Danilo Maestosi
Nuove nomine culturali

Contro Bernabé

Franco Bernabè, banchiere e manager prestato (o scaricato?) alla cultura, è diventato presidente della morente Quadriennale. Perché? Per fare "squadra" con il Palaexpo che già dirige? O perché tutta la cultura, a Roma, deve rimanere nelle stesse mani?

Franco Bernabè è stato scelto dal ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini come nuovo presidente della Quadriennale di Roma. Prenderà il posto occupato per qualche anno dal giornalista Jas Gawronski, insediato dal governo Berlusconi nella speranza che un personaggio senza forti coloriture politiche e senza titoli di conoscenze specifiche nel campo dell’arte contemporanea, ma ben introdotto nei salotti che contano, potesse riuscire a portare nuove risorse e nuovi sponsor alle casse dell’Ente, rimaste praticamente a secco e non rifinanziate. Speranza che è naufragata per via della crisi e dei tagli, che hanno insabbiato gli investimenti culturali nella palude delle quadrature e dei residui di bilancio.

Nonostante gli sforzi dell’ex corrispondente ed eurodeputato, che ha speso tutto il suo appeal, la Quadriennale è rimasta al palo, sopravvivendo in un regime di ordinaria amministrazione: rinviata chissà a quando per mancanza di fondi e sostegno la nuova edizione della mostra, che è la principale ragione di statuto dell’Ente; poche e di scarso peso le iniziative e le manifestazioni collaterali, quasi un miracolo tener almeno aperta la sede di villa Carpegna e la Biblioteca-archivio che custodisce una preziosa ma poco aggiornata documentazione sulle vicende dell’arte italiana degli ultimi cento anni. Insomma un mezzo disastro, che avrebbe dovuto spazzar via o quanto meno ridimensionare l’illusione di offrire alla cultura italiana un fronte di resistenza e rilancio fondato sull’apporto di capitali privati, in sostituzione di quelli pubblici, secondo un vago modello all’americana non trapiantabile in un paese come il nostro dove i veri mecenati scarseggiano e il capitalismo è tendenzialmente ripiegato, salvo rare eccezioni, su sponde parassitarie.

E invece ecco anche il ministro Franceschini ripercorrere quasi la stessa strada con la nomina di Bernabè ai vertici della Quadriennale. Bernabè è uomo di cultura solo di rimbalzo, ma alle spalle ha un solido curriculum manageriale di ex numero uno dell’Eni e della Telecom. Stessa strada già percorsa con Jas Gawronski, con un paio di varianti tutt’altro che rassicuranti. La prima è che Franco Bernabè copre già un altro incarico simile: quello di presidente dell’azienda comunale che raggruppa scuderie del Quirinale e Palaexpo. Una regìa che non ha alterato il buon andamento delle Scuderie, consolidato e garantito grazie al sostegno della Presidenza della Repubblica da un cartellone di mostre di alto livello, ma ha invece precipitato il Palaexpo in un limbo di iniziative senza richiamo, senza continuità e spesso senza logica, che ne hanno appannato l’identità, favorendo un nuovo calo di gradimento e presenze.

E – sia detto tra parentesi – meno male che non è andata in porto la manovra per consegnare nelle sue mani, per via di chissà quale inspiegabile assonanza di compiti, anche il Macro, che alla fine il Campidoglio ha preferito assegnare ad una sua funzionaria interna, Federica Pirani, brava e competente ma sicuramente più controllabile di un direttore artistico chiamato dall’esterno, tanto da adattarsi senza proteste ad un budget annuo irrisorio di appena 250 mila euro l’anno: il costo di una mostra di medie dimensioni da spalmare in un cartellone di un anno e mezzo e su due grandi sedi, in via Reggio Emilia e al Mattatoio. Una missione praticamente impossibile. Complicata dall’idea – che la Pirani ha ovviamente condiviso – di accorpare sotto la sua direzione anche altri due musei, palazzo Braschi e la Galleria d’arte moderna di via Crispi. Scrigno il primo di una preziosa collezione di opere d’arte e documenti su Roma, dall’epoca barocca all’Ottocento. E il secondo di un intrigante ma lacunoso campionario di opere di maestri italiani raccolte dal Comune dalla fine dell’Ottocento agli anni cinquanta. Certamente musei d’arte anche questi, uniti da un filo di continuità storica che, almeno a nostro avviso, può risultare più controproducente che utile a risollevare le sorti del Macro, perché sottovaluta e malrappresenta quella rottura di continuità che è, nel bene e nel male, il segno distintivo della creatività contemporanea, cui il Macro – per questo è stato creato – dovrebbe essere ribalta privilegiata. In realtà l’intera operazione non è che un camuffamento cui la cattiva politica ricorre sempre più spesso per nascondere la misera dote che il «pubblico» è disposto a spendere in campo culturale. Maschera riassunta in una parola d’ordine: far sinergia.

Già, far sinergia. la stessa giustificazione che ricorre nella nomina di Bernabè alla guida della Quadriennale. Ed affiora inquietante anche nella bozza d’intenzioni, che nelle dichiarazioni del ministro Franceschini e dell’assessore comunale Giovanna Marinelli, accompagnano la nomina. L’ingresso nel consiglio direttivo al fianco di Bernabè, di rappresentanti del Macro e del Maxxi. E l’inserimento tra gli spazi, che dovrebbero interagire, collaborare a strategie condivise di reciproco appoggio e programmazione, anche del Palaexpo e del Vittoriano. Nel quadro di questa strategica ammucchiata, il richiamo al Vittoriano è la novità più sorprendente. E merita un chiarimento che gli annunci si sono guardati bene dal fornire.

In realtà quello su cui Bernabè avrebbe messo gli occhi – ed eccoci alla seconda variante – è solo il corpo centrale del monumento, con ingresso dall’Ara Coeli, che ingloba oltre al museo del Risorgimento e al Sacrario delle Bandiere un dedalo di sale al piano terra e al secondo piano, poco adattabili alle esigenze dell’arte contemporanea. Non a caso Alessandro Nicosia, il manager privato che per anni ne ha curato gestione e programmazione, e che ora ha deciso di ritirarsi e concentrare i suoi sforzi solo sull’ala Brasini riservata alle collaudate rassegne grandi firme di cui gli è stata rinnovata la concessione, ha scelto, dopo vari esperimenti, di utilizzarle solo per mostre storiche e istituzionali più in linea con le valenze dell’Altare della patria. Perché Bernabè vuol impadronirsi del Vittoriano? E che intende farne? A che gli servono questi nuovi spazi, visto che per mancanza di fondi e forse di idee non è riuscito neppure a utilizzare a ciclo continuo quelli del Palaexpo? Il timore è che voglia metterli a frutto da affittacamere, offrendoli ad artisti e galleristi disposti a prenderli a nolo, seguendo il dilagante malcostume delle mostre a gettone ospitate chiavi in mano per far cassa, accontentare clientele e riempire i vuoti in cartellone. Il Macro nell’ultimo anno e mezzo ha tirato avanti così, perché non seguirne l’esempio? E se fosse questo anche il modello che si vuol seguire per la Quadriennale?

Un ultimo dubbio. Siamo davvero sicuri che la ricetta migliore per far funzionare istituzioni pubbliche e musei in crisi sia quella di accentrarne la gestione e il controllo in un unica omologante centrale di comando? E non invece quella di dar loro più autonomia?

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