Un libro pubblicato da Exorma
Viaggiare lento
Con il pollice alzato si può girare il mondo. A patto di non avere fretta e di saper godere del presente. Ecco la filosofia di "Passaggi" un diario di viaggi in autostop di Paolo Pergola
Se chiedo a mio figlio di 16 anni che cosa rappresenta l’icona della manina stretta a pugno col pollice in su, lui mi guarda come fossi una deficiente e mi risponde “like, mamma, mi piace”. L’adolescente pensa subito a Facebook, io penso a quando adolescente in vacanza (coi soldi contati) a Lampedusa mi spostavo da una spiaggia all’altra solo grazie ai passaggi dei gentili isolani. A mio figlio, e a tutti i ragazzi nativi digitali vorrei far leggere Passaggi di Paolo Pergola (Exorma, 240 pagine 15,90 Euro), un libro che racconta in maniera semplice e divertente le «avventure di un autostoppista», un ragazzo della generazione on the road che negli anni ’70, ’80 e anche ’90 ha girato con lo zaino in spalla (e senza cellulare o tablet) praticamente tutto il mondo.
Nel libro, diviso in capitoli che hanno per titolo le destinazioni o gli itinerari dei tanti viaggi intrapresi (così che lo si può anche leggere anche per mezzo, senza seguire l’ordine), l’autore descrive con un linguaggio fresco e diretto la sua lunga stagione di viaggiatore autostoppista. Allergico alla sedentarietà e guidato dalla voglia di conoscere il mondo più sperduto (piuttosto che da quella di andare a mettere bandierine sulle grandi città e le capitali), Paolo Pergola ci trasporta in una dimensione di viaggio totale, nel quale la parte dello spostamento non è meno importante o coinvolgente della visita del posto prescelto come meta. «Dopo un po’ – scrive – mi alzo in piedi, senza nessun preavvertimento e tiro fuori il dito. Passano delle macchine che non si fermano, ma non m’importa. Non voglio che si fermino subito, cioè si possono fermare, ma anche non fermare, e per me va bene lo stesso. Non sto proprio facendo l’autostop, sto facendo una gita, e mi sto godendo il luogo dove sono. Non m’importa quando mi prendono, sto bene anche così».
Perciò, da Palinuro a Reykjavik, dalla Scozia all’Arizona passando per piccoli trasferimenti tipo Empoli-Viareggio (meno di 100 chilometri che diventano una giornata di andirivieni, incontri ed emozioni per la Toscana), i viaggi fatti con la filosofia autostoppale sono, senza averne l’aria, viaggi di formazione e conoscenza. Raccontati con gli occhi puri di un viaggiatore giovane e curioso, disposto agli incontri ma anche alla solitudine e dotato di uno sguardo incantato e fiducioso nei confronti delle persone, dei posti e delle situazioni.
Per questi motivi il protagonista diventa subito simpatico e le sue avventure (corredate da fotine in bianco e nero) fanno venire una voglia pazzesca di viaggiare, magari provando almeno una volta a uscire dai circuiti, dai pacchetti, dalle strade principali, per andarsi a mischiare alla vita della gente comune che vive sotto altri cieli: i pescatori di stoccafisso della Lapponia, i parigini intrappolati nel traffico della rentrée di fine estate o le migliaia di camionisti dell’Alaska, dove «ci sono dieci uomini per ogni donna».
Oggi l’autostoppismo non è più di moda e i passaggi si prenotano sugli appositi siti, in rete, che fanno risparmiare il tempo (e l’alea) dell’attesa sul ciglio della strada. Ma la grazia un po’ naif con cui Paolo Pergola racconta luoghi e persone incontrati da autostoppista non lascia indifferenti. Polvere, contrattempi e stropicciate cartine stradali (al posto dei click e dei link con cui viaggiamo virtualmente in tutto il mondo) ci ricordano che il viaggio è un’esigenza interiore, un’esperienza che acuisce la nostra capacità di guardare il mondo con benevolenza e curiosità.
Ne hanno da imparare, i nostri figli. Ma anche a noi, una bella ripetizione non farebbe male.