In cerca della nuova Persia
Teheran senza velo
L’Iran di Rohani ostenta “normalità”. Ma dietro le apparenze si nascondono molti contrasti. Come la grande collezione di arte del Novecento segregata dal regime nelle cantine del Museo della capitale
Il fumo sale verso l’alto, l’odore dell’oppio pervade ogni spazio. Majid ha uno sguardo penetrante, due occhi azzurri e un naso aquilino tipico degli iraniani, appartiene a una tribù dalla cultura molto antica. Fa estremamente caldo, solo l’acqua dei canali d’irrigazione permette di rinfrescarsi un po’. Posando la pipa per l’oppio, sbuffa dicendo che, da quando il governo ha costruito la nuova diga, l’acqua del fiume è diventata salata, causando moltissimi problemi per l’irrigazione. Capisco, sostiene, che sia positivo per il paese produrre energia elettrica da fonti rinnovabili, ma hanno sbagliato a costruire la diga utilizzando pietre locali che, a contatto con l’acqua, l’hanno resa salata. Speriamo, aggiunge, che Rohani sia meglio degli altri presidenti che non hanno fatto nulla per risolvere il problema. Majid tace e prende altre due o tre boccate d’oppio. L’unica cosa in cui concordavo con l’ex presidente Ahmadinejad, aggiunge, era il diritto al nucleare. Non che sostenessi il governo, precisa, ma solo perché non si può pretendere che l’Iran rimanga indietro con le tecnologie moderne. Leila prende la pipa e dopo un paio di boccate lo interrompe dicendo che non è il nucleare di per sé che teme, ma l’uso che il governo iraniano ne avrebbe fatto. I due discutono animatamente tra una pipata e l’altra. Sopra di loro la luna piena illumina le montagne non lontane dal confine con l’Iraq.
Le moderne torri del vento in cemento armato testimoniano il tentativo di trovare un equilibrio tra l’architettura moderna e quella tradizionale persiana. L’edificio fatto costruire negli anni settanta dall’imperatrice Farah Diba, fondendo le tipiche torri di areazioni delle abitazioni del deserto con l’architettura in cemento armato occidentale, ospita il museo d’Arte Contemporanea di Teheran. Nei suoi corridoi giovani iraniani piuttosto alla moda o dall’aspetto artistoide ammirano opere persiane di gran bellezza che vanno dagli anni Cinquanta del Novecento a oggi. Gli artisti iraniani sono molto quotati sulla scena internazionale e il regime, ammesso che non parlino male della sua politica, ha per loro una certa tolleranza. Sotto i passi dei ragazzi si nasconde però un segreto: tele di Kandinsky, Pollock, Monet, Pissarro, Van Gogh, Picasso, Giacometti, Bacon, Ernst Magritte, Warhol, Lichtenstein, Mirò, Braque, Munch, Degas, Morandi, Balla, Duchamp, Marini e molti altri giacciono in un caveau da più di trent’anni. Sotto quei pavimenti è celata la più grande collezione di arte contemporanea fuori dagli Stati Uniti e dall’Europa. Voluta dall’imperatrice Farah Diba e considerata immorale da Khomeyni, non fu per fortuna distrutta, ma nascosta nei sotterranei. Pochissimi negli ultimi decenni hanno avuto la fortuna di vederla. Occasionalmente, se al potere arrivano politici più progressisti, capita che si facciano esposizioni temporanee.
Un giorno negli anni Ottanta, racconta Mehry, entrai con mia madre in un negozio di biancheria intima. Fu una sorpresa quando ci trovammo di fronte una bella ragazza senza velo e con la testa completamente rasata piena di piercing. Sembrava appena uscita da un locale della scena underground berlinese. Nel negozio c’erano solamente donne, dovunque oltre alla normale biancheria intima trionfava il latex. Scoppiammo a ridere. La proprietaria ci spiegò che non vendeva solamente quello che era sotto i nostri occhi, ma anche tutto il necessario per il bondage e altre pratiche. Le donne che entravano a fare acquisti, non erano certo tra le più progressiste, anzi, racconta con un sorriso, erano quelle che noi chiamiamo le Shadori, ovvero le più velate di tutte. Quella sera pensammo che qualche negoziante del bazar si sarebbe divertito moltissimo mentre veniva frustato dalla sua dominatrice. Nulla di strano spiegò Mehry, tra moglie e marito nell’Islam il sesso è anche per piacere.
La nuova telecabina sale sulle pendici della montagna, dietro di noi le cime innevate svettano sfiorando i seimila metri. Sul vetro trionfa la scritta “Lazio Merda”. Impossibile non notarlo, un vicino spiega che l’impianto di risalita è in realtà di seconda mano, è stato appena smontato e impacchettato dall’Italia. Poco più su la cabina di fronte porta la scritta “Kronplatz Gipfelbahn”, viene da Plan de Corones in Sud Tirolo, e porta ancor il nome della pista su cui risaliva. Rendersi conto di aver preso lo stesso impianto in due continenti diversi e nelle due stazioni sciistiche in cui si scia da anni non ha prezzo.
Tutta Teheran parla dell’arresto dei ragazzi che preparavano una grande festa. Lo hanno fatto preventivamente, tutti pensano che avessero il telefono sotto controllo. La gente spera che dopo che qualche giorno i ragazzi saranno liberati. Pare che il problema fosse la presenza di uno straniero legato al mondo diplomatico. Il regime si innervosisce quando le persone frequentano stranieri che si occupano di politica.
Anni fa, racconta Ali, vidi un anziana signora che aveva più di ottanta anni che camminava per strada tranquillamente senza velo fregandosene della legge. Nessuno del quartiere diceva nulla. Avvicinandomi, dice, mi resi conto che era un’amica di famiglia, mi fermai e le chiesi spiegazioni. Lei con calma mi disse: «Che mi frega, sono due anni che l’ho tolto, sono anziana e voglio stare tranquilla. Nessuno ha avuto il coraggio di dirmi nulla». Morì dopo nove mesi a seguito di un lieve malore, ma quegli ultimi anni li visse secondo le sue regole!