Le migrazioni di cui abbiamo parlato nell’articolo precedente fecero in modo che gli ex emigrati acquistassero una visibilità sempre maggiore e portassero in patria una cultura civica fondata sulla riproduzione dei modi di vita tipici del Golfo. Gran parte del risparmio di questa nuova categoria sociale, inoltre, venne investita nel sistema finanziario islamico. Questo nuovo gruppo sociale, che diventerà una componente importante della borghesia religiosa, penserà di non dover nulla alle élites nazionaliste al potere dall’indipendenza.
Parallelamente a questi cambiamenti, lo shock del 1973 incentivò la diffusione in tutto il mondo islamico delle agenzie religiose controllate dall’Arabia Saudita. La Lega islamica mondiale, fondata nel 1962 alla Mecca, aprì molti uffici in luoghi in cui vivevano musulmani e creò associazioni e moschee. Il ministro saudita degli Affari religiosi fece stampare e distribuire gratis milioni di copie del Corano, ma anche molti testi dottrinali wahhabiti, alle moschee di tutto il mondo. Per la prima volta in quattordici secoli di storia dell’Islam si poterono trovare da un angolo all’altro del mondo gli stessi libri, le stesse cassette, provenienti dai medesimi centri di diffusione. Accanto a questo sforzo di unità dottrinale si accompagnarono i sussidi per la costruzione di moschee; più di 1500 luoghi di culto islamici furono finanziati all’estero con il denaro saudita. I dirigenti sauditi sperarono, in questo modo, di avere ritorno in termini di proseliti. In realtà, tale politica non fu in grado di contenere l’entusiasmo scatenato da Saddam Hussein quando, nella guerra del Golfo 1990-1991, denunciò l’alleanza tra la monarchia saudita e l’Occidente.
Oltre alle migrazioni e all’espansione del pensiero wahhabita, la terza conseguenza della guerra del 1973 fu la trasformazione dei rapporti di forza tra gli stati musulmani a favore dei paesi petroliferi. Ciò permise al potere saudita di architettare uno spazio dove l’identità islamica potesse andare al di là dei confini nazionalisti. Ai fedeli venne offerta una nuova identità che innalzò la loro qualità di musulmani e relativizzò la lingua, l’etnia e la nazionalità. Uno dei principali vettori dell’influenza saudita fu ed è, tuttora, il controllo del pellegrinaggio alla Mecca. L’hajj divenne accessibile a tutti solo quando il re Abd al-Aziz ibn Saud si impossessò una volta per tutte della Mecca e di Medina nel 1924-1925. I pellegrini nel 1926 erano soltanto 90.000; nel 1979 superarono i 2 milioni e da allora oscillano tra 1 milione e mezzo e i 2 milioni all’anno. Questo aumento si è tradotto nella “wahhabizzazione” del rituale.
Non appena i wahhabiti misero le mani sulle città sante, saccheggiarono le tombe degli imam e di Fatima, la figlia di Maometto, la cui venerazione da parte degli sciiti ai loro occhi rappresentò un’idolatria inaccettabile. In un secondo momento essi organizzarono il pellegrinaggio secondo il loro rito e, da allora, l’accoglienza dei pellegrini spetta in via esclusiva alla monarchia saudita, che nel 1986 assunse il titolo di Servitore dei Luoghi santi. Questo aspetto dell’egemonia saudita venne violentemente contestato nel 1979 con l’attacco alla Grande Moschea della Mecca da parte di oppositori sauditi, per tutti gli anni ’80 dall’Iran e, infine, da Saddam Hussein e da tutti gli oppositori del regime saudita dopo la guerra del Golfo nel 1990-1991.
Nella seconda metà degli anni ’70 si rintracciano, quindi, alcuni dei momenti più significativi per la vicenda mondiale del fondamentalismo. Nel 1979 iniziò, secondo il computo islamico, il XV secolo. L’anno si aprì in febbraio con il ritorno dell’ayatollah Khomeini a Teheran e la conseguente proclamazione della repubblica islamica, e terminò a novembre, quando un gruppo armato espugnò la grande moschea della Mecca per protestare contro il controllo esercitato dalla famiglia regnante saudita sui luoghi sacri. Di colpo l’intero potenziale racchiuso nell’Islam balzò agli occhi dell’opinione pubblica mondiale. Nel complesso, infatti, durante gli anni ’70 i movimenti islamici si diffusero dalla Malaysia al Senegal, dalle repubbliche sovietiche islamiche fino alle capitali europee, dove vivevano ormai milioni di immigrati islamici.
A questo punto risulta necessario analizzare meglio il significato e il ruolo della rivoluzione iraniana.
Nel 1921 il generale Reza Khan Pahlawi, a capo di una brigata cosacca, ottenne il potere a Teheran e, nel 1925, venne eletto shah ed incoronato. Egli riordinò l’ente militare, finanziario e giuridico, introdusse una legislazione civile e penale europea, accelerò l’industrializzazione ed eliminò l’obbligo del velo, introducendo l’abbigliamento europeo. Poiché lo shah subì l’influenza tedesca e nella Seconda Guerra Mondiale si schierò dalla parte delle potenze dell’Asse, nel 1941, quando le truppe britanniche e sovietiche occuparono l’Iran, dovette abdicare a favore di suo figlio Mohammad Reza. Inoltre, la nazionalizzazione della compagnia petrolifera anglo-iraniana, che fu avviata nel 1952 dal primo ministro Mohammad Mossadeq, venne interrotta da un colpo di stato, appoggiato dalla CIA, che portò alla caduta di Mossadeq. La statalizzazione, del resto, non venne revocata e ciò causò continui scioperi soprattutto nell’industria petrolifera. Questa situazione indusse lo shah, a partire dagli anni ’70, a compiere una “rivoluzione bianca”. Essa si compose di una riforma agraria, della costituzione di un ente sanitario e, soprattutto, della concessione dei diritti politici alle donne. Nondimeno gli scioperi vennero sedati brutalmente con la forza delle armi; i morti furono circa 4000. Oltre a ciò, con l’aumento dell’influenza dei gruppi industriali stranieri, crebbe il debito iraniano e vasti strati della popolazione si impoverirono.
L’aumento dell’appoggio politico-militare all’Occidente non fece che accrescere il disagio di molti strati sociali, soprattutto i commercianti e i religiosi sciiti. Sempre più persone nel paese si ribellarono contro l’immensa corruzione dei ceti più alti e contro la repressione di tutta l’opposizione attraverso la polizia e i servizi segreti statali, fatto che nel 1977 fece accrescere il numero dei prigionieri politici da 25.000 a 100.000, secondo i dati di Amnesty International. Nel 1962 l’ayatollah Ruhollah Khomeini fu espulso dall’Iran a causa della sua opposizione contro l’orientamento non islamico del regime dello shah e andò in esilio in Iraq, a Najaf, città santa degli sciiti. L’indifferenza nei confronti dei valori religiosi dell’Islam culminò nel 1971 con un evento che ai fedeli musulmani apparve come una bestemmia: i festeggiamenti in pompa magna della monarchia, nell’antica Persepoli, in linea con l’ideologia antico-persiana del re e la sostituzione del computo islamico del tempo con uno inventato dallo shah. Inoltre, evidentemente colpito da manie di grandezza, il re, una volta incoronato, si presentò agli ospiti politici stranieri come successore di Ciro il Grande.
L’opposizione allo shah, come era prevedibile, aumentò e a dirigerla, prima dell’esilio iracheno e poi da Neauphle-le-Chateau, vicino Parigi, vi fu Khomeini. Il suo movimento rivoluzionario condusse alla caduta dello shah e del suo regime, Mohammad Reza con la sua famiglia abbandonò per sempre l’Iran. L’1 febbraio 1979 l’ayatollah tornò a Teheran dall’esilio come trionfatore, accompagnato da dimostrazioni di massa. Egli voleva ottenere una profonda islamizzazione della società iraniana, dai discorsi all’abbigliamento. In tutti gli ambiti (amministrazione, diritto, educazione, economia) l’Iran venne trasformato. Fra le prime leggi, di forte stampo moralista, vi furono l’abolizione del divorzio e la proibizione dell’aborto. Inoltre istituì, sulla scorta della shari’a, la pena di morte per l’adulterio, come pure per la bestemmia. Impose alle donne la copertura costante del volto con un velo, pur concedendo loro una certa indipendenza rispetto a quanto avvenuto in tempi precedenti. In campo internazionale, l’Iran rifiutò ogni rapporto commerciale o politico con gli Stati Uniti.
Si affermò nel paese una nuova intellighenzia e molti intellettuali abbandonarono la loro patria poiché si sentirono minacciati dalla nuova politica iraniana. Presto, nel nuovo Iran di Khomeini, i diritti umani vennero soppiantati da una feroce brutalità. I violenti tentativi di presa del potere da parte dei marxisti “mujahidin del popolo” vennero repressi senza pietà. Iniziò a questo punto una vera repressione contro i collaboratori del deposto shah: migliaia di essi furono arrestati e fucilati dopo processi sommari; altri furono mandati in esilio o imprigionati e i rimanenti fuggirono dal paese. In pochi mesi si considera siano state fucilate circa 5000 persone e mandate in esilio altre 10000; Khomeini vide di buon occhio l’azione dei pasdaran che, penetrati nell’Ambasciata statunitense a Teheran, presero 54 ostaggi, li minacciarono di morte nel caso in cui gli Usa non gli avessero consegnato l’ex shah. Gli Usa non si piegarono alla trattativa e tentarono un blitz militare aereo autorizzato dal Presidente Jimmy Carter e alla fine gli ostaggi furono liberati, anche se da allora gli Usa divennero per il regime di Khomeini, «il grande satana del mondo».
L’intero potere venne conferito al Consiglio della Rivoluzione che si costituì il 12 febbraio 1979. I tribunali rivoluzionari, appoggiati dalle milizie popolari islamiche, attuarono una “pulizia” dell’intero paese allontanando molti rappresentanti dell’amministrazione, dell’esercito e dei servizi segreti. Il 30 marzo 1979, dopo una votazione popolare, Khomeini proclamò la Repubblica islamica. Durante questo periodo, come riferisce Amnesty International, si registrarono migliaia di esecuzioni capitali. Soprattutto i seguaci della religione Baha’i, illuminata ed universalistica, i quali tuttora venerano il fondatore, il persiano Baha Ullah (1817-92), come profeta dopo Muhammad e come “splendore di Allah”, vennero sistematicamente perseguitati; molti di loro vennero torturati e giustiziati.
In politica estera l’ayatollah si rivolse contro il “grande satana”, gli Stati Uniti, odiati per la loro politica e, soprattutto, per il loro appoggio allo Stato d’Israele. Al contempo egli prese le distanze dall’atea Unione Sovietica e proclamò una terza via.
Negli anni ’80 l’Iran si trovò sotto una forte pressione causata dalla politica estera. Saddam Hussein, il capo del vicino Iraq, credeva di poter utilizzare le debolezze dell’Iran per correggere il tracciato di confine nell’area dello Shatt el-Arab in modo da sfruttare nuovi giacimenti petroliferi e da estendere la propria supremazia in tutto il Vicino Oriente. Saddam diede inizio alla guerra contro l’Iran nel settembre 1980; gli USA si schierarono dalla parte del dittatore iracheno, e altre nazioni europee gli fornirono armi convenzionali e chimiche. La Repubblica islamica dell’Iran dovette concentrare tutti gli sforzi militari, economici e politici sul conflitto che durò 8 anni e che portò ad una spaventosa carneficina con oltre un milione di morti. Solo nell’agosto del 1988 si giunse per iniziativa delle Nazioni Unite e un armistizio tra Iran e Iraq. Il regime di Khomeini, strettamente dottrinale, rimase in gran parte politicamente isolato, poiché temuto anche dai regimi arabi moderati.
11. Continua
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