«Ranocchi sulla luna e altri animali»
Il ragno di Primo Levi
Einaudi ripubblica una serie di scritti e racconti del grande autore dedicati al mondo degli insetti e degli animali. Piccoli ritratti che affrontano paure e pregiudizi che vanno ben oltre l'oggetto della narrazione
Primo Levi non è stato solo un eccezionale testimone di Auschwitz. Verso il campo di concentramento nazista partì, su un treno blindato, poco dopo il conseguimento della laurea in chimica. L’esperienza di scienziato attento e rigoroso si è riversata in pagine letterarie. Pagine limpide, così come è straordinariamente limpido il linguaggio di cui ha fatto uso per raccontare quel “sonno della ragione” vissuto nel più noto tra i lager tedeschi. Levi raccontava che, da bambino, a farsi sedurre dall’osservazione scientifica furono due regali che ricevette, dal padre ingegnere: il meccano, strumento principe per giochi combinatori, e un microscopio. Levi pubblicò, anche con pseudonimo, libri sulla vita in fabbrica, sulla scienza. Ernesto Ferrero, nella prefazione del libro del narratore-chimico torinese intitolato Ranocchi sulla luna e altri animali (Einaudi, 216 pagine, 19 euro), cita e condivide quanto scrisse Domenico Starnone: «Levi è uno di quelli che scrivono lasciando dentro la scrittura un po’ di voce. Chi comincia a leggere si sente ascoltatore invece che lettore».
Nella raccolta di racconti sugli animali, connotati da ironia, precisione e scrittura “alta” ma scorrevole, ce n’è uno, strepitoso, sul ragno. L’autore si interroga sulla paura-orrore-schifo che quasi tutti noi proviamo dinanzi a quegli esseri minuscoli, che nascono già “sapienti”, nel senso che “sanno” di non doversi preoccupare se, “per incidenti stradali” o per aggressione degli uomini, si ritrovano ad avere una zampa in meno. Sanno infatti che ricrescerà. Qualcuno afferma che i ragni sono crudeli. Una sciocchezza. L’animale, precisa Levi, «non può essere oggetto di giudizi morali». E la micidiale tarantola che, al contrario di quanto erroneamente si crede, non è letale, anche se nel sud Italia e in Spagna continua ad esserci la tradizione del “tarantismo”: si può guarire solo danzando freneticamente. Ma perché tanto odio e tanti pregiudizi, allora? Parte della colpa proviene dalla psicoanalisi secondo cui la «villosità dei ragni avrebbe un significato sessuale, e il ribrezzo che proviamo rivelerebbe un nostro ignorato rifiuto del sesso…la tecnica di cattura del ragno, che riveste di filamenti la preda impigliata nella tela, ne farebbe un simbolo materno: il ragno è la madre-nemica che ci avvolge e ingloba, che ci fascia stretti per ricondurci all’impotenza…».
Primo Levi non aveva l’abitudine di scagliarsi contri questi e quelli, era estremamente garbato e rispettosissimo del pensiero altrui. Ma è evidente, da quanto riporta con esattezza, che pare grottesco l’automatismo concettuale di certi schemi psicoanalitici, duri a morire. È una sorta di pansessualismo di marca freudiana che, almeno in chi scrive questa nota, è spinta al sorriso. Levi ricorda l’incisione di Gustavo Doré che illustra Aracne in un canto del Purgatorio di Dante. Nel disegno è «già mezza ragna», con seni prosperosi e una schiena da cui spuntano sei zampe nodose, pelose, dolorose. Dante «è in ginocchio davanti al nuovo mostro». In Ranocchi sulla luna, l’autore insiste altre volte sulla tela del ragno. Ma gli animali sono tanti. C’è pure la mosca, cui viene dedicata una poesia in cu l’insetto, con un «sussurro monotono, noioso e insensato», viene chiamata “la messaggera”. La mosca rivendica la sua libertà, anche se macabra: «…io per ultima bacio le labbra/ arse dei moribondi e morituri…sono io la padrona qui:/ la sola libera, sciolta e sana». I grilli possono ispirare gli scrittori in cerca di ispirazione? Pare assurdo, ma è così. Levi ricorda un «elegante saggio di Aldous Huxley», lo scrittore britannico autore del famoso Il nuovo mondo. Ebbene, parlando in genere degli animali, Huxley raccomandava di comprare una coppia di gatti, di osservarli e descriverli, aggiungendo che «gli animali, e i mammiferi in specie, e ancor più particolarmente gli animali domestici, sono come noi, ma “senza coperchio”. Il loro comportamento è simile a quello che sarebbe il nostro se fossimo privi di inibizioni. Perciò la loro osservazione è preziosa per il romanziere che si accinge a scandagliare le motivazioni profonde dei suoi personaggi». E i grilli? C’entrano pure loro. Levi, a proposito dei «duetti dei grilli nelle sere d’estate», spiega che ce ne sono di varie specie, e ognuna canta con il suo proprio ritmo e con una sua propria nota: il maschio chiama, e la femmina, lontana anche duecento metri, e totalmente invisibile, risponde «a tono». L’importante è che il richiamo, “paziente e casto”, sia inviato alla femmina giusta, altrimenti sono guai: «…da una minuscola causa ambientale può nascere un’incompatibilità. Non c’è il germe di un romanzo?».
Nella prefazione, Ferrero scrive che «per Primo Levi vale una riflessione del suo amico Italo Calvino (nelle Lezioni americane), ossia: “La letteratura rimane viva solo se ci poniamo obiettivi smisurati, al di là di ogni speranza di conseguimento. Solo se i poeti e gli scrittori si pongono compiti che nessun altro osa immaginare, la letteratura continuerà ad avere una funzione”». Ferrero annota: «Con la sua umiltà di tecnico di laboratorio, con la sua passione di ricercatore e sperimentatore, Primo Levi ha provato a immaginare cose che prima di lui nessuno aveva immaginato».
Infine una buona notizia editoriale: prossimamente ci saranno due edizioni delle Opere complete di Levi: quella italiana per Einaudi (a cura di Marco Belpoliti) e quella inglese presso W.W. Norton di New York.