In scena nello studio dello scrittore
Pirandello in guerra
Riccardo Caporossi, con lo spettacolo "Il figlio prigioniero" riflette sul conflitto tra interventismo ideale e concretezza della guerra. Attraverso i fantasmi dell'autore dei “Sei personaggi”
Lo studio di Luigi Pirandello, a Roma, lungo la nobile via Nomentana, è dominato da una grande vetrata che impone una luce strana. Oltre i vetri c’è uno di quei giardini misteriosi che spesso, nel cuore della nuova Roma altoborghese edificata durante il fascismo, sorprendono il visitatore che si trovi a scrutare da queste finestre: alberi ad alto fusto tagliuzzano il sole e ingigantiscono le ombre. Si intuisce qualcosa di più dell’opera di Pirandello, davanti a questa vetrata.
Proprio qui, infatti, l’Istituto di Studi Pirandelliani – forte della sua nuova presidenza affidata al critico Paolo Petroni – ha lanciato la sfida alle istituzioni statali e capitoline per affermare la propria esistenza; la propria rilevanza. Una serie di eventi (già annunciati a suo tempo da Succedeoggi) hanno riscosso un grande successo e si avviano a diventare un punto di svolta dell’Istituto stesso il quale vuole proporsi di qui in avanti non solo come luogo di studio ma anche come luogo di eventi e riflessioni su Pirandello e tutta la cultura (non solo teatrale) dell’Italia del Novecento: un vero e proprio centro di cultura al servizio della città.
Prossimo passo sarà – se, come è auspicabile arriverà il sostegno delle istituzioni – una serie di iniziative tendenti a riflettere sul complesso tema “teatro e guerra” in riferimento soprattutto a come la Grande guerra, di cui in questi anni si celebra il centenario, cambiò il costume di questo nostro paese, teatro compreso.
A mo’ di introduzione al prossimo ciclo di eventi, la manifestazione All’Ombra di Pirandello ha dato un assaggio di tutto ciò con un piccolo, prezioso spettacolo ordito da Riccardo Caporossi e intitolato Il figlio prigioniero: sarebbe dire una rappresentazione basata sulla corrispondenza tra Luigi Pirandello e, appunto, il figlio Stefano (prigioniero di guerra, nel 1916) ma imbastito con lunghe, preziose citazioni da alcune novelle e dal teatro del grande scrittore. Al cuore della rappresentazione, cui lo stesso Caporossi dà vita insieme con gli attori Nadia Brustolon e Vincenzo Preziosa, c’è il rovello di un intellettuale il cui interventismo ideale si scontra, a un dato punto, con la concretezza della guerra sotto forma di fuoco, sangue e prigionia. Sennonché dalle Novelle Riccardo Caporossi ha tratto i segni di un interventismo irruento, a sostegno dell’onor di patria e dell’incompiutezza del sogno garibaldino, mentre con la corrispondenza con il figlio ha esposto i tremori, le normali ansie di un genitore che vede confliggere gli ideali con la realtà.
E, così, quasi a sottolineare questa sottomissione degli ideali alle cose concrete – questa “guerra persa” – nella corrispondenza Riccardo Caporossi trova anche (e mette in risalto) i prodromi di due opere capitali nella poetica di Pirandello: Il giuoco delle parti e i Sei personaggi in cerca d’autore, nelle cui pagine tale conflitto tra aspirazione e realtà esplode. Insomma, questo evento-spettacolo è un po’ come un piccolo saggio su Pirandello condotto attraverso la rappresentazione diretta delle idee. Il fatto che tutto sia avvenuto nello studio dello scrittore dà improvvisa tangibilità alla metafora che egli stesso volle quando, con un artificio scenografico, fece uscire in scena i sei Personaggi direttamente dalla propria testa. E così domenica scorsa, lì nello studio, mentre la luce del tramonto lasciava spazio alle ombre della sera, s’è avuta anche la percezione di uno strano mondo di fantasmi: quello che Pirandello ha riversato nelle sue opere.