Erminia Pellecchia
Incontro con la popolare cantante

Il colore della voce

Dall'esordio con Pavarotti al trionfo ne "I due Figaro" diretta da Muti, dal successo internazionale al debutto come Liù nella Turandot riletta da Roberto De Simone al San Carlo: parla Eleonora Buratto

‘Na tazzulella ‘e café, il “rito squisito” che ha imparato in fretta appena ha messo piede all’ombra del Vesuvio. Ed è davanti ad una tazza di caffè e ad una sfogliatella del bar Scaturchio del San Carlo che Eleonora Buratto, l’astro nascente del belcanto, mi accoglie, «immersa nella musica di Puccini e nel calore di Napoli, sotto lo sguardo di Pavarotti e gli arredi di Mimmo Paladino», per un’intervista che, nel giro di due secondi, si trasforma in una piacevole conversazione a 360° gradi sul teatro, sulla musica, sui libri, sulla cucina e perfino sui fumetti. Perché lei, classe 1982, mantovana di quel di Sustinente, è cresciuta a tortellini e manga. E con quegli occhi grandi da Bambi, i capelli fluenti e le curve scolpite dalla matita di un penciler giapponese sembra proprio il ritratto della bella e volitiva Fujiko, fidanzata di Lupin, il suo personaggio preferito dell’infanzia. Niente a che vedere, c’è da pensare, con la tenera e dolce Liù pucciniana, cui dà il volto nella Turandot firmata De Simone e ripresa da Mariano Baudin, che andrà in scena al Massimo partenopeo, dal 21 marzo al primo aprile, con la direzione di Juraj Valcuha.

Già, nell’immaginario comune, Liù è la debole schiava che si sacrifica per amore. Niente di più sbagliato, sorride la cantante: «È forte e coerente, ha coscienza e conoscenza dell’amore, col suo gesto sarà proprio lei a sciogliere il gelo della principessa di ghiaccio. Questo allestimento è una grande liturgia, è molto spirituale, molto orientale. La morte di Liù è il rituale per liberare lo spirito avatar di Turandot, l’antenata stuprata di cui è fiera vendicatrice e che, con il dono d’amore di una donna verso un uomo che ama un’altra, potrà finalmente trovare la pace. Si pareggiano i conti, la vittima innocente fa capire che esistono sentimenti diversi dall’odio. Ecco, penso che quest’opera sia molto contemporanea. Al centro ci sono le donne, la violenza che subiscono, il disagio; lo sfondo è quello della società attuale immersa nelle ombre alla ricerca del sole. Liù è l’amore puro e incondizionato, è la poesia dell’amore e oggi abbiamo tanto bisogno di riscoprire l’amore».

È la tua seconda apparizione al San Carlo, la prima in un ruolo così importante…

Questo debutto mi riempie di orgoglio. Ho girato il mondo, ma penso che questo sia in assoluto il teatro più bello e che potrebbe dare molto all’Italia. Musicisti e maestranze sono straordinari. Peccato per tutte le polemiche che ci sono, i problemi, le cose che non funzionano. Ci vorrebbe una buona guida, allora sì che darebbe punti a tutti. Sono emozionatissima, considero De Simone un genio, desidero e nello stesso tempo temo la sua presenza alla prima, ho il terrore di deluderlo. Non basta una buona voce, devi entrare nel personaggio, nell’ambientazione. Turandot non è una semplice storia d’amore dal sapore esotico. Lui ha ripercorso, creando una sorta di Pechino arcaica e misteriosa, l’antico modello della fiaba originale persiana fatta propria da Carlo Gozzi, senza tralasciare gli elementi storico-stilistici dell’adattamento dei librettisti Giuseppe Adami e Renato Simoni. Ha avuto, soprattutto, un’attenzione analitica della partitura di Puccini, ha messo in luce gli aspetti inquietanti, l’atmosfera da tragedia greca evocata dalla presenza fisicissima del coro, l’ambiguità armonica, l’andamento mandalico, i grumi tematici che sottolineano le tensioni, il conflitto degli opposti, i moti dell’anima variabili e complessi, la sospensione, quella porta lasciata aperta da Puccini con la sua morte e che, forse, lui stesso, da vivo, non osava varcare. È una regia avvincente, De Simone si ferma lì, su quella soglia incompiuta, sul sacrificio riparatore di Liù.

eleonora buratto2Il maestro, però, aveva scritto un finale inedito…

Sì, ma c’è il nodo dei diritti d’autore in Italia, un iter burocratico da definire, non è vero che c’è stato il veto della Ricordi. In ogni caso trovo questa produzione del Petruzzelli di Bari magnifica. I costumi di Odette Nicoletti sono sfarzosi, curati nel dettaglio, penso alle armature di sughero del coro che richiamano l’esercito di terracotta di Xian. Le scene di Nicola Rubertelli sono imponenti e labirintiche, tra apocalisse e sogno. Il cast è stellare. La regia, lo ripeto, è creativa, visionaria ed espressiva nello stesso tempo. Assolutamente non statica. Ci costringe, per fortuna, a un’interpretazione attoriale, quella che il pubblico moderno, giustamente gradisce.

La critica, oltre a paragonarla a Mirella Freni, l’ha definita l’Adriana Asti della lirica.

Siamo non solo voce, ma anche corpo. Dobbiamo esprimerci col gesto, col viso, dobbiamo muoverci in scena: in questa Turandot, ad esempio, sono strattonata da una parte all’altra del palcoscenico, portata in braccio, issata. Dobbiamo seguire il gioco delle luci, recitare, insomma, oltre che cantare. Ho avuto il talento in dote, ma non basta. Studio tantissimo, faccio vocalizzi, provo le battute. Con me c’è sempre la mia adorata vocal coach, Paola Leolini, con cui perfeziono non solo la tecnica, ma anche il carattere dei personaggi. E, su di lei, come su quanti purtroppo mi stanno più vicino, scarico i momenti brutti. Ma, che dire, mi sopportano. E basta poco per riprendermi, un libro, mi piacciono i romanzi noir e fantasy, ricamare, cucinare, sono bravissima a fare le lasagne. Ascolto musica, quella pop e rock, sono una grande fan dei Metallica e di Pino Daniele e il mio sogno segreto è di essere la protagonista di un’opera rock. Se mi sento sola, infine, mi stringo al mio Stregatto di peluche, sì proprio quello di Alice della Disney: è un po’ ritrovare l’ingenuità dei bambini che non dovremmo mai perdere. Sono solare, schietta, spontanea, iphone dipendente per non perdere i legami con la mia famiglia e gli amici, scherzo facilmente, ho una vena comica naturale e prediligo le parti divertenti e gioiose come quella di Norina del Don Pasquale di Donizetti. Mi piace sperimentare tutti i colori che la mia voce può offrire, mi stanno bene anche le parti commoventi, mi commuovo io per prima e il pubblico si commuove con me. Sono una che piange, ho pianto tanto per amore, ma morire d’amore come Liù mai, è assurdo, la vita è così bella…

Hai firmato contratti fino al 2019. Il 23 luglio al Ravenna Festival sarai Mrs Alice Ford nel Falstaff verdiano di Muti con trasferta a Chicago, a settembre alla Scala nel ruolo di Adina nell’Elisir d’amore di Donizetti, Mimì nella Bohéme al Liceu di Barcellona. A coronare questa cavalcata, il Metropolitan di New York nel 2016, dove interpreterai Norina. Come spieghi il tuo successo, conta molto anche la bellezza?

Certo, oggi nello spettacolo l’aspetto è fondamentale, per gli uomini e per le donne. Non ci sono quasi più cantanti obesi perché non è vero che se sei grasso la voce esce meglio. Anche se dobbiamo mangiare, tanto perché sul palcoscenico bruciamo molto, ma la nostra dieta mediterranea è perfetta, ti sazia, è gustosa, fa bene al fisico ed alla salute. Io non potrei mai rinunciare alla pasta, ai tortellini fatti in casa da mia madre. Per non parlare della pizza, a Napoli la mangerei finanche a colazione. Il successo? Beh, forse lo devo anche al mio lato B, che notoriamente, nella smorfia, significa fortuna. La vita è fatta di incontri, di treni che passano. Io ho trovato sempre sul mio cammino la persona giusta, l’occasione giusta. Ma se vuoi davvero farcela, devi credere in un sogno e studiare, quotidianamente, allenare mente, muscoli e corde vocali Mimì mi sembrava un traguardo lontano, eppure ora sono pronta. Chi sa, in un prossimo futuro, potrei affrontare anche l’Otello.

eleonora buratto3Incontri fatali. C’è stato quello con Pavarotti.

Ho sempre avuto la passione per il canto fin da quando avevo due anni, iscrivermi al Conservatorio di Mantova era la strada obbligata. Il mio maestro Gabriele Monici mi fece fare un’audizione con Luciano, disse che ero un soprano lirico magrotto, però mi prese a lezione. All’epoca non capivo nulla di opera, sapevo solo le trame che mi raccontavano da piccola i miei nonni che, invece, erano pazzi per il melodramma ed andavano con il carrettino a Verona per ascoltare i grandi nomi. Il mio mondo erano i locali, cantavo in una band pop-rock che avevamo battezzato Pentatonica e da grande volevo fare la fisioterapista. Pavarotti mi ha introdotto in una realtà nuova, magica, anche se allora non lo capivo. Non sono certo stata una brava allieva, però mi ha insegnato il senso dell’amicizia, lo stare vicino agli altri, il rispetto per la tradizione e la memoria. Era una persona generosa, semplice, un entusiasta, vicinissimo ai giovani. Il ricordo più bello? La sfida a colpi di tortellini che fece con mia madre, assegnandole la palma. Avrebbe voluto dirigermi nell’Elisir d’Amore, il mio debutto al Teatro Real di Madrid l’ho dedicato a lui.

Il momento più importante della tua carriera?

Quando ho superato l’audizione, nel 2010, a Salisburgo per il ruolo di Susanna ne I due Figaro di Mercadante. Avevo già deciso di mollare tutto e di continuare gli studi di Farmacia, è stata la spinta ad andare avanti. Poi c’è stato l’incontro con Muti, il più grande direttore del mondo, con lui si impara ad ogni battuta, ti segue, ti fa capire le cose e ti sa capire.

I due figaroE poi c’è stata l’ebbrezza della standing ovation alla Dutch National Opera di Amsterdam nell’innovativo Viaggio a Reims di Rossini con la regia di Michieletto e la direzione di Stefano Montanari.

Un successo inaspettato, hanno scritto che sono stata una stratosferica Corinna. Sono ancora incredula, tanti ragazzi in sala, tutti ad applaudirmi. Già a Tokyo nel Simon Boccanegra, diretta da Muti, avevo avuto il sentore che il pubblico cominciava ad apprezzarmi, ma quello che è accaduto ad Amsterdam è impossibile da raccontare. Sono ancora su di giri. All’estero le cose sono diverse, ci sono platee giovani, c’è maggiore cultura. Qui in un’Italia dove aboliscono la storia dell’arte, dove i monumenti crollano nell’indifferenza generale, come si può pensare che si investa sulla lirica e, soprattutto, che si educhi alla lirica? Sono inutili i biglietti scontati, il riciclare opere note nei cartelloni perché si crede facciano cassetta. Il Viaggio nessuno quasi lo conosce, eppure ad ogni replica era il pienone.

Un desiderio e un rimpianto?

Vorrei duettare con Crozza, lo sogno anche la notte: lui Freddy Mercury ed io Montserrat Caballé. E vorrei fare pubblicità per i tortellini Rana, da bimba li mangiavo addirittura crudi, tra le urla di mamma. Scherzo… Vorrei occuparmi di bambini, di quelli malati, di quelli con problemi. Mi piacerebbe fare un recital al Giffoni Film Festival che ha uno sguardo per i piccoli pazienti del Bambino Gesù, vorrei occuparmi dei bambini farfalla, fare musicoterapia. Il piccolo dolore che porto dentro? Da due anni sono single, vorrei formarmi una mia famiglia, ma finora non ho trovato il compagno ideale. Mi consolo rifugiandomi nella mia Sustinente dove mi faccio coccolare da mamma e papà e coccolo i miei nipoti. Una passeggiata in campagna, un pranzetto con i miei piatti preferiti, quattro chiacchiere con i vecchi amici e sono pronta a ripartire, a sognare altri sogni.

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