I quadri nel taccuino
Il fiore di Morandi
Uno scrittore racconta un pittore e una mostra a partire da un solo quadro: un fiore che esprime l'eleganza di Morandi e una sedia a sdraio che riassume i colori di Matisse
Sono giorni in cui il freddo si rintana negli angoli; sono giorni romani in cui il cielo si alza sopra di noi e le chiese aprono i loro portali. Sono giorni di mostre, d’inaugurazioni e di vernissage. La primavera arriva in Città anche nei musei e i giardini nei palazzi storici e nei parchi si popolano di passanti e le panchine ospitano i pensieri di chi è appena arrivato o di chi abitualmente ama sostare lì.
Al Vittoriano c’è Giorgio Morandi. Silenziosissimo, tenace e ossessivamente quieto. Succedeoggi si è già occupato di lui, perché Succedeoggi non perde un colpo. Io arrivo dopo, concentrandomi su un solo quadro per volta.
Quello di oggi è del 1950-51. Vi si vede un piccolo vaso, a righe bianche e turchese scuro. Sta al centro del quadro, un piccolo quadro, nel senso delle sue dimensioni. Il piano orizzontale, quello del giù, sale fino ai tre quarti; ed è più scuro del piano del su. Più scuro e più chiaro, ma entrambi tonalità diverse del bianco. Un bianco-grigio e un bianco-seppia. I fiori – sono loro i protagonisti – congiungono i due piani. E anch’essi sono pervasi di bianco; ma anche altri colori li sostanziano: rosa soprattutto, giallino, violetto e marroncino.
È probabile che si tratti di fiori artificiali. Fiori che possono non appassire dinanzi all’infinito perfezionismo del pittore.
C’è un vetro a separarci dall’opera: un rettangolo dentro un altro rettangolo.
Questo quadro compare in fondo, al piano di sopra, nell’ultima sala della mostra di Giorgio Morandi. È di una eleganza stupefacente.
Quieto, quasi immobile, vibra delle sue cromìe chiare che tengono lontano il buio. Per vederlo bisogna dunque attraversare tutta la mostra, tenere negli occhi gli altri quadri – acqueforti still life landscape – fino a giungere ai fiori.
Sono un paesaggio della mente; un geroglifico della psiche morandiana. Il contrasto tra i due piani è il contrasto tra terra e cielo. Laggiù c’è un orizzonte. Il pittore l’ha limitato, ci si batte la testa sopra. È un cielo terreno, una metafisica quotidiana. E vengono in mente gli scarni e provinciali racconti di Romano Bilenchi. È come se si vedessero avanzare Anna e Bruno. Sono fiori, semplicemente fiori, ma vibranti d’universo.
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«Solo con lentezza giunsi a scoprire il segreto della mia arte. Consiste nel meditare in contatto con la natura, per esprimere un segno sempre ispirato alla realtà». Lo dice Henri Matisse in un’intervista, nel 1925. E la frase è riportata nella mostra dedicata al pittore francese alle Scuderie del Quirinale.
A differenza di Giorgio Morandi, i quadri di Matisse non vibrano. Le superfici sono invase dai colori – e inequivocabilmente si tratta spesso di colori del Sud –; e dentro e fuori sono dal pittore connessi, tenuti insieme dai gesti della sua mano. Le geometrie che sottostanno alla danza delle immagini, Matisse le esplicita, come in Angolo dello studio, il quadro del 1912, olio su tela, di solito di stanza a Mosca, dinanzi al quale mi sono fermato a prendere appunti.
C’ è un’anfora. Sopra l’anfora un vaso. E nel vaso una pianta, le cui foglie danzano nell’aria: verdi sul verde dell’anfora e sugli altri verdi che riempiono il piano del quadro. Un piano che sale verso gli altri colori: quelli azzurri e rosa del paravento e quelli indaco e rosa della tenda.
In primo piano c’è una sedia a sdraio. È di tre quarti. Sta nell’angolo con le sue strisce gialle e arancioni. Un po’ si vede e un po’ sparisce fuori dal quadro.
Una sedia a sdraio vuota, un tantino ondulata sulla superficie d’appoggio.
È pronta ad accogliere il riposo dell’artista. E forse – chissà – ci potremmo sedere anche noi, per entrare ad ammirare da seduti il mondo cromatico di Matisse. Colori, colori, colori: ecco l’universo di un pittore che ha guardato alla natura con devozione. Un pittore di un Sud francese, per quale, come dicevo prima, dentro e fuori, studio e paesaggio son un tutt’uno. Qui però c’è solo un interno, ma così ricco, così carico da sembrare un prato sfolgorante sotto i raggi del sole.
La mostra s’intitola Arabesque; a differenza di quella dedicata a Morandi non può sfoggiare i capolavori di Matisse. Segue il suo tema, sostanziandolo con le stoffe e gli oggetti che hanno fermato e formato l’occhio del pittore.
Il nostro quadro forse se ne sta per conto suo. Se mi sono fermato proprio davanti a lui è forse dovuto al fatto che è un tramite per immaginare il pittore al lavoro nel suo studio. E anche per sentire nell’intimo del suo studio la presenza del Mediterrano che ondeggia fuori non lontano.