A proposito di «Homo Homini Virus»
Il romanzo del corpo
Il nuovo romanzo di Ilaria Palomba è un'opera totale che mescola i generi e le ambientazioni. Per raccontare una generazione che vive la corruzione etica sul proprio corpo
Ilaria Palomba torna al romanzo dopo esperienze molto diverse tra loro che ne fanno un’autrice eclettica e per certi versi bovarista (del resto è nota la sua passione per la Francia, non so per Flaubert…). Nel frattempo ha pubblicato un saggio sulla body art scritto durante un soggiorno alla Sorbona, partecipato a performance, coinvolto artisti diversi in un movimento culturale detto dei Cardiopatici, scritto versi e racconti erotici, organizzato serate a metà tra messe in scena e reading letterari.
Il lettore che si aspettasse una replica del suo fortunato esordio, Fatti male, è destinato a qualche sorpresa, stilistica oltre che ovviamente di trama. Leggendo il suo Homo homini virus, appena pubblicato da Meridiano Zero (308 pagine, 18 euro), in effetti si ha la sensazione che la forma tradizionale della narrativa le vada stretta. Intendiamoci, si tratta senza dubbio di un romanzo, ma nello stesso tempo tende verso qualcosa di diverso. Vuole essere discorso filosofico, poetico, sociologico, talvolta quasi un reportage. Una sorta di opera totale, divisa in tracce come fosse un album di canzoni rock, citate in ogni capitolo, dai Doors ai Cure, solo per fare due esempi. È una condanna accesa di molti vizi contemporanei e una presa di posizione fortissima dalla parte di chi cerca di sopravvivere alla bruttura del mondo attraverso l’arte, anche se si tratta dell’ultima frontiera dell’arte estrema di oggi.
Ilaria Palomba tende a dilatare la prospettiva romanzesca senza comunque spingersi verso quello che si definisce romanzo/mondo, che a seguito degli Increati di Antonio Moresco va oggi tanto di moda nelle discussioni più o meno letterarie. Convinta, credo, che non ce ne sia bisogno. Non forza le strutture narrative spappolandole in una fluvialità incontenibile di tipo intimista e solipsistica, sceglie invece di accomodarsi, o finge di ritrovarsi, in un contesto tipicamente realista, ritrae protagonisti credibili, ambienti ben descritti, azioni verosimili. Insomma è più vicina di quanto possa sembrare a un autore che dichiara di amare molto, Michel Houellebecq, con il quale ha in comune la critica radicale della società vista come strumento di sopraffazione che porta al sacrificio chi non cede al suo nichilismo amorale e condanna gli altri a farsi carnefici o indifferenti. Houellebecq per dire la sua sul mondo usa forme tradizionali, senza disdegnare nemmeno quelle del romanzo di genere, fantascientifico, distonico o perfino il reportage turistico. Ilaria Palomba esplora il realismo immergendo la descrizione di ambienti e azioni in un flusso di pensieri intimi. Proprio a questa forma a metà strada tra narrativa, lirica e roman philosophique viene affidata la parte più profonda di Homo homini virus, annunciata da una citazione del filosofo Mario Perniola sulla comunicazione. La trama del romanzo viene introdotta invece da un’altra citazione, tratta da Papà Goriot di Honoré de Balzac: «La corruzione esiste in abbondanza, il talento è raro. La corruzione perciò è l’arma della mediocrità preponderante, e ne sentirà dappertutto l’aculeo».
I giovani protagonisti di Homo homini virus avvertono le punzecchiate dell’aculeo della mediocrità mentre attraversano il mondo dell’arte estrema contemporanea, performance e body art, cercando di far valere il proprio talento. Angelo vorrebbe fare il giornalista e viene sfruttato come tutti gli aspiranti cronisti senza raccomandazioni. Iris è un’artista che usa il proprio corpo fino alle estreme conseguenze. Seguendo l’intreccio delle loro vicende, il lettore scopre ambienti in genere riservati agli appassionati dell’arte contemporanea, quelli che il pubblico conosce soprattutto attraverso l’opera di Marina Abramović. Un movimento artistico che tende a esplorare la comunicazione tra l’artista e il suo pubblico, ponendo soprattutto il corpo al centro dell’attenzione: sensualità e sensorialità accese anche attraverso il superamento dei propri limiti, la resistenza al dolore, l’ossessione mentale, il sacrificio di sé, la ricerca di una percezione esaltata oltre il sentire comune.
In questa costruzione non facile di un’opera aperta a influssi molto diversi tra loro, il lettore potrebbe lasciarsi prendere da una parte della narrazione e trovare ostico qualche passaggio diverso: qualcuno apprezzerà più il realismo della vicenda che il pensiero filosofico che la pervade, qualcun altro si divertirà a scoprire la realtà della performance art e troverà meno convincenti i passaggi lirici (senza dubbio ascrivibili alla «sofferenza del cuore» che si riflette già nella scelta di un movimento come i Cardiopatici) e viceversa. Ma Homo homini virus non può essere preso a frammenti, a pillole, a strappi, va invece letto come un’unica forte creazione letteraria che alla fine lancia un messaggio pessimistico e attuale sul nostro mondo. L’Uomo ha superato perfino il vecchio concetto enunciato dal filosofo Hobbes, «Homo homini lupus», ora è diventato un morbo, una malattia, un virus che si trasmette agli altri uomini contagiandoli. In questo senso il titolo può facilmente diventare un acronimo, HHV, che ricorda molto da vicino quello dell’HIV, come a sottolineare che al centro c’è il Corpo, un corpo che tende a dissolversi e macerarsi, un corpo umano ma anche un corpo sociale che si sta corrompendo in via forse definitiva. I romanzi come questo ne sono una spia e, quando vengono da un giovane autore, sono anche un allarme – se qualcuno lo volesse ascoltare.