L'epica della rivoluzione
Il mito di Pepe
Un bel libro ricostruisce vita e miracoli di Pepe Mujica, il presidente guerrigliero che ha cambiato l'Uruguay davvero. Dopo aver sognato a lungo un mondo migliore
Avete presente quel simpatico nonnetto che ogni tanto, se siete frequentatori di social network, viene raffigurato in ciabatte o vicino ad un antico maggiolino celeste o con un’immancabile cagnetta e che dichiara che vivere con l’equivalente di 800€ al mese è anche troppo visto che i suoi connazionali vivono con meno? Sì, quel signore dalle guance pienotte, i baffetti e un sorriso tenero sul viso, sì proprio lui, José Alberto Mujica Cordano, meglio conosciuto come Pepe Mujica, presidente dell’Uruguay dal 1° marzo 2010 fino al prossimo 1° marzo 2015. E non è che con la stampa l’immagine sia diversa. Passata la novità, la curiosità, il presidente-guerrigliero ha perso appeal politico ed è rimasto, per alcuni, solo l’aspetto quasi macchiettistico. Ma non è della stampa che stiamo parlando.
Pepe Mujica è stato percepito da molti non usi all’informarsi come un personaggio folcloristico degno del Sud America e dei suoi riti, siano essi tribali, politici, religiosi o di altro genere. Pochi, oltre alla generica definizione di presidente-guerrigliero, si sono sentiti in dovere di analizzare a fondo la persona e non il personaggio, il pensiero e non l’immagine mediatica. Si è parlato con leggerezza di “presidente-guerrigliero” senza tenere conto che prima di lui tali sono stati Daniel Ortega in Nicaragua e la stessa Dilma Roussef in Brasile, e senza porre molta attenzione e aprire un dibattito sui nostri conti che prima o poi toccherà comunque fare. Ma vi immaginate in Italia un reduce delle stagioni del terrorismo coprire quella carica? Via, siamo seri, nemmeno allo più sfacciato provocatore verrebbe in mente di proporre un ex brigatista per la più alta carica dello Stato. Invece in Uruguay è accaduto.
José Alberto Mujica Cordano, meglio conosciuto come Pepe Mujica, è stato uno dei massimi esponenti del Movimento di Liberazione Nazionale, dei Tupamaros, che forse troppo presto avevano capito la deriva fascista e violenta dello Stato e iniziarono con troppo anticipo la lotta per scongiurare questa eventualità. Quando ciò accadde, con l’immancabile appoggio degli Stati Uniti d’America, i tupamaros erano già stati sconfitti e nulla e nessuno contrastò la deriva che aveva preso l’intero continente sudamericano, vedi anche Cile e Argentina.
Detta così sembra solo una storia epica fatta di sacrificio personale di molti giovani, ma non è solo questo. Il bel libro di Nadia Angelucci e Gianni Tarquini, Il presidente impossibile Pepe Mujica da guerrigliero a capo di stato, Nova Delphi, 199 pagine, 12,50€, parte da lontano, dalla situazione del paese sudamericano agli inizi del 1900 e da come il piccolo stato stretto tra Brasile e Argentina seppe ricavarsi uno spazio di modernità e di conquiste sociali. E partendo da lontano si dipana poi tutta la storia del piccolo Pepe e della sua maturazione politica e delle conseguenti scelte che lo porteranno alla scelta della lotta armata ma ribadendo «che loro non erano banditi, terroristi o uomini che vedevano nelle armi l’unica soluzione per cambiare il mondo e il loro paese. Erano persone che facevano politica e che ritenevano necessario, in quella tappa storica e per alcune specifiche azioni, usare le armi». Se vi salta all’occhio una sostanziale differenza con i movimenti terroristici degli anni di piombo nostrani non sbagliate. Ma anche in Uruguay furono commessi errori e prese il sopravvento l’ala militarista dei tupamaros e la lotta divenne principalmente una guerriglia. Scelta scellerata che fece perdere consenso al movimento, visto come una sorta di Robin Hood, e che portò all’accelerazione della deriva fascista che si paventava e si sarebbe voluto contrastare.
In uno dei primi discorsi da uomo libero dopo più di un decennio di isolamento e torture – una esperienza veramente inumana come scoprirete leggendo, per fiaccare la resistenza dei capi del movimento e dei loro familiari – Mujica dice «C’è azione nella vanga, c’è azione nel lavoro, c’è azione con l’umiltà, c’è azione nella parola». E la sua vita da uomo libero ne è la dimostrazione, i suoi sandali, la sua vecchia Volkswagen non sono quindi ammennicoli, appendici folcloristiche ma scelte di vita di Mujica e della sua compagna Lucia Topolansky anch’essa guerrigliera passata per interminabili anni di carcere e donna di spessore. Mujica e i compagni «erano sempre più convinti della correttezza di quanto aveva insegnato il maestro José Bergamin a Pepe, parafrasando alcune letture di Karl Marx, e cioè che il pensare e l’agire dovessero progredire insieme e correlati, che impegnarsi per trasformare il mondo e renderlo migliore fosse nella natura umana; entrambi persuasi che esempio e azione avrebbero potuto cambiare il loro paese e la vita dei più poveri».
Esempio e azione, due parole fondamentali che a ben leggere la vita di Pepe Mujica e Lucia Topolansky si ritrovano, e dovremmo tornare di nuovo sui sandali e sul maggiolino e sui campi da coltivare, nell’azione da Presidente della Repubblica. E così, zitto zitto, senza proclami e clamori in Uruguay oggi l’aborto è depenalizzato (in Italia c’è chi vuol tornare indietro nel tempo); le droghe leggere sono legali, è permessa la coltivazione per uso personale di un limitato numero di piante ed esistono le coltivazioni statali per la vendita dando così un duro colpo ai trafficanti ed evitando che si delinqua per approvvigionarsi (in Italia a che punto siamo?); e guarda un po’ che ti fanno ‘sti uruguagi, riconoscono anche i matrimoni gay (no, non vi chiedo a che punto siamo nel nostro paese). E questo per parlare solo delle cose che hanno avuto il clamore delle pagine dei giornali tralasciando tutte le conquiste del governo Tabaré Vazquez di cui Mujica era membro. Eppure l’azione politica, quella del Frente Amplio non esente da critiche e contraddizioni, apparenti o meno, come accade per qualsiasi governo.
Un libro che mi sento di consigliare a molti dei nostri politici. In questi giorni dove molti si identificano con Charlie Hebdo, con il magistrato argentino Nisman, con Alexīs Tsipras, non sarebbe male sentirci anche un po’ Pepe Mujica, con le sue contraddizioni, i suoi errori e la sua azione politica, in attesa di tempi migliori perché Mujica rappresenta «Un tipo che ha sbagliato molto, come altri della sua generazione, testardo, ostinato, e che cerca di essere il più coerente possibile con quello che pensa, tutti i giorni dell’anno, tutti gli anni della vita. E che si sente molto felice, tra le tante ragioni, di contribuire a rappresentare umilmente chi non c’è più e dovrebbe esserci. (…) Chi non coltiva la memoria, non sfida il potere. È questo lo strumento per costruire il futuro che, in ogni caso, è nostro, perché non hanno potuto sconfiggerci».