Una città «creativa»
Street art Roma
L'amministrazione capitolina ha finanziato e sostenuto un viaggio nella street art della città: «Tutte le manifestazioni artistiche, all'inizio, sono fuorilegge. La legalizzazione, poi, fa parte del loro percorso», spiega l'assessore Marinelli
«Tutte le manifestazioni artistiche, all’inizio, sono fuorilegge. La legalizzazione, poi, fa parte del loro percorso». L’assessore alla cultura di Roma Giovanna Marinelli (e con lei l’assessore alle periferie Luigi Nieri) presenta così una ricognizione per le periferie romane #tourstreetart), dove grazie a «Roma creativa», bando promosso dall’assessorato alla cultura, sono stati finanziati eventi e opere di street art. Quaranta, almeno, tra Ostiense – il quartiere che con più forza in questi anni ha favorito e promosso il lavoro dei wrighter – Torpignattara, Rebibbia, San Basilio, Tormarancia.
I nomi degli artisti sono di peso: da Sten e Lex a Torpignattara a Hitnes a San Basilio, a Clemens Behr e Lucamaleonte all’Ostiense all’ultimo intervento, a breve inaugurato, di Tormarancia. Particolarmente significativo il murale a tre mani accanto alla scuola Pisacane, quartiere Prenestino. Nella più etnica delle scuole romane, i tre volti dipinti parlano di culture e nazionalità diverse. Diavù ha dipinto il padre di Liu, emigrato in Italia dopo la nascita della seconda bambina perché disobbediente alla legge del figlio unico; Lucamaleonte un ragazzo del Bangladesh e Nicola Alessandri un giovane italiano ma la cui famiglia è immigrata da Palestrina: «Perché questo in fondo sono i romani – si accalora Diavù – immigrati fin dal tempo di Romolo e Remo. Una grande ricchezza culturale». Gli abitanti passano e guardano, qualcuno apprezza, altri si fermano a discutere: piace poco il gioco grafico e l’astrattismo, meglio il realismo e i colori chiari.
A Rebibbia, all’ingresso della metropolitana, gli assessori guardano a sinistra, il nuovo dipinto di Daniele Tozzi, una volpe composta con il lettering di una frase del Sogno di Maria di De André («per un giorno, per un momento, corsi a vedere il colore del vento»). Di fronte gli fa eco il murale di Zerocalcare, un beffardo mammuth che dà il benvenuto a Rebibbia: «Qui ci manca tutto, non ci serve niente».
Singolare l’esperimento di San Basilio. Una piazza prima trascurata, su cui si affaccia il centro culturale Aldo Fabrizi, è invasa da una natura rigogliosa e da animali giganti dipinti sulle facciate di sei grandi case popolari. Merito di Hitnes, ancora al lavoro su un grande orso (finirà l’ultima facciata il 28) dopo aver disegnato un airone in una palude piena di ranocchie, un gatto selvatico tra pappagalli e pesci, un lembo di foresta primaria con i suoi uccelli. Davvero una visione suggestiva.
Ma il progetto dell’assessorato è ancora più ambizioso: mappare tutte le opere di street art, metterle on line, far conoscere un’altra Roma: una sorta di museo open air. Così da preservare, anche, tutte quelle opere affidate alla strada che non hanno il timbro della legalità. La più grande, la più bella, è l’enorme saga dipinta da Blu sulla caserma di via Magazzini Generali, all’Ostiense. Giganti, bananeti, villaggi e metropoli, boschi fatati, vascelli volanti i cui colori hanno cambiato il paesaggio: cancellarli o lasciare che vengano cancellati dal tempo sarebbe un peccato. Un peccato è stato la scialbatura del viadotto di via Delle Conce, Lucamaleonte e Hitnes insieme: branchi di lucci, gufi, sargassi ondeggianti, querce e infiorescenze cancellati in nome della pulizia.
Il tentativo di legalizzazione della street art è generoso, ma parziale. Lo street artist è ribelle, innanzitutto, vuol cambiare non solo la fruizione dell’opera – totale, naturalmente – ma anche i suoi contenuti, e la sua gestione. «L’ammirano? Va bene. La ignorano? Va bene, La cancellano? Va bene» dice un writher da sotto il cappuccio della felpa. Arroganza o generosità? Rabbia o genialità? Un po’ tutto, forse. Non sono poche le opere cancellate dalla furia del decoro, alcune anche di gran pregio. Si racconta di un graffito di Keith Haring fatto sul plexiglass del ponte sul Tevere della metropolitana, un vandalismo imperdonabile. Ma chi sapeva, allora, chi era davvero Haring? E quanti Haring dipingono i muri di Roma oggi?
Se la città è di tutti, anche l’opera artistica dipinta sulle sue mura è di tutti. Resta da decidere cos’è intervento artistico e cosa solo decoro artigianale, e chi decide? Resta da fare i conti con la bellezza, il linguaggio degli artisti, la comprensione del pubblico. Resta da fare i conti con l’ingiuria del tempo: la più ingiusta, la più ingenerosa.