Il nostro inviato al Bardo
Cronaca da Tunisi
Tutto comincia alle 12: per tre ore i terroristi tengono in pugno il cuore della città. Spari, sangue, armi in pugno e blindati dappertutto: ecco che cosa abbiamo visto ieri. L'orrore della porta accanto...
Sembrava un mercoledì come tanti altri, in questo strano inverno tunisino, che non vuole mai finire. Stavo correggendo un articolo in inglese, una vera dannazione. Sento il buzz del cellulare. Messaggio di un collega. «Bardo, spari vicino Parlamento». Sto lavorando sul mio tablet. Apro Bbc Middle East e leggo la conferma. Siamo intorno a mezzogiorno. Mi butto al volo dentro un taxi louage (collettivo), sono i piu veloci e ti lasciano al Passage, dove c’è la connessione per arrivare presto al Bardo. A bordo l’autista dà gli aggiornamenti ai passeggeri su cio che sta succedendo vicino al Parlamento, tramite un notiziario via cellulare. Qualcuno borbotta che sarebbe meglio tenesse entrambe le mani sul volante. Le agenzie danno pochi particolari, ma il clima è pesante. Piazza della Repubblica, il nome ufficiale della stazione metro della capitale, è affollata come sempre. Prendo il 4 e dopo una ventina di minuti arrivo alla fermata giusta, appena dopo un tunnel con una salita dove la metro fatica ad arrampicarsi. Chi non deve scendere cerca di spiare dai finestrini, provando a capire cosa succede intorno. Scendiamo in pochi. Mancano dieci minuti alle 14.00, c’è polizia dapperutto, le sirene delle ambulanze si sentono come una colonna sonora costante. Le divise nere delle Bir, elmetti e passamontagna, formano un cordone sparso intorno alla piazza di fronte al Parlamento. Quel luogo diventato uno dei simboli delle proteste contro il vecchio regime e angolo prediletto delle opposizioni laiche.
Le Brigades d’intervention rapide non fanno passare, neanche i giornalisti. Parlo con una collega polacca e un giovanissimo giornalista tunisino. Mi aggiornano. Tre terroristi con divise della polizia, avrebbero fatto irruzione nel piazzale antistante il museo del Bardo. Lo conosco bene, so che è una tappa obbligatoria per qualunque amante dell’arte e della storia. Gli assalitori avrebbero cominciato a sparare all’impazzata contro tutti. In primis contro un gruppo di turisti che stavano scendendo da un bus. Poi sarebbero entrati nel museo, continuando la carneficina. A fine giornata il triste bilancio sarebbe stato di 20 morti: 3 tunisini e 17 stranieri, tra i quali 4 italiani. Parlo con alcuni ufficiali della Guarde Nationale, cerco informazioni sui connazionali. Quanti sono stati presi in ostaggio? Ci sono feriti, morti? Ma è difficile, conosco il sistema: comunicare con la stampa è l’ultimo dei problemi per le forze dell’ordine. Anche se tutti sono disponibili e cortesi. Dopo una ventina di minuti si sente sparare, forse 4 o 5 colpi secchi. E i mezzi di polizia e guardia nazionale continuano ad affluire. Il mio tablet è inondato di messaggi. Ma presto le batterie mi abbandonano e con loro la possibilita di una diretta tv con un canale italiano e uno polacco.
Un elicottero militare Alouette III continua a volteggiare sopra le nostre teste. Sfrecciano tre suv neri con i lampeggianti. Ma è solo un diversivo. Arriva un bus bianco e parcheggia di traverso ai binari. C’è un po di agitazione, la polizia si schiera lungo il tracciato della linea della metro. Sulla banchina di fronte vedo arrivare gente a gruppi sparsi. Sono loro, sicuramente, gli ostaggi! Provo a urlare per chiedere se ci sono connazionali fra di loro. Ma non sento alcuna voce italiana rispondere. I nostri non sono tra quei 40 che subito montano sul pulman, probabilmente lo stesso che li aveva portati a destinazione in quella sfortunata visita. Sento alcuni ufficiali che parlano di due terroristi uccisi. E chiedo conferma. È tutto finito? No, purtroppo. Uno è ancora asserragliato dentro il museo. Si parla di complici fuggiti. Ma le informazioni sono molto confuse.
Finalmente alle 15.00 riesco a passare il primo sbarramento. Vedo una trentina di colleghi che corrono verso il museo. Li seguo. La strada costeggia i giardini del palazzo che ospita tra le piu belle collezioni d’arte antica. Ci sono divise dappertutto. Mezzi parcheggiati come capita. Dentro, nel parco del museo si notano alcuni veicoli corazzati delle forze speciali della Polizia: le Bat, Brigate anti-terrorismo. Mi fiondo nella ressa di colleghi e telecamere. Spintono finche raggiungo l’ingresso. Placco un ufficiale e chiedo degli italiani. L’ imbarazzo è palpabile, ma mi risponde che non è a conoscenza di vittime italiane. So che dovro aspettare. Niente è certo. Tutto va verificato una, due tre volte. E poi ancora. Mi ricordo dell’omicidio Brahmi, nel luglio 2013. Scarpinata fino al Charles Nicoles, per sapere da quanti colpi fosse stato “attinto”. Lo stesso ospedale dove hanno portato vittime e feriti di questo mercoledi nero. Un giorno da dimenticare. Manca una rivendicazione. Forse arriverà. Forse no. È un tertorismo distratto quello tunisino, ma non meno feroce. Solo da poco gli attentati nel governatorato di Kasserine hanno una rivendicazione. Fino ad allora niente. Come se la gestione politica del terrore non esistesse. Un nonsenso.
Nel mio lavoro da mesi avevo visto come nel sud del paese Stato Islamico avesse messo radici. E anche nell’area di Tunisi, simpatizzanti e fiancheggiatori non mancano. Ora che la situazione in Libia sembra precipitare, gli italiani rischiano di diventare un bersaglio. Da mesi il sud si sta riempiendo di materiale bellico. La recente scoperta a Ben Gardane, vicino al confine libico, di un enorme deposito di armi e munizioni ne è una conferma. I reclutatori per il jihad si muovono abbastsnza liberamente anche nelle zone centrali del paese. La Tunisia è vasta e un esercito di soli 27mila uomini non basta. Poche centinaia di “siriani” addestrati al combattimento reale potrebbero mettere in crisi l’intero dispositivo di sicurezza tunisino. Lo devono capire sia il nuovo governo a Tunisi sia quello di Roma. Qui ci sono 5mila residenti italiani. E non possiamo lasciare che i tunisini, da soli, affrontino una sfida cosi impegnativa. È una sfida per l’intera società civile venuta fuori dalle Primavere con una costituzione nuova di zecca. E un articolo, il numero sei, che lascia pochi dubbi su cosa voglia dire: «No al radicalismo».
Sono le 15.30 si sente un’esplosione. Le forze speciali entrano di nuovo in azione per neutralizzare l’ultimo terrorista asserragliato tra mosaici e bassorilievi. Sono con due poliziotti vicino al muro di cinta. Hanno entrambi estratto le armi e mi fanno segno di abbassarmi. Uno degli agenti porta una Glock 17 calibro 9mmx21. Passano meno di 30 secondi e poi tutto è finito. Pochi minuti e i mezzi blindati delle Bat lasciano la zona. C’è un boato quando passano il cancello principale. Sono i tunisini che li festeggiano, giustamente, e scaricano la tensione di un giorno di sangue. Un mercoledì nero da dimenticare.
Le foto sono di Pierre Chiartano