Nel 1988 ci fu un fatto che sconvolse l’opinione pubblica e che vide tra i protagonisti lo stesso ayatollah Khomeini. Scoppiò, infatti, il caso dello scrittore britannico, di famiglia indiana e di origine islamica, Salman Rushdie e del suo libro Versetti satanici . Gli imam della città inglese di Bradford, che organizzarono i primi roghi pubblici del libro, appartenevano al nucleo intellettuale del gruppo islamico Jama’at-i-Islamii , fondato da Abu’l-‘Ala’ Mawdudi, un ideologo fondamentalista pachistano scomparso nel 1979. Ai loro occhi Rushdie, accusato di aver bestemmiato il Profeta, era la personificazione esemplare di un uomo di origine musulmana che aveva osato opporsi all’ordinamento sociale promulgato dagli imam. La sua ingiuria contro Allah e, soprattutto, la sua apostasia costituiva, perciò, la peggiore tentazione per i giovani indo pachistani della Gran Bretagna che, se avessero seguito il suo esempio, avrebbero rischiato di assumere costumi e usanze europee, sottraendosi, così, al controllo degli imam. Finché il caso rimase circoscritto alla Gran Bretagna, gli imam poterono testare la loro capacità di causare gravi reazioni politiche in uno Stato occidentale; essi pretendevano, infatti, che il libro fosse vietato, promettendo in cambio la fine dei disordini nei quartieri musulmani. Quando però l’ayatollah Khomeini assunse personalmente il controllo del caso, aveva ben altri scopi. Egli ordinò l’uccisione dello scrittore Salman Rushdie che accusò di aver bestemmiato Allah a causa della presunta diffamazione del Profeta contenuta nel suo romanzo. Per integrare e anticipare il premio del paradiso, una fondazione caritatevole islamica di Teheran offrì a chi avesse ucciso Rushdie una ricompensa di 20 milioni di tumans (circa 3 milioni di dollari) se iraniano o 1 milione di dollari se straniero.
L’ayatollah, attraverso la fatwa , non cercò solo di riaffermare la legge islamica ma anche di conquistare la sua posizione di guida ideologica all’interno del mondo islamico e di superare la sconfitta bellica subita contro l’Iraq. La Gran Bretagna non poté accettare che un suo cittadino venisse condannato a morte. Questa intromissione di Khomeini fece sì che i movimenti islamisti si facessero carico della vicenda, assumendola come cosa propria. Il caso Rushdie fu, inoltre, per Khomeini, il tentativo di portare il jihad contro l’apostata sul terreno internazionale. Con l’aiuto di aggressivi movimenti anti Rushdie egli mise sotto pressione gli Stati europei in cui vivevano grandi comunità musulmane, incitando i fedeli alla violenza.
Il caso Rushdie viene spesso analizzato in relazione al fondamentalismo islamico. In effetti, dopo che Khomeini emise una fatwa contro lo scrittore, molti movimenti islamici insorsero e si organizzarono per reagire ad una grave apostasia . È la prima volta che l’allontanamento di un musulmano dalla religione islamica provoca reazioni a livelli internazionali. L’ayatollah mostrò al mondo i primi segnali di un fondamentalismo estraneo al pensiero occidentale. Con Khomeini il fondamentalismo inizia ad acquisire aspetti internazionali e non è più circoscritto a un unico paese islamico. Fu proprio a partire dalla situazione iraniana che si cominciò ad usare il termine fondamentalismo islamico .
Khomeini morì il 3 giugno 1989, poco più di tre mesi dopo aver rivolto l’appello ai musulmani di tutto il mondo di uccidere l’autore di Versetti satanici , fu proprio la fatwa contro Rushdie il vero testamento politico di Khomeini e con essa, insieme all’anno 1989, si chiuse la fase di ascesa conosciuta dai movimenti islamisti nel corso del decennio inaugurato dalla conquista del potere a Teheran nel 1979. L’Iran fu costretto a cessare la lunga guerra contro l’Iraq, tra il 1980 e il 1988 e ad abbandonare la speranza di cacciare Saddam Hussein. L’Arabia Saudita, nel mentre, conservò la sua egemonia sull’espressione dell’Islam, nonostante i tentativi iraniani di destabilizzazione. In questa situazione grazie alla fatwa , l’ayatollah si erse a vendicatore dei musulmani offesi da un romanzo giudicato un attentato al loro onore, alla religione e alla loro cultura, mentre i wahhabiti sauditi non riuscirono ad evitare la pubblicazione del libro incriminato. In secondo luogo, la fatwa estese, come si è visto, le frontiere della contestazione islamista, situate nell’Asia sud-occidentale durante gli anni ’80, al di là dei limiti storici tradizionali della ummah islamica, verso l’Europa occidentale in cui Salman Rushdie viveva e di cui era il prodotto. Fu attraverso la fatwa che Khomeini proclamò il dar al-Islam su scala universale, aggregando le popolazioni musulmane emigrate, trasformandole prima in ostaggi e poi in attori della lotta tra le forze che si affrontavano per dominare quello spazio di senso di appartenenza alla comunità islamica di cui l’Occidente, nel corso del decennio seguente, diventerà il nuovo campo di battaglia.
Il 15 febbraio 1989 vi fu la vittoria del jihad patrocinato dall’Arabia Saudita e dagli Usa in Afghanistan. Quel giorno, su iniziativa del Presidente dell’Urss Michail Gorbaciov, le truppe sovietiche portarono a termine la loro ritirata dal territorio afghano. Dopo il ripiegamento dell’esercito sovietico, si attendeva a Kabul l’insediamento di un governo di coalizione composto dai partiti dei mujahidin con base a Peshawar e sotto l’influenza saudita. Ci vollero altri tre anni prima che la capitale afghana cadesse nelle loro mani, ma gli afghani erano allora convinti che l’Arabia, grazie a questa vittoria, avesse riaffermato la sua autorità sull’Islam mondiale, visto che i partiti sciiti afghani non facevano parte della coalizione vittoriosa.
Il ritiro sovietico passò quasi inosservato nelle redazioni dei giornali, che riportarono in primo piano la fatwa emessa da Khomeini il giorno prima e che, quindi riportò l’Iran al centro della scena internazionale. Il 12 febbraio 1989 vi fu un saccheggio nel Centro culturale americano a Islamabad, in Pakistan, che causò cinque morti e decine di feriti e che monopolizzò l’attenzione dell’opinione pubblica. L’appoggio degli Stati Uniti al jihad afghano non fu sufficiente a proteggere una delle loro istituzioni da una folla inferocita contro il libro di Salman Rushdie. Nonostante queste manifestazioni l’Arabia Saudita non percepì il libro di Rushdie come una causa di primaria importanza per cui valesse la pena di mettere in moto l’apparato diplomatico saudita e minacciare Londra di possibili ritorsioni commerciali. Inoltre, quando Khomeini emise la fatwa , le reti saudite furono colte alla sprovvista e non riuscirono ad impedire la pubblicazione del libro. Un certo numero di attivisti, che avevano partecipato al jihad afghano e che Riyadh pensava di aver attirato nella propria orbita, allontanandoli dalla versione iraniana e antiamericana dell’estremismo, come lo sceicco egiziano Omar Abdel Rahman, diedero il loro appoggio a Khomeini. Al termine della conferenza dei ministri degli esteri dell’OCI, l’Organizzazione della Conferenza Islamica, il 16 marzo, l’Arabia Saudita e gli stati “moderati” dovettero accettare un comunicato in cui si dichiarava che l’autore dei Versetti satanici era un rinnegato. Nell’ultimo grande atto politico prima di morire Khomeini riuscì a ingannare i suoi avversari. Come disse il presidente iraniano (e suo futuro successore) Khamenei: «Egli è la Guida delle comunità e delle nazioni musulmane; per lui, che non è soltanto la Guida della nazione iraniana, tutti i musulmani del mondo sono legati dal cuore. Come Guida dell’ummah islamica, egli deve difendere i loro diritti».
Le comunità su cui Khomeini voleva imporsi erano in larga parte formate da popolazioni immigrate in Europa occidentale. Questo movimento migratorio, che in alcuni casi risaliva ai primi decenni del secolo, era stato causato dalla ricerca di lavoro. Le industrie europee erano alla ricerca di manodopera non specializzata a basso costo, mentre gli immigrati cercavano un salario in contanti che avrebbero potuto inviare nei loro paesi d’origine. Non vi era nulla di particolarmente islamico in questa emigrazione, che non era per nulla legata alla fede. Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale e dopo l’indipendenza della maggior parte dei paesi musulmani, come si è visto, questo movimento si intensificò, sotto il duplice effetto del bisogno di manodopera dell’Europa della ricostruzione e del piano Marshall e della crescita demografica del mondo islamico.
Fino alla metà degli anni ’70, i lavoratori immigrati erano per lo più di sesso maschile ed avevano un impiego poiché vennero accolti in paesi con un basso tasso di disoccupazione. Non esisteva ancora un vero e proprio processo di insediamento da parte di questi lavoratori: le autorità europee volevano vedere in essi degli immigrati che, una volta realizzato il loro intento, sarebbero tornati nel loro paese d’origine. La Francia e il Regno Unito accolsero soprattutto cittadini provenienti dai paesi del loro vecchio impero coloniale, dal Maghreb e dall’Africa occidentale nel primo caso, e dal subcontinente indiano nel secondo caso. In Germania, invece, la massa dell’immigrazione musulmana proveniva dalla Turchia. La religiosità tra gli immigrati, in Francia come in Germania, aveva una posizione marginale: moschee e sale di preghiera erano in numero assai scarso e poco frequentate. Tutt’al più si osservavano certi divieti fondamentali, come quello del consumo della carne di maiale o di alcolici, così come il rispetto della preghiera quotidiana e il digiuno nel mese di Ramadan.
12. Continua
Clicca qui per leggere la prima parte: «Gli islam del mondo»
Clicca qui per leggere la seconda parte: «I verbi di Dio»
Clicca qui per leggere la terza parte: «La catena dell’islam»
Clicca qui per leggere la quarta parte: «Islam, pene e delitti»