Lettera da Londra
Chi è Mr. W.H.?
A chi dedicò Shakespeare i suoi sonetti? A un amante? A un principe protettore? A un amico? No. Un saggio molto approfondito svela il mistero: sono un omaggio allo stampatore appena morto
«Mr W.H.» sono probabilmente le iniziali più celebri al mondo, a questo misterioso personaggio William Shakespeare, dedicò la raccolta Sonnets nel 1609 che racchiude versi unici e potenti per la loro eleganza e raffinatezza. A lui, accademici di mezzo mondo hanno consacrato infinite ore di studio, mentre eruditi dell’altro mezzo hanno detto la loro sulla sua identità. Chi era costui? Le speculazioni sono state tante, ma di certezze ce ne sono sempre state poche. Che fosse un giovane amante? William Herbert, Earl of Pembroke, o magari Henry Wriothesley, Earl of Southampton? La sua identità è rimasta un rompicapo, che sembra oggi avere la sua soluzione. Geoffrey Caveney, un ricercatore americano avanza una nuova ipotesi che sbaraglia le precedenti: le misteriose iniziali W.H. hanno per secoli celato l’identità di William Holme, amico di Thomas Thorpe, stampatore dei Sonetti. I due provenivano da prominenti famiglie di Chester, furono apprendisti stampatori a Londra, entrambi profondamente legati al mondo teatrale tanto da pubblicare i lavori di Ben Jonson e George Chapman.
Caveney scarta con cognizione di causa le ipotesi dei suoi predecessori. Secondo lui, non poteva di certo trattarsi dei due Earls perché, essendo nobili, Shakespeare non avrebbe mai osato rivolgersi a loro con il semplice appellativo di Mr, “signore”. Poco probabile anche che le lettere W.H. siano semplicemente il frutto di una svista, un errore di battitura per W(illiam) S(Hakespeare).
Nel 1607 Holme muore. Thomas Thorpe e un altro stampatore, George Eld, entrano così in possesso di una serie di manoscritti appartenuti all’amico, tra cui i sonetti shakespeariani. I due infatti, a soli nove giorni dalla sepoltura di Holme, iscrissero tre nuove opere, The Puritan Widow, Northward Ho e What you will, nello Stationers’ Register, registro attraverso il quale autori ed editori potevano assicurasi la pubblicazione di un nuovo manoscritto. A dire di Caveney, ciò spiegherebbe quel “begetter” che ha generato fiumi di inchiostro: benché molti l’abbiano sempre tradotto come “ispiratore”, secondo il ricercatore americano, l’accezione più corretta è, per l’appunto, procurer, ossia “procuratore”; la dedicatoria è, quindi, un tributo al collega e amico scomparso, il primo ad entrare in possesso dei celeberrimi Sonetti .
Ecco anche spiegato il tono funereo della dedicatoria che sembra ricordare quelle iscrizioni sui momumenti funebri di età romana. Fu Thorpe stesso a scriverla, sperando per Mr Holme «felicità» ed «eternità», ricalcando una formula tradizionale del tempo, ossia l’augurio di gioia in questa vita e nell’altra. Difficile stabilire come Holme stesso fosse entrato in possesso dei Sonnets – afferma Caveney – ma i suoi legami con il mondo teatrale rendano plausibile tale supposizione.
Insomma, molti appassionati di Shakespeare rimarranno probabilmente delusi, niente relazioni omosessuali scabrose, né tantomeno aristocratici ereditieri dalle protezioni potenti, ma un semplice stampatore a cui il trapasso a miglior vita ha tolto la gloria eterna. Aveva torto, allora, ancora Oscar Wilde che nel suo Il ritratto di Mr W.H. mise alla prova la propria creatività, rifacendosi a una diceria del tempo, secondo la quale dietro le lettere misteriose si nascondeva un attore adolescente. Ipotesi tanto intrigante quanto indimostrabile, ma in fondo, lui non aveva pretese di onniscenza, il suo era solo un fantasioso esercizio di stile.
Scoprire l’identità di Mr W.H. o della dark lady non altera certo la grandezza dei versi di Shakespeare. Se il loro autore, Thorpe o chi per loro questo misterioso personaggio l’hanno voluto consegnare alla storia come Mr W.H. dobbiamo invece noi, uomini e donne del futuro, scavare per forza nelle pieghe del tempo? Sì. Forse, no.