L'industria e l'ambiente
Biocombustibili addio?
La produzione di biocombustibili “ruba“ terra alle coltivazioni alimentari. Il problema - forse - si potrebbe risolvere con gli Ogm: ma che ne diranno gli ambientalisti radicali?
L’idea di produrre combustibili estraendoli da piante coltivate allo scopo o dai residui organici di alcuni raccolti dell’agricoltura e degli allevamenti animali ha cominciato a diffondersi con le prime crisi petrolifere e con la crescita del prezzo del petrolio. Si cominciò a pensare di estrarre dallo zucchero l’etanolo da miscelare alla benzina, come da sempre si fa in Brasile dove c’è un’enorme produzione di canna, e di ottenere biodiesel da oli vegetali come colza, girasole e altri. Le prime piantagioni e le relative aziende di produzione di questi carburanti con origine vegetale cominciarono a sorgere in Italia e in Europa negli Anni Novanta.
Più recentemente, nei primi anni 2000 sull’onda della lotta al riscaldamento del pianeta, si è diffuso, in Europa e negli Usa, l’uso dei biocombustibili da miscelare a quelli tradizionali in percentuali diverse nei vari paesi. L’idea di produrre combustibili con l’energia del sole, stivata in organismi viventi mediante la fotosintesi, è sembrata molto attraente. Ma per ottenere quantità significative per la riduzione della CO2 nell’atmosfera, causa dell’innalzamento della temperatura media della Terra, sono necessarie coltivazioni estensive di piante adatte al bisogno. Queste o sono piante alimentari, come soia, frumento ecc. o sono piante non alimentari ma comunque coltivate su terreni agricoli prima destinati a produzione di nutrimenti per l’uomo: in ogni caso, la situazione ha comportato una diminuzione delle piantagioni per la produzione di cibo.
La riduzione di forniture alimentari non è accettabile in un mondo dove la popolazione umana continua a crescere, e per questo la Comunità Europea e molti altri governi stanno decidendo di mettere un tetto alla produzione di biocombustibili da piantagioni antagoniste a quelle alimentari.
Resta la possibilità di ricorrere a piante particolari in grado di crescere su terreni inadatti alle coltivazioni tradizionali e soprattutto quella di riciclare rifiuti organici sia animali sia vegetali. Esempi sono l’estrazione di gas metano dalla fermentazione di rifiuti da allevamenti animali, la trasformazione di oli residui di cucina e altri grassi in biodiesel, la produzione di pellet con segatura e resti della lavorazione di legname, ecc. Si tratta di produzioni energetiche abbastanza limitate, in grado comunque di rendere autonome aziende soprattutto agricole, magari accoppiate ad altre energie rinnovabili come sole e vento.
Anche la ricerca non si è fermata: è allo studio la possibilità di produrre kerosene, il carburante per gli aerei, con i semi del tabacco, mentre in alcuni laboratori si stanno sperimentando particolari piante ad alto contenuto energetico, in grado di crescere su terreni aridi non irrigati. È evidente che si tratta di soprattutto di OGM, la cui diffusione è osteggiata dai movimenti ambientalisti. Se quindi queste idee saranno sviluppate su scala industriale è da vedere.
Insomma l’interesse verso i biocombustibili è in calo e a ciò contribuisce non poco la tendenza ormai chiara dell’industria automobilistica ad abbandonare, seppur gradualmente, il motore a scoppio a benzina o diesel, per sviluppare quello elettrico. La raccolta e stoccaggio dell’energia solare, la più grande fonte energetica pulita del pianeta, oggi sembra avere sempre meno un futuro bio, ma domani?