Silvio Perrella
Cartolina da una crociera

Il tempo del mare

Il mare continua ad andare anche quando la vita, sua una nave da crociera, è sospesa. Passano le ombre e le città: nessuno sa se sia più importante vedere o divertirsi...

Si va e si torna. Il desiderio sarebbe  quello di tornare diversi. È così? Difficile dirlo, perché negli anni del turismo di massa – il turismo della contemplazione ad ore – è rarissimo riuscire a fare davvero un’esperienza. E allora? Si va e si torna lo stesso. Levi Strauss aveva sentenziato: i viaggi sono finiti. Aveva ragione e aveva torto. Di sicuro, il viaggio ha smesso di essere una forma di conoscenza. D’altro canto, mai il mondo è stato freneticamente percorso come negli ultimi decenni.

Così anche tu sali su una bella e grande nave e ne segui le tappe lungo i porti del Mediterraneo orientale. Sei in compagnia di quasi duemila sconosciuti. Li vedrai qualche volta a cena o a pranzo o addormentati su uno dei tanti lettini che corrono lungo il ponte più alto.

Presto scopri la poppa. La nave lascia dietro di sé una scia ampia. Il suono delle acque ribollenti è simile a quello di una cascata. La maestà del mare, da poppa, appare con più evidenza. Te ne stai lì e guardi. La nave va, di giorno e di notte, mentre dormi e quando mangi. Segue una rotta precisa. Il comandante sa che tra un tot di ore attraccheremo nel porto di Corfù. Vuol arrivare al più presto, prima delle altre navi che come la nostra fanno lo stesso itinerario. Così avrà libero il molo migliore.

I computer osservano il mare, ne vivisezionano le immagini, tengono ferma la rotta. Il comandante dà i suoi ordini a voce, e c’è chi li ripete e chi li esegue  in zone diverse e lontane della nave.

Al mattino, la nave è già agli ormeggi. Le automobili scorrono laggiù. È la prima immagine della Grecia. Lì in fondo deve esserci il centro storico. Ci andrai con tua figlia. Ma per il momento te ne stai ai bordi della piscina, nel turbinio di suoni e di parole degli animatori. Corfù è laggiù, ma la nave è già un mondo autonomo e illusoriamente autosufficiente. Si potrebbe non scendere mai, dando solo un’occhiata al mondo in cui si attracca. Perché mai abbandonare l’aria condizionata per entrare nell’afa dell’estate imperante? Perché sprecare sudore per vedere quel che i depliant illustrano già con così tanta efficacia?

Molti infatti non scendono, altri si intruppano nelle escursioni organizzate, qualcuno prova a mettere i piedi sul molo e s’avventura per i fatti suoi, tanto la nave lo aspetta nel porto: tempo tre o quattro ore bisogna tornare indietro.

nave da crocieraQual è la verità di un viaggio? Sei partito perché t’interessa conoscere la Grecia o avevi solo bisogno di attraversare uno spazio che non conosci?

Le domande cadono dentro la scia lasciata dalla nave. Nel silenzio mattutino del mare Egeo, il suo passaggio deve sembrare ai pesci un maremoto insopportabile. O invece si sono abituati al passaggio delle navi da crociera e semplicemente si spostano di lato o vanno più in fondo. Dentro si fa colazione, fuori il mare è immacolato, sembra smaltato di un blu terso e scintillante. Viene da piangere a vedere quanto è bello, pronto ad accoglierti, prodigo di isole su cui poggiare prima gli occhi e poi i piedi. S’avvicina Santorini, la nave rallenta, pronta ad entrare nel cerchio del vulcano frantumato. Non si sa bene dove guardare per prima, ma pochi guardano. I lettini voltano quasi tutti le spalle al mare. La bellezza passa invano. O viene imprigionata dai telefonini-fotocamere e altri aggeggi elettronici. Gli animatori non si fermano un attimo. D’altronde fanno il loro lavoro. Però dinanzi a tanta bellezza bisognerebbe suggerire il silenzio; sarebbe necessario un rito di accoglimento. Tutto, invece, sembra uguale a tutto.

Dalla sommità di Santorini, si vede la nave starsene placida in attesa dei crocieristi. I taxi nel frattempo vanno verso le spiagge. Nere, vulcaniche, non affollate, con persone gentili che per pochi euro ti forniscono il necessario per stare sdraiati all’ombra. Ci si potrebbe fermare qui, non tornare sulla nave, far finta di niente, dimenticarsi in riva al mare.

Ma nel primo pomeriggio del giorno successivo la metropolitana che parte dal Pireo ti porta quasi al Partenone. È come se fossi uscito di casa e invece di andare a fare una passeggiata al Vomero fossi andato alla Plaka. Atene è una città moderna, tutti ti hanno detto che è brutta, ma a te non importa. Il Partenone è mezzo smontato. Quando alzerai gli occhi per vederlo da giù, ti sembrerà di fare un movimento simile a quello che fai quando guardi San Martino da piazza del Plebiscito.

Atene anche se è brutta ti piace. Non sai dire perché. Forse ti impressiona il nome. O forse ogni nuova città che si aggiunge ai tuoi occhi si rafforza con le altre città.

Adesso sei a Dubrovnik e non puoi non chiederti come è stato possibile che qualcuno abbia  potuto pensare di bombardarla. Passeggi lungo le mura e guardi i tetti e le tegole nuove sono il segnale che lì è caduta una bomba. Oggi è stato tutto ricostruito, sono rimaste le mappe dei luoghi colpiti.

La nave continua ad andare. Il mare si apre e la fa passare. Il mare ti piace. È per questo che sei salito su questa nave. Ti piace dormire quando la navigazione è in corso. Ti piace che nella tua immobilità corporea qualcosa fuori di te sia in movimento.

Il telefonino non sa più se darti la linea croata o quella italiana.  Sei andato e stai tornando. Il viaggio ti ha cambiato? Cosa ti rimarrà tra qualche settimana? Sì, forse i viaggi sono finiti. È rimasto un infinito andirivieni. E tu non ti sottrai. Quando scendi dalla nave, ne hai già nostalgia.

Il mondo della vita quotidiana ti riprende subito con sé. Sul giornale leggi dell’ennesima nave della disperazione. C’è chi parte e non torna, come il bimbo di cui si parla oggi, la cui madre, sapendolo morto, ha lasciato cadere in mare. Pensi al suo corpo che scivola verso il fondo, ai pesci che lo guardano attoniti. Hai rimesso i piedi per terra.

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