Cartolina da Lisbona
Facciamo i portoghesi
La vita culturale e politica lusitana ricalca la nostra (o viceversa?): un passato glorioso si scontra con un presente furbo. Sotto il tallone d'acciaio delle convenzioni euro-tedesche
Due slogan campeggiano per le strade di Lisbona. Uno è il libro che fino a poco faceva bella mostra di sé nelle vetrine di Bertrand a Rua Garret presso il famoso Largo do Chiado. Dove, per intenderci, un sosia metallico di Fernando Pessoa se ne sta seduto davanti allo storico caffè «A Brasileira» (dovendo subire l’onta perpetuo di essere immortalato abbracciato con immensa serie di idioti nelle foto da portare a casa). A proposito, se vi ci troverete come turisti non fate l’errore di entrarvi: il turismo di massa lo ha completamente snaturato, e così vi tratteranno esattamente come si tratta un turista di massa, cioè a pesci in faccia. Né pensate di trovarvi nulla di Pessoa. Il nostro sublime Fernando a Lisbona è dove meno penserete di trovarlo.
Ma torniamo al libro, il cui titolo è Afinal não somos alemães (Alla fine dei conti non siamo tedeschi). Non ne conosco l’autore e non l’ho letto, perché ho perso a suo tempo l’occasione di acquistarlo ed ora sembra svanito nel nulla. E però negli ultimi giorni è comparso dappertutto, incollato sui muri, un appello laconico ma estremamente significativo: «A Grecia acordou! E nos?» («La Grecia s’è svegliata! E noi?»). Non c’è bisogno, ovviamente di commenti, dato tutto quello che si è già detto su questo tema. Va solo registrato uno spassoso, ma non poco amaro, commento comparso nella stampa nazionale che sembra far eco ad entrambi i due slogan appena menzionati. Si tratta di un articolo dal titolo: «Afinal somos nos que mandamos na Europa» («Alla fine dei conti siamo noi che comandiamo in Europa»). Ci si riferisce con tutta ragione al paradossale impegno di Marcelo Rebelo de Sousa nel far mancare l’appoggio portoghese alle richieste della Grecia.
Di nuovo un «alla fine dei conti». Il che ci fa approdare al momento terminale intorno al quale si muovono i crucci di tutti noi a sud del 45° parallelo nord passante per la vecchia Europa. E infatti si parla, sia pure ironicamente, delle indubbie glorie passate di un popolo europeo, quello luso. Che effettivamente in un certo senso un tempo dominò il mondo, sebbene sui mari più che per terra. Un po’ presuntuosa ed anche di cattivo gusto la competizione con l’Impero romano, alla quale si fa menzione nell’articolo in questione, ma la si può anche lasciar passare. Alla fine, ciò che sembra contare di più è che, sotto la sferza dell’inquietantissimo rinnovarsi di antichissimi germanici istinti monomanici di dominio planetario ‒ in questa sorta di sbiadito e confuso, ma efficacissimo, Quarto Reich, conducente la Blitzkrieg più con i diktat bancari che con le Panzerdivisionen – l’antica grandezza europea sembra volersi auto-affossare forse in modo ancora peggiore che nei due ultimi conflitti mondiali. Non a caso di ciò sono protagonisti proprio i tedeschi, da sempre proclamatori di future certe vittorie per poi alla fine prodursi in disastrose e vergognose ritirate. Dalla famosa Strafexpedition alla non meno famosa «Italia-Germania 4 a 3». Quanto poi a tutti noialtri, portoghesi, greci, italiani e spagnoli, ormai di fatto non ci resta (come avviene nell’articolo) che piagnucolare circa antiche e del tutto non più attuali glorie. Quando proprio ora, nel mentre siamo di nuovo sotto il tallone d’acciaio, è più che mai evidente che con ciò possiamo solo sognare. Noi italiani in testa e per moltissimi motivi. Ricordare il Leopardi, nei suoi amari lamenti sulle passate glorie romane, nell’Italietta già di allora!
C’è poi ancora un’altra lezione che viene dall’attuale cronaca portoghese, e di cui in Lisbona si tasta il polso. Proprio oggi è stata diffusa la notizia dell’indizio di reato rivolto al dirigente di Tugaleaks, ovvero gli Anonymous portoghesi. E così, come con l’affare Tsipras, viene a galla l’altro grande fatto di cronaca europeo-mondiale che più ha fatto tristemente notizia ultimamente, e cioè il fattaccio di Charlie Hebdo. Si ricorderà infatti che Anonymous scese in campo proprio contro gli attentatori islamici, promettendo loro che non l’avrebbero passata liscia. E non si può proprio dire che i cuori di tutti non abbiano esultato per questo. Almeno un accenno, tra tante viltà, di decisione a combattere per un’identità da difendere, invece che solo chinare il capo con le più diverse motivazioni.
Insomma, se le accuse sono fondate, pare che gli Anonymous portoghesi non siano stati altro che volgari pirati informatici, dunque violatori di conti bancari di normalissimi ed indifesi cittadini etc. Il tutto nella proclamazione della loro adesione ad una lotta senza quartiere contro «corruzione, burocrazia ed abusi di potere», ovvero lotta nientepopodimeno che per la democrazia diretta. In altre parole, la proclamazione degli stessi ideali in forza dei quali Internet viene da più parti dichiarato uno strumento ormai irrinunciabile di democrazia. Vedi Cinque Stelle. Il che significa che non può né deve avere la minima importanza che sulle fibre ottiche corrano anche porcherie e soprusi della peggior specie, alcuni dei quali addirittura assassini..
Bene! E qui veramente sprofondiamo nella più nera oscurità di quella che è oggi la condizione moderna. Perché, se qui ti metti a fare troppo il moralista alla vecchia maniera, finisce che autorizzi manovre di innominabili forze che sicuramente sperano di mettere sotto controllo un movimento che effettivamente sfugge provvidenzialmente al controllo quasi totale al quale sempre più siamo soggiogati. Se però non ti opponi al libertarismo incondizionato che cerca di sfuggire a tutto questo, ti rendi complice dei suoi eccessi.
Il caso di Tugaleaks mi sembra emblematico di questo stramaledetto imbroglio. Che poi emergeva anche a proposito di Charlie Hebdo. Lì molti di noi si sono chiesti, infatti, fino a che punto la rivendicazione della libertà di stampa e di espressione potesse giungere impunemente fino a calpestare il diritto a non vedere mortificate, dileggiate e trascinate nella polvere le credenze alle quali si tiene di più. E che dire dell’imbroglio ucraino, così simile alle circostanze delle esitazioni di Chamberlain davanti alla Anschluss nazista? Putin sarà anche un dittatore, come si dice, ma non è forse vero che l’Europa, e la collegata Alleanza atlantica, hanno spinto un po’ troppo il piede sull’acceleratore in termini di conquista di Lebensraum? E sempre, si noti bene, con le insegne della “democrazia” ricamate sulle intanto scaltramente occultate bandiere di guerra.
Insomma, cosa mai sta accadendo nel mondo? Domanda inquietante da parte di un innamorato perso del Passato, in senso però purissimamente utopistico: non è allora che ne avremmo un vantaggio se ricominciassimo a pensare alla convivenza civile nei termini di una di nuova calda comunionalità al centro della quale ritornino quegli schietti “valori” morali e “ideali” che certa (irresponsabilissima) filosofia moderna ha voluto mettersi sotto i piedi in nome di una strenua autenticità che avrebbe dovuto liberare? Ebbene, questa cruda più che strenua autenticità (in gran parte iconoclasticamente riduzionistica) ci ha liberato o invece soggiogato ancor più?
Domande e domande… Intorno al mondo e alla conditione humaine (Andrè Malraux). Su di esse, da Lisbona abbiamo uno squarcio con questa serie di notizie. Ne abbiamo uno squarcio da una città che ha tutto il diritto di guardare al mondo e di far valere, per onorevole tradizione storica, il suo sguardo sul mondo. Tutto questo, insieme, per completezza, a qualche altra notiziola che intanto ci risolleva, perché ci fa sentire quanto gradevolmente viva e sveglia sia questa città.
“Pedalar e ser feliz”: grazie ad una serie di percorsi integrati, tra ciclovie e mezzi pubblici terrestri e fluviali (che a Lisbona funzionano ineccepibilmente ‒ ah Napoli mia disgraziatissima!), sono stati resi disponibili (grazie, o sublime Antonio Costa!) una serie di percorsi in bicicletta per visitare una città che, proprio come Napoli, per natura condannerebbe all’infarto quasi sicuro chi solo osasse pensare a una follia del genere.
Mostre: l’esposizione di Miguel Ângelo Rocha presso il CMJAP (Centro de Arte Moderna) dell’Istituto Gulbenkian, un’istituzione veramente modello per tutto ciò che è cultura, dalle esposizioni museali alla musica (da visitare assolutamente!). L’esposizione di Rocha è la trasformazione di uno spazio in sé insignificante in un’affascinante geometria di serpentine, simili a quelle ottenute dalla spremiture di un gigantesco tubo dentifricio, dalle quali si diramano poi inimmaginabili fantasmagorie di luci ed ombre ed inoltre di suoni
Libri: Esce per i tipi di Temas & Debates uno dei quei libri che i filosofi accademici, solo che fossero umili (ma ahimè proprio non ci riescono!) dovrebbero assolutamente leggere. È il libro del pensatore Simon Blackbum dal titolo Vaidade e Ganância no Século XXI. Os Usos e Abusos do Amor-Próprio. Tratta del narcisismo, ma l’accusato (gentaggè!) è proprio quella filosofia che, ossessionata dalle sue stesse contorsioni auto-referenziali ed alla fine dunque sterilmente auto-speculative, dimentica che la filosofia stessa è fatta solo e soltanto per servire l’uomo. Intendo quell’uomo comune che essa (già da Socrate in poi, ma oggi più che mai ‒ vedi i deliri dei post-heideggeriani dietro alla sigetica del loro Guru, ovvero sulla carte arte di dire non dicendo, e cioè, di fatto, di non dire proprio nulla), schifa come uno spregevole ignorante. Curioso che l’autore definisca la sua una “filosofia pop”, dove l’attributo fa tanto moderno-transgressivo. In realtà il senso è un altro e cioè quello che ci ricorda Pierre Hadot in “Cos’è la filosofia antica?”, e cioè quel senso che il pensiero moderno ha voluto smarrire del tutto. Il senso è questo: che la filosofia o serve alla prassi di vita, al diventare uomini fattivamente migliori, alla propria crescita spirituale, oppure non serve a nulla. Cioè è di fatto spazzatura. Meglio allora farne a meno.
Ciao a tutti da una meditativa ma brillante Lisboa.