La raccolta "Vivo così” di Nomos edizioni
Poesia delle incertezze
Alberto Toni con i suoi versi cammina lungo il confine tra il labirinto dell'io e il racconto che diventa mito: un percorso accidentato ma inevitabile
Alberto Toni fin dall’esordio in volume, avvenuto nel 1987 con La chiara immagine, procede nel suo cammino poetico con incedere severo e rigoroso. La sua poesia poggia sulla ferma convinzione che la parola sia un dono che possa svelare l’intimo segreto dell’esistenza, spiegare la misteriosa ragione del mondo. Nello stesso tempo il poeta è consapevole che la tensione verso l’assoluto rimanga pur sempre un anelito e che il tragitto verso un’ipotetica verità non solo sia accidentato, ma che resti costellato di molteplici incertezze, tanto che dovunque la parola scavi, invece che risposte essa continui a generare dubbi, lasciando chi scrive e chi legge esitanti sulla soglia di una possibile soluzione. Toni si dedica al lavoro di scavo e di esplorazione senza cercare scorciatoie, con una maniera misurata nell’espressione e insieme febbrile nell’eccitazione con cui il suo verso si pone di fronte ad ogni possibile domanda che la realtà riservi.
Una conferma arriva ora dalla raccolta Vivo così (Nomos Edizioni), che ribadisce come la scrittura del poeta romano si muova costantemente su quella linea marginale e poco frequentata dove si realizza l’incontro tra tensione lirica e sviluppo epico, tra volontà di sondare in profondità l’abisso individuale e la suggestione, che spesso affiora dai versi, di risolvere l’indefinibile in narrazione. Sta proprio in questo camminare lungo il confine tra il labirinto dell’io e il racconto che diventa mito, «in questa mancata distinzione tra coro e assolo», come suggerisce molto opportunamente Mario Santagostini nella densa prefazione al volume, il tratto più vero della poesia di Alberto Toni. Ne nasce un dettato che procede per sbalzi, che inserisce profonde omissioni proprio mentre sembra voglia invece svelare, che avanza effettuando improvvise virate analogiche, scegliendo che la parola rimanga sospesa in un paesaggio privo di certa definizione. Quello che sembrava un indizio si mostra così solo come una traccia irrisolta e la direzione che intendevamo seguire per uscire dall’intricata sequenza degli smarrimenti ci porta irrimediabilmente fuori strada: «G. ora allo stesso posto dell’altro. / Caricava un sorriso al mio rientro, / la moglie preoccupata di lasciarlo solo. / È l’umanità mite al suo bivio, mentre / per noi, carichi di presente, il cielo / è un improvviso transito di tutto ciò / che è stato. Il dubbio era proprio / negli occhi che bruciavano, sibilava già maturo in me. / Come dirlo? Come spiegarlo senza perdere il filo, / la vita, dormire un po’ tra le tue braccia in abbandono».
Come è possibile spiegare l’esistenza senza perdere il filo, senza smarrirsi nell’intricato groviglio di avvenimenti e pensieri? Vivo così è un libro costituito da liriche brevi o molto brevi, la cui struttura sembrerebbe orientarsi verso la forma del poemetto, e che invece non si risolve mai in sviluppo narrativo. Una parte dell’azione finisce sempre per oscurarsi, qualcosa che poteva realizzarsi in unità si frantuma in mille esitazioni. È come se la parola, dalla chiarezza iniziale, fosse irrimediabilmente attratta verso il porto sepolto, l’abisso, il pozzo, e lì trovasse una verità che non è possibile però riportare in superficie. Il linguaggio perciò non può essere che reticente e la poesia seminare perplessità. «Partivo. Con il grosso da compiere. / Non bastava il talento dell’ultima chiamata / d’amore. Neppure la città deserta. / Oh, l’adorabile, l’inseparabile. / Sembrava il prosciugarsi lento / del pozzo, la sua deità nascosta».
È proprio quando la conoscenza diventa un approdo impossibile, sembra dire la poesia di Alberto Toni, che essa sfiora la divinità. È nel fondo imperscrutabile del pozzo che può celarsi una soluzione, è lì che può nascondersi la presenza decisiva.