversi, il pensiero è il mezzo per conoscere l’oceano. Come si vede, quello del mistico è un tuffo violento, verticale, dove non vi sono maestri, perché ogni uomo è in balia di se stesso. Quando si è in acqua si hanno due possibilità: o si muore nella disperazione o si impara subito a frequentare l’infinito, cioè Dio.
Infine vi è un terzo, drammatico, esempio per sottolineare l’equivalenza fra tuffo e morte. Nell’Argentina dei generali, ogni giovedi pomeriggio un elicottero si alzava in volo e buttava nell’oceano i corpi dei desaparecidos, facendo fare ad essi un terribile tuffo. Le piroette fatte nell’aria, in questo caso, non erano una forma d’arte, ma un immenso gorgo. I corpi di quelle persone graffiavano l’aria, scavavano cunicoli profondi nell’oceano, che ancora oggi non si sono ancora riempiti.
Fino ad ora abbiamo visto che il passaggio veloce dal trampolino all’acqua, rappresenta la morte, o almeno una esperienza con l’infinito, ma vi è un altro tipo di tuffo che non ricorda la morte bensì la vita. È il tuffo al contrario, il tuffo capovolto, come se ognuno di noi uscisse di corsa dall’acqua, scavalcasse l’aria in fretta e si mettesse sul trampolino della terra. Questo tipo di tuffo noi lo facciamo con la nostra venuta al mondo. La nascita può essere vista come un vero e proprio tuffo al contrario. Questa volta il passaggio non è dalla terra all’acqua, ma dall’acqua alla terra , dalle acque amniotiche della madre alle mani della levatrice che, ancora una volta, ti mette a testa in giù, con qualche capriola nell’aria, poi ti avvolge in un lenzuolo di cotone.
I due tipi di tuffi ricordati, quello che va dalla terra all’acqua e quello che va dall’acqua alla terra sono completamente diversi ma hanno in comune l’acqua, l’elemento dove l’uomo muore ma anche dove rinasce. Uscire dall’acqua, salire sul trampolino, tuffarsi e ritornare nell’acqua, quindi, significa descrivere un ciclo vitale. Un ciclo in cui l’acqua è l’elemento della trasformazione, della vita e della morte insieme. Morire nell’acqua, perciò significa anche rinascere, e rinascere significa tuffarsi di nuovo nel mare senza confini. Tuffarsi e uscire dall’acqua sono gesti che facciamo tutti i giorni, ma a ben vedere non sono né semplici né innocui.
Chi ha scritto un piccolo ma denso saggio sul rapporto fra tuffo e letteratura è lo scrittore Raffaele La Capria, il quale ha paragonoto un libro ben scritto al tuffo ben riuscito. «Il tuffo, diversamente da un racconto o un romanzo, una volta fatto scompare. Tutto avviene molto rapidamente, è un attimo di bellezza in cui giocano come s’è visto diversi fattori, e che lascia solo una labile traccia nella memoria. Questo senso di effimero è molto simile all’attimo fuggenta che talvolta cogliamo nella vita. La letteratura si propone invece di durare, vuole riscattare la vita dalla sua fugacità, fermare l’attimo fuggente». (da Letteratura e salti mortali)
Se la vita è un tuffo effimero, l’arte cerca di far durare nel tempo quell’attimo fuggente che è la vita di tutti noi.
C’è un solo modo per sottrarsi alla malinconia di queste considerazioni: buttarsi dai faraglioni di Capri con il deltaplano, e invece di cadere nell’acqua fermarsi nell’aria, girare, salire e scendere per il cielo, andare oltre le nuvole, oltre la fantasia e la ragione e in questo percorso dimenticare il mare. Questo sarebbe un gesto assoluto, con una unica precauzione: non avvicinarsi troppo al sole, altrimenti si fa la fine di Icaro che si bruciò le ali per aver volato troppo alto e fece il più lungo tuffo, la più disperata caduta che la fantasia possa immaginare: una caduta lunga quanto lo è la nostra fantasia.
Meglio lasciar perdere Icaro, meglio andare a mare e tuffarsi dal pedalò!