Every beat of my heart, la poesia
L’età d’oro di Yeats
“Salpando verso Bisanzio” del grande poeta irlandese è uno dei vertici di sempre, magico, ermetico ma lampante nello sfavillio dei versi. L'Irlanda, la vecchiaia e l'ardito anelito al superamento della morte...
Molti conosceranno l’importanza dell’Irlanda per la poesia di Yeats, nato a Dublino nel 1865, morto a Roquebrune-Cap-Martin nel 1939, uno dei massimi poeti del Novecento. L’Irlanda non è solo la sua terra, ma il mitico luogo dell’antica sapienza druidica, dei boschi incantati, del culto della cerva, della magia. Gli irlandesi costituiscono l’anima immaginativa, mitopoietica del mondo anglosassone, come attesta il loro straordinario patrimonio di fiabe, che Yeats raccolse e riscrisse, analogamente a quanto avevano fatto i fratelli Grimm in Germania. L’Irlanda non è quindi una patria nostalgicamente amata, ma il territorio mitico su cui la poesia di Yeats s’innesta e da cui il suo sguardo si allarga per esplorare la cultura magica del mondo, dall’Oriente all’antica tradizione mediterranea magico caldaica. E permane, l’Irlanda, come realtà impulsiva, giovanile, erotica, passionale, una sorta di terra della vitalità. In questa poesia la vediamo come paese che proprio per tale vitalità pare non più adatto al poeta che sta invecchiando.
Questa poesia, uno dei vertici di sempre, ha un senso magico, ermetico. Lampante, però, nello sfavillio dei versi. Protagonista è l’uomo nel momento topico in cui si accorge che i suoi sensi non reggono il tumulto dell’ebbrezza giovanile (il mondo degli animali felici nei torrenti e nei pascoli, l’Irlanda), non possono soddisfare la sua aspirazione a una vita che sia nel contempo pienamente umana e ulteriore. Dove cioè vecchiaia e eternità coincidano. Non è solo aspirazione alla saggezza, a un’orientale distanza dai sensi, ma un criptico, ardito e geniale anelito al superamento della morte. La vecchiaia sia l’approssimazione all’infinito, a una dimensione oltresensuale, che la tramuti in eternità. Il corpo perda la memoria del pulsare del sangue, il vigore dei muscoli, la sua fibra si faccia d’oro, sia lamina aurea modellata da un raffinato fabbro bizantino. Il mito dell’oro, il sogno di tornare a Oriente (di cui Bisanzio notoriamente è la seconda e ultima porta, dopo Venezia), coincide con quello di rinascere là dove la luce sorge. L’oro intravisto accostando le rive di Bisanzio svelava l’avvicinarsi di quel sogno, di quella terra che ci avrebbe fatto eterni.
Salpando verso Bisanzio
I
Questo non è un paese per i vecchi. I giovani
abbracciati, gli uccelli sugli alberi,
generazioni morenti che cantano,
cascate di salmoni e mari affollati di sgombri,
pesce, carne, volatili lodano per tutta l’estate
qualunque cosa si generi, per nascita o morte.
Presi in questa musica dei sensi tutti trascurano
monumenti di pensieri senza tempo.
II
Un vecchio non è che una misera cosa,
un abito stracciato su una canna,
se l’anima non batte le mani e canta, e canta più alto
per ogni strappo nel suo vestito mortale,
e non c’è scuola di canto che non sia indagare
i monumenti della nostra gloria:
così io feci vela sul mare e venni
alla sacra città di Bisanzio.
III
Voi, saggi, fissi nel sacro fuoco di Dio,
come incastonati in un mosaico d’oro,
uscite roteando dal sacro fuoco,
insegnate alla mia anima il canto.
Consumate il mio cuore, che malato di voglia,
e avvinto a un animale morituro
non conosce se stesso, e accoglietemi
nell’artificio dell’eternità.
IV
Una volta fuori dalla natura io non potrò riassumere
da cose naturali la mia forma corporea,
ma una forma d’oro battuto e foglia d’oro
che sbalzano i fabbri greci, a tenere
sveglio un sovrano sonnolento,
o immobile su un ramo d’oro a cantare
ai signori e alle dame di Bisanzio
ciò che è passato, o sta passando, o verrà.
W. B. Yeats
(Traduzione di Roberto Mussapi)