Un libro da ristudiare a fondo
Filosofia & religione
Rileggendo “Dea Bianca” di Robert Graves si ritrova l’inizio di quella lunga (e tortuosa) linea di pensiero che conduce dal mito all’iperpaganesimo occidentale
È veramente bello il libro di Robert Graves, La Dea Bianca (Milano, Adelphi 2012) ‒ base il Libro rosso di Hergest (Gwion): storia di Taliesin, poeta e Fanciullo divino presente “fin dall’inizio” dei tempi. Miniera di miti, il libro sostiene la tesi di un’unità mitico-religiosa europea originaria, al centro della quale una Grande Dea è paradigma di ogni divinità (politeistica o monoteistica). Il suo culto avviene per mezzo di un linguaggio mitico-poetico che custodisce una conoscenza originaria e totale (vedi Sofia gnostica e Scienza divina primordiale). Inoltre (vedi : L’ignoranza della filosofia alla luce del linguaggio e del sapere religioso-mitico-poetico nel blog http://cieloeterra.wordpress.com) si trovano in esso elementi per una critica all’atteggiamento anti-mitico-religioso ed anti-poetico della filosofia.
Però questo bel libro delude profondamente il lettore autenticamente religioso, che a prima vista vede in esso la giustificazione di un pensare religioso e mitico-poetico e di una continuità tra religiosità pagana e cristiana, ed in essa le tracce di figure divine universali come un Dio sofferente e Fanciullo divino che è Figlio della Madre quale Grande Dea. Di fatto però la Grande Dea trascende ed annienta ogni divinità equivalente, in quanto divinità solo storica, naturale ed immanente. Più ancora però delude la ben presto chiara inconcepibilità di un Gesù Cristo mitico-poetico. E dunque affatto confessionale ed ortodosso. Il lettore è infatti raggelato dall’udire anche in questo libro la voce di quella cultura moderna che, quando riavvalora la poesia, con immensa naturalezza ne emargina quel Gesù Cristo che con la stessa naturalezza veniva un tempo (Lope de Vega) gustato come un “sublime” poetico-religioso. È il gelo di quei Nietzsche e Renan che hanno voluto vedere in Gesù Cristo appena un uomo. Me infine anche quello di un Cristianesimo confessionale ed ortodosso in linea con l’avversione filosofica per tutto ciò che, essendo poetico-mitico, è integrale fede nell’Invisibile. Il Cristianesimo che era ed è in virulenta polemica con il Paganesimo.
Nonostante la via sia sbarrata, però il nostro lettore non si arrende e non si rifugia tra le braccia dell’ortodossia, ma invece prende posizione contro Graves continuando a vedervi un binomio Grande-Dea/Figlio della Madre e Dio sofferente come paradigma autenticamente divino (e quindi trascendente) comune a tutte le religioni (pagano-politeiste e monoteiste). Ma non senza evidenziare l’elemento irrecuperabile tanto alla religiosità poetica ma riduzionista (unilateralmente irrazionale, ferina ed immorale) quanto alla religiosità non poetica (unilateralmente razionale e moralista): la santità! Insieme di purezza, candore, semplicità, bellezza, libertà, leggerezza, nudità, povertà, respiro libero e lieve. È incanto poetico. È mistica in quanto unione di Giusto, Bene, Bello ed Eros. Se religiosa, può allora anche ben essere mitico-poetica. Ma senza macchiarsi con ciò di misfatti ferini ed immorali.
Ecco allora un Cristianesimo che ha tutto il diritto di essere mitico. Non però in Graves, il cui lezioso e vuoto gioco enigmistico (sulla falsariga degli alfabeti misterici in comune tra polo greco-egeo-mediorientale e polo celtico-britannico della primordiale Europa unitaria) cinicamente ci affascina facendo danzare davanti ai nostri occhi il fantasma del segreto nome del Dio trascendente. Che nella seconda parte del libro [cap. 16, pag. 313-346] viene dichiarato, ma solo per scherzo, equivalere al Tetragrammaton, cioè YHWH (Yehovà). Da qui in poi, infatti, tutta la fascinosa rete di correlazioni mitografiche punterà verso un unico e solo elemento : ‒ la costatazione che il segreto nasconde solo una Grande Dea, che è Dio-Donna e Dio-Vita solo nel senso della nuda e strapotente vita femminile terrena e terrestre. Trascendente per scherzo. L’ipotesi di un Dio trascendente proprio in quanto Dio-Donna e Dio-Vita (per cui la Vita è Dio e Dio è la Vita) crolla così miseramente. Dunque la religione della Grande Dea è una religione-non-religiosa, in quanto essa è storica, naturalistica e vitalista in senso riduzionista. Dunque laicista.
Totale la conformità delle tesi di Graves a quelle di moderni poeti-filosofi del neo-paganesimo (Alberto Caeiro e Ricardo Reis in Fernando Pessoa). Vera èinfatti solo la religione-non religiosa.
Tutte false le altre religioni, pagane e monoteistiche (cristianesimo, giudaismo, paganesimo teutonico, paganesimo greco-romano, paganesimo celtico nord-occidentale) [cap. 24, pag. 489 ]. Ecco allora un originario e paradigmatico iper-paganesimo europeo-occidentale, il cui Oriente è solo una Grecia tracia, cuore della grande unità europeo-occidentale e della civiltà europea. È la tesi spengleriana-nietzschiana-heideggeriana (unica ben disposta verso la poesia mitica).
Pertanto il lezioso e cinico gioco di Graves è solo ideologismo male intenzionato. Emerge chiaramente alla fine del libro [cap. 26, pag. 549-564] laddove egli ‒ condannandoli ma infine assolvendoli (non erano lontani dalla verità)! ‒, con Frazer (religiosità orientale come causa della decadenza europeo-occidentale) ed Hitler (capitalismo usuraio ebraico come causa della rovina germanica ed europeo-occidentale), sposa in un solo colpo le tesi anti-giudaico-cristiane di Nietzsche ed Heidegger. Ma anche di Renan (insieme a Dan Brown), con un Gesù che è un povero diavolo di fede giudaica ossessionato dal delirio di grandezza di essere il Messia giudaico.
Dunque il Cristianesimo, la cui colpa coinvolge anche il Giudaismo, ha eretto su questa in sé insignificante se non patetica vicenda storica un pretenzioso e falso castello di bugie metafisico-religiose. Per divenire poi con Costantino una pragmatica religiosità di stato puramente romana, da impiegare per mobilitare le masse di diseredati (appena sottratti all’antico gioco aristocratico) solo per la difesa dei confini dell’Impero.
Il disvalore non è dunque né la grecità come idealismo statalista [ sostenuto da Arnold Toynbee in “Il mondo ellenico” (Einaudi Torino 1967)] né la religiosità “orientale”. Tutto ciò che è “greco” (Nietzsche ed Heidegger) è valore solo in quanto è naturalistica religiosità mitico-poetica. Non statale, non trascendente, non conservatrice, e non patriarcale.
Cristo allora può essere anche una divinità originaria, ma appena [ cap. 24, pag. 487-509] come lo “Spirito dell’Anno”, figlio maschio ed amante della Grande Dea, il cui culto veniva nell’Europa unitaria celebrato nei templi solari (dedicati ad un Dio sofferente, morente-rinascente, tipo eroe solare, o Ercole) quali “cerchi di pietra” (Stonhenge). Qui il “poeta” è paradigma originario di un sacerdote danzante intorno all’altare, e la Grande Dea è sì lo Spirito nell’accezione femminile che così aveva attratto il nostro lettore ‒ Spirito aleggiante sulle acque, o Vento (ruah, vayu…) dell’Oceano femminile-divino, e quindi Maria-Mare in cui e per cui il Figlio-Logos nasce, viene custodito e muore, forse addirittura il Padre-Spirito della Trinità, con un’inversione dell’ortodosso rapporto Gesù/Maria) ‒ entro il quale vive e muore il “Figlio della Madre” e “Figlio della Vergine”. Ma lo è come il figlio di una ragazza-madre che è vergine solo per scherzo [vedi la Demetra-Semele eleusina ‒ Paolo Scarpi Le religioni dei misteri (Mondadori Milano 2007)]. Figlio-della-madre nel senso dell’espressione scurrile portoghese di filho da mãe, ovvero filho da puta. Figlio di puttana nato da una donna incredibilmente fecondata dal dio (l’Ercole di Tirinto).
Lo Spirito femminile in cui egli nasce, vive, muore e rinasce, è Dio-Donna e Dio-Vita solo nel senso di una Grande Dea che non è altro che il Femminile nella sua più cruda naturalità, “signora delle creature selvagge”[cap. 24, pag. 487-509]. In essa il Fanciullo divino maschio viene abusato sessualmente, castrato, smembrato ed infine divorato e poi ripartorito. Potenza femminile naturale di vita di cui proprio non si può a meno nel mondo. Potenza selvaggia e legittimamente immorale. Donna che quando gode sessualmente e partorisce è solo e soltanto una belva. Essa castra sempre il maschio, perchè ne sequestra il pene, lo sperma, e la creatura che per mezzo di essi nascerà. Donna e Madre incestuosa, legittimamente puttana e Menade nel modo più laido. Dunque anche legittimamente ragazza-madre, Madre di un figlio illegittimo legittimamente senza padre. Aldilà delle ovvie assonanze psicanalitiche, si può qui escludere con certezza una dottrina misogina?
Allora l’assimiliazione di Cristo al paradigma del dio eucaristico-sacrificale è solo che un trucco illusionistico del Cristianesimo. Gesù e Maria sono entrambi in realtà solo storici.
Ma nel complesso Graves finisce per preservare comunque il valore del mito di una Maria Vergine : ‒ unico lato del Cristianesimo che per lui si salvi. Ma solo se si accettano i termini generali riduzionistici della dottrina della Grande Dea. Un’entità divina che (in sintonia con quanto dice della Dea Madre egeo-cretese anche il Kerenyi di “Dioniso”) vuole essere servita in pieno o non essere servita affatto. “Divino” e “religioso”, insomma, solo per traslato e per metafora. In un “culto” che è tale solo perché solo il “vivente”è da adorare come valore primario. Altrimenti solo morte!
L’ideologismo male intenzionato era dunque la moderna passione laica ed iconoclastica, che qui ci si rivela nell’atto di voler distruggere ogni fede (in un Trascendente quale pienamente creduto Invisibile divino immateriale) perfino attraverso la riaffermazione del valore della fede stessa. La fede poetico-mitica che si vorrebbe salvare dalla distruzione dell’altro distruttore moderno, la filosofia della ragione pura. Tra i credenti da disprezzare, Graves include infatti anche i filosofi, ritenuti causa di un’”infezione” [cap. 24, pag. 487-509] che ha corrotto il vero sapere attraverso la forzosa transizione dal matriarcato al patriarcato (avvenuta entro il pensiero greco).
È contro tutto questo che prende posizione il nostro lettore autenticamente religioso, convinto com’è (Pascal) che la fede piena (in Gesù Cristo come uomo-dio ed in Dio come Trascendente-Invisibile incarnato) è unica vera scelta di vita contro la morte altrimenti inesorabile. Rischio e responsabilità da assumersi in pieno! Egli non ha nulla contro il Trascendente divino inteso come Dio-Donna e Dio-Vita, ma non può accettarne una visione riduzionista. Per lui il segreto del nome di Dio è ciò che è in pieno, qualcosa di purissimo, santissimo ed inviolabile.
Come si può dire anche per un Heidegger, decisamente Graves, studioso dottissimo e sensibilissimo e grande pensatore, poteva darci molto di più. E se non lo ha fatto è perché è ammalato anche lui dell’ossessivo protagonismo tipico dell’intellettuale moderno.