Lidia Lombardi
Al Teatro Argentina

Sulle tracce di Cesare

Con una lezione/spettacolo sui luoghi di Giulio Cesare e dei congiurati, il Teatro di Roma ha aperto una serie di iniziative dedicate alla spettacolarizzazione dell'archeologia

C’è stato un momento nella storia di Roma che ha segnato il punto più basso e insieme la risalita della china fino a quello più fulgido. Il baratro è stato l’uccisione di Cesare. Poi il cammino spedito – e insperato – verso l’età dell’oro e della pax di Ottaviano Augusto. Di questo snodo della civiltà occidentale si è parlato nel cuore della Capitale, caput mundi due millenni fa, oggi schiacciata nel mondo di mezzo ma ancora di commovente bellezza. Se ne è parlato nel primo appuntamento del ciclo Luce sull’archeologia che il Teatro di Roma, il teatro pubblico della città di Cesare e Augusto, terrà fino ad aprile nella dorata cornice settecentesca dell’Argentina.

Un palcoscenico denso di memorie e di significati. Sorto sopra un’altra platea, quella del teatro di Pompeo. E a ridosso di un’area sacra, con i tre templi cominciati a scavare negli anni Venti, e di un’area squisitamente politica, la Curia di Pompeo. Religione, Spettacolo, Stato: tutto raggrumato di fronte il foyer dello Stabile di Roma, nel “buco” ammobiliato di pietre antiche, risalenti fino al IV secolo avanti Cristo, poi affiancate nel Medioevo da una chiesa, intitolata – genius loci – a San Nicola dei Cesarini, una delle blasonate famiglie capitoline. Insomma, una summa delle nostre radici, della romanità che ci ha lasciato – e ha lasciato al mondo, dall’Occidente all’Oriente – letteratura, leggi, storiografia, leggende, riti, drammaturgia, sculture, templi, anfiteatri, filosofia, scienza, ingegneria, urbanistica.

A gremire il Teatro Argentina, in una domenica mattina grigia di pioggia, sono accorse più di mille persone. Un afflusso incredibile, ancorché incoraggiato dal libero ingresso. Una fila paziente e vigile che si snodava in parallelo agli scavi di Torre Argentina, dove alle Idi di marzo del 44 avanti Cristo, Cesare, il condottiero arrivato fino alla Britannia, il divus amato dal popolo, fu trafitto da 23 coltellate, in una congiura “scellerata” – scelus in latino vuol dire delitto e insieme sventura – guidata dal figlio adottivo Bruto. Mille persone, venute nel cuore di Roma, a sentir parlare del cuore di Roma. Ad essere accolte nella cornice delle vestigia antiche e di quelle barocche. A dimostrare di voler conoscere se stesse, le se stesse del passato, perché, dicevano gli antichi romani, nel passato c’è il futuro e l’esempio del passato segna la via del domani. Un’affermazione identitaria che è stata anche la nostra risposta all’abisso indicato dagli islamisti autori delle stragi parigine. Uno scatto di vitalità nei confronti di quanti attentano alla vitalità dell’Occidente, alla sua memoria e alla sua progettualità. «Siamo qui in contemporanea con il corteo di Parigi. Consapevoli che là dove c’è cultura non c’è barbarie e il teatro è un’agorà civile, tanto più questo teatro, che è uno spazio pubblico, che è di tutti i romani», ha accolto dal palco gli spettatori il direttore artistico del Teatro di Roma, Antonio Calbi. Indossava una maglietta con su scritto «Je suis Charlie», la indossavano le maschere e tutti i suoi collaboratori. E con lui il presidente dello Stabile, Marino Sinibaldi e l’assessore alla Cultura Giovanna Marinelli hanno promesso un’escalation di offerta culturale «per comprendere meglio chi siamo».

L’archeologia dunque, per cominciare. Con i sette appuntamenti domenicali – ore 11, fino al 12 aprile – articolati su un medesimo format: ogni argomento ha due relatori, un archeologo e uno storico, e un attore che offre al pubblico pagine letterarie legate al tema trattato. Ieri attorno alle “Idi di marzo” hanno parlato Marina Mattei, dei Musei Capitolini, direttore scientifico degli scavi dell’area sacra di Torre Argentina, e Filippo Coarelli, professore di storia romana. Ecco, nei loro racconti, la storia degli scavi, cominciati negli anni Venti e capaci di mettere in luce tre templi, svelando gli dei ai quali erano dedicati: prima Feronia, divinità sabina, uno dei ceppi della popolazione romana; poi Fortuna, omaggiata da Quinto Lutazio Catulo di ritorno dalla vittoria sui Cimbri. Ecco le evoluzioni dei potenti, le alterne fortune che arridono a Silla e a Pompeo, tanto prestigioso quest’ultimo da costruirsi addirittura una curia, sede assembleare dei senatori, accanto alla propria dimora. Ed ecco Cesare, annientato proprio sotto la statua di Pompeo, dove ora svetta un solitario pino. Infine Augusto, che chiude con un muro il luogo del cesaricidio, troppo empio per la sua pia caput mundi. La concitazione delle Idi di marzo, con un popolo smarrito di fronte ai congiurati, e la ambiguità del potere tornano icasticamente nelle parole di Shakespeare, ed è la tragedia “Giulio Cesare”. Maddalena Crippa le ha lette dando voce vibrante prima agli esercizi retorici di Bruto, poi alla replica dolente di Marco Antonio. Il silenzio concentrato del pubblico era tutt’uno con l’emozione, sfociata poi in un lungo applauso di condivisione.

Domenica 25 gennaio, appuntamento con Augusto, i luoghi del potere. Sul palco lo storico del mondo antico Luciano Canfora, il giornalista Corrado Augias, la sovrintendente ai Beni Archeologici di Roma Maria Rosaria Barbera. Toni Servillo leggerà brani dello stesso Augusto, degli Annales di Tacito e dell’Eneide di Virgilio.

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