Pier Mario Fasanotti
Consigli per gli acquisti

La signora Kiriko

Pensieri proibiti del timido Junji e di una donna matura e maritata secondo Kawabata Yasunari, italiche immaturità in campo amoroso analizzate da Paolo Conti e “Lettere d’amore di uomini e donne straordinari”

In Love – San Valentino è passato, la leziosità, comportamentale e commerciale mettiamola da parte. Anzi, con l’elettronica è svanita in un qualche “cloud”. Conviene riprendere in esame le lettere amorose di “grandi”. Se non altro per conoscerli meglio e trarre dalle loro missive spunti di riflessioni. Una scelta snobistica? Può darsi, ma fa niente. La casa editrice Piano B edizioni ha mandato in libreria questi giorni una bellissima raccolta intrisa di passione: Lettere d’amore di uomini e donne straordinari (191 pagine, 15 euro). Molti autori, scrivendo all’amata, si disvelano, mostrano di sé il lato più fragile e segreto del loro essere. Fëdor Dostoevskij scrive alla sua segretaria poi diventata amatissima moglie: «In tutto questo tempo ho capito che non sono degno di un angelo così bello, dolce e puro come sei tu, che tanto crede in me. Come ho potuto lasciarti?». E più in là: «Anja, mia luce, mio sole, io ti amo. Ecco: soltanto quando ci separiamo si sente e si capisce con quanta forza si ama. Sì, tu e io cominciamo a crescere insieme». Un altro autore russo, Lev Tolstoj, che aveva fama di burbero sia pure con tratti mistici, si lascia andare alla tenerezza con Valeria Arsenev (non sarò lei la moglie, ma la diciottenne Sofja): «Scrivimi, per l’amor di Dio, ogni giorno. Però, se non ne senti il bisogno, non scrivere; anzi o, quando non hai il bisogno di scrivere, scrivi solo le seguenti frasi, tale giorno, tale mese, non mi sento di scriverti, e spediscimela. Per l’amor di Dio, non camuffare le tue lettere, non rileggerle – vedi – io, che potrei mettermi in mostra davanti a te, e tu pensi davvero che io non vorrei atteggiarmi con te?… vedi, io desidero amarti così intensamente che ti insegno come fare per amarmi».

LettereAll’eterna e fedele compagna Jenny (figlia di un barone), vicino alla quale sarà sepolto a Londra, Karl Marx si rivolge così, traendone conforto: «Io ti ho viva davanti a me e ti porto in palmo di mano, e sospiro “Madame, io vi amo”. E davvero vi amo». Quando si dice Foscolo, si pensa ai suoi numerosi furori amorosi. Alla contessa Fagnani Arese scrive all’alba: «Sarei perduto s’io vivessi un solo momento senza di te. Confessalo, mia dolce amica; non ti accorgi che la mia passione va crescendo ognor di più?». Il poeta di Zante è in un momento difficile: «Se tu in queste ventiquattro ora fossi stata dentro il mio cuore, ti saresti certamente impietosita del mio stato. Di affetto in affetto, d’impeto in impeto… io credo di aver abusato per così dire del sentimento della vita». L’enigmatico e tormentato Edgar Allan Poe si rivolge alla sua mancata sposa Sarah Hellen, poetessa: «Amor mio, la mia fede ti riverserà nel petto una quiete sovrannaturale. Avrai tregua dall’affanno, da ogni agitazione. Migliorerai e finalmente starai meglio. Se non fosse così, allora almeno potrei stringere la tua cara mano nella morte, e volentieri -oh con gioia – con gioia – con gioia – scenderei insieme a te nella notte della tomba». Poe “scenderà”, ma disperatamente solo.

FujiDettagli – Per riassumere, sia pure con molta approssimazione, l’anima del Giappone, potremmo accostare queste cinque parole: delicatezza, violenza, attenzione al particolare, pudore, senso della morte. Una certa conferma la troviamo nella letteratura. Per esempio in uno dei grandi scrittori, il premio Nobel Kawabata Yasunari (1899-1972). Noto, anzi notissimo ai lettori italiani con capolavori come Il paese delle nevi e Mille gru, il narratore di Osaka condensa tematiche e stile nella raccolta di racconti che Einaudi pubblica col titolo Prima neve sul Fuji (220 pagine, 18,50). Serpeggia tra queste mirabili pagine l’argomento amoroso, ne è scenario e sottofondo senza mai scaraventare sulla scena la crudità della passione, che cova sempre sotto. Vince il particolare, l’allusione è la strada interpretativa. Nel racconto “Cose che suo marito non faceva”, vediamo il turbamento della signora Kiriko, non giovanissima, accanto al suo più giovane e timido Junji, preoccupato di «scoprire qualche imperfezione nel corpo della signora». Junji afferra con le labbra il lobo dell’orecchio della donna, poi si ritrae impensierito. E anche in colpa perché quel gesto erotico l’aveva sperimentato per la pria volta con una prostituta. Ma pur sa che quel particolare anatomico «lo aveva purificato dalla propria sporcizia». «Fino ad allora, alla sua prima storia d’amore – scrive Kawabata – si era semplicemente crogiolato di poter soddisfare una donna matura e che aveva già un marito». Nello stesso tempo è in ansia e le chiede se ai suoi occhi è solo un “passatempo”. Risposta: «Come posso spiegarti? Vedi, c’è questo profumo di segreto… tu non puoi neanche immaginare quanti freni e quanti pesi abbia una donna della mia età. È questo senso di oppressione che alimenta il segreto. Ma sarebbe stato meglio se le mie fantasie nascoste fossero rimaste tali». Il giovane, a parte l’orecchio, bacia tutte le parti del suo corpo. Kiriko bisbiglia: «Non è necessario che tu faccia tutto questo». Junji intuisce che tutto è finito e comprende «anche di aver fatto cose che suo marito non faceva».

batticuoreRagazzi – Forse qualcuno ricorda Marcello Marchesi, signore di mezza età, ossia cinquantenne, che nel 1963 cantava: «Che bella età/ la mezza età/ tranquillità, serenità/ l’età più bella del cammin di nostra vita…». Si riferiva al “signore maturo” italiano, vestito di scuro, la lobbia, cravatte «senza avventure cromatiche», camicia bianca, bastone o ombrello per appoggiarsi in momenti di difficoltà. Guardiamo il sessantenne di oggi: nell’abbigliamento assomiglia sempre di più ai figli, affolla le palestre. E s’innamora. Ammesso e non concesso che la conosca, darebbe una bella pedata alla frase di Carl Gustav Jung: «Essere vecchi è estremamente impopolare. Non ci si rende conto che il “non poter invecchiare” è cosa da deficienti, come lo è il non poter uscire dall’infanzia». Coglie nel segno l’analisi fatta dal giornalista Paolo Conti nel libro-inchiesta Batticuore (Rizzoli, 188 pagine, 13 euro). Oggi l’ultrasessantenne chiama sé e i propri coetanei “ragazzi”. Siamo tutti ragazzi. E nessuno, di quella fascia di età, accetta di essere omologato all’ottantacinquenne (è nata la quarta età). Poi, visto l’aumento dei divorzi (la durata media di un matrimonio non supera i quindici anni), si sente disponibile a ricominciare con i sentimenti e il sesso. Se una volta un cinquantenne si faceva vedere a braccetto con una trentenne, passava quasi per maniaco. Oggi semmai è invidiato. Lo stesso vale per le donne post-menopausa, che-scusate la brutta espressione – si rimettono in piazza. Vince la percezione di avere tanti, tantissimi anni ancora davanti a sé. È la tentazione, come dice lo psicoanalista americano James Hillman, del puer aeternus italicus. La spinta al nuovo viene favorita dal relativismo sentimentale ed erotico. A ciò si aggiunge, al posto dell’ombrello-bastone di Marchesi, la famosa “pilllola blu”: fine di una paura secolare. E se uno della terza età si accompagna con una/uno trentenne? Il rischio c’è. Lo spiega chiaramente lo psichiatra Massimo Ammanniti: «Esiste ed è molto frequente, ed è quello di cadere in una sorta di “travestitismo”. Cioè la rinuncia alla propria età per imitare quella del nuovo partner». Il grottesco è all’angolo.

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