Al bar con Prampolini e Depero
Polibibite o cocktail?
Tra le mille invenzioni dei futuristi, ci fu anche quella delle Polibibite: miscele alcoliche pensate per l'happy hour letterario degli anni Venti, appena riscoperte (in un bel libro) da Fulvio Piccinino
Cosa bevevano e come bevevano i protagonisti di quella straordinaria stagione artistico-culturale che dall’Italia, agli albori del XX secolo, si espanse come un bagliore elettrizzante in Francia, in Russia, negli Stati Uniti, e perfino in Asia, interessando e influenzando le più disparate forme delle espressioni culturali: la pittura, la scultura, la poesia, il teatro, la musica, la danza, l’architettura, la fotografia, il cinema e – siamo in tema – la gastronomia, che risponde al nome di Futurismo? È plausibile ritenere, ce lo dice la storia, ce lo racconta la letteratura, ce lo mostrano i documenti fotografici e cinematografici dell’epoca, che molte delle idee che hanno ispirato le invenzioni, che hanno animato i dibattiti, i confronti e gli scontri, le teorie politiche e filosofiche, nacquero attorno a un bicchiere in casa, in uno studio o in uno dei ritrovi dove il gruppo amava darsi appuntamento. Un cocktail come andrebbe oggi di moda? Mai parola fu più blasfema. È la “Polibibita” il motore conviviale del Futurismo, ideata, studiata, diffusa e consumata secondo canoni di assoluto e certosino rigore.
Fulvio Piccinino, di professione barman e insegnante con il chiodo fisso del Futurismo, ha pensato bene di mettersi alla ricerca di documenti, testimonianze, scritti, disegni, fotografie; di rovistare negli archivi di mezza Italia per ricreare in un certo senso l’atmosfera delle riunioni in cui attorno a un bicchiere si discettava di guerra purificatrice, di progresso, di nuove scoperte tecnologiche, come il telegrafo senza fili, la radio, gli aeroplani e le prime cineprese, delle catene di montaggio che abbattevano i tempi di produzione, delle automobili che riducevano le distanze, della luce artificiale che dava nuovo senso alle città, insomma del vento nuovo che abbracciava i popoli all’insegna della velocità di comunicazione e della scoperta di nuovi spazi di indagine.
Un agile volumetto La miscelazione futurista, polibibite, la risposta autarchica italiana ai cocktail degli anni Trenta, pubblicato nei “Cocchibooks” ci propone oggi un florilegio di 18 incredibili ricette concepite e realizzate tra il 1925 e il 1933 da diversi esponenti del Futurismo, pittori, poeti, artisti che si cimentarono nell’arte della miscelazione. E che documenta, come scrive Roberto Bava nella introduzione che «il patrimonio di tradizioni, formule e prodotti, divisi in famiglie come gli aperitivi, i vermouth, i bitter, gli amari, i liquori dolci, i distillati e gli stessi vini e spumanti danno nel loro insieme un ruolo di assoluta primogenitura all’Italia nel mondo. Il periodo degli anni Venti e del Futurismo ne racconta forse il momento più affascinante e divertente». Un patrimonio di Made in Italy ante litteram, di nomi di aziende italiane che hanno fatto scuola e che ancora oggi – anche se in alcuni casi riportano a tempi remoti e sono entrati nella nostra memoria collettiva – mantengono alto il vessillo del genio italico.
Come il Barolo Chinato, l’Aperitivo americano e alcuni vermouth della Giulio Cocchi azienda fondata ad Asti nel 1891 oggi di proprietà della famiglia Bava; come il Mistrà e gli sciroppi della distilleria Pallini fondata nel 1875 ad Antrodoco e poi trasferita a Roma negli anni Venti che oggi esporta i suoi prodotti in oltre 35 paesi; come la Luxardo fondata nel 1821 famosa per il suo Maraschino; come la Fabbri fondata nel 1905 con i suoi prodotti destinati al largo consumo dall’Amarena agli sciroppi, alla frutta al liquore, un vero colosso con 11 sedi in tutto il mondo, presente in più di 100 nazioni; come la Strega Alberti nata nel 1860 quando il fondatore, Giuseppe Alberti, insieme al padre, speziale, mise a punto la ricetta di un liquore a base di erbe scegliendo un nome che lo avrebbe legato per sempre al mito delle streghe di Benevento che preparavano un filtro d’amore per unire le coppie che lo bevevano. Per proseguire con la distilleria Nardini che da oltre 230 anni, produce la sua famosa grappa; con la Tassoni, che ha legato il suo nome alla celebrata Cedrata e che negli anni ’70 rilevò il Tamarindo d’erba super celebrato dissetante creato dall’Ing. Carlo Erba nel 1898; per finire con Campari, l’aperitivo per eccellenza la cui ricetta originale fu messa a punto a Novara nel 1860 ed è rimasta immutata nel tempo.
Onore al merito, dunque, al libro di Piccinino che riaccende i riflettori su un mondo perduto. Perché va detto che se dopo la “damnatio memoriae”, cui il Futurismo fu condannato per le sue familiarità ideologiche con il fascismo, si è assistito a un progressivo interesse di studi e a una rivalutazione della grande valenza dei suoi contenuti ideologici e culturali al punto che perfino la gastronomia futurista è stata oggetto di pubblicazioni e saggi, il mondo delle Polibibite è rimasto invece relegato in un angolo ritenuto argomento di scarso o nullo interesse.
Con il suo libro Piccinino (nella foto qui accanto con un abito in stile futurista) apre dunque un nuovo interessante spaccato sulla vita dei protagonisti di quella stagione culturale e le Polibibite appaiono tutt’altro che argomento secondario per una valutazione complessiva di quel fenomeno e dei suoi protagonisti come dimostra l’attenzione quasi ossessiva che quel gruppo riservò alla ideazione, alla esecuzione e alla presentazione di quelle bevande. E sì perché Marinetti e soci, quando discettavano dei massimi sistemi italici e internazionali, quando sostenevano la necessità di «distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d’ogni specie», di cantare «le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa», di «glorificare la guerra — sola igiene del mondo — il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore del libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna», o di «uccidere il chiaro di luna» in uno dei primi manifesti del futurismo, ebbene lo avrà fatto plausibilmente bevendo una Giostra del colle ideata da Enrico Prampolini, il pittore e scultore che colloquiava con Pablo Picasso, Piet Mondrian, Vasilij Kandinskij, Jean Cocteau. Una ricetta espressa in frazioni come accadeva nei libri del passato in un bicchiere che non doveva essere di piccole dimensioni e addirittura trascritta da Marinetti e Luigi Colombo, in arte Fillia, sostenitore di una poesia e una pittura all’insegna di una «sensibilità meccanica» che deve proseguire «la ricostruzione futurista dell’universo»: due quarti di Barbera, un quarto di Campari un quarto di cedrata, un quadrato di formaggio un quadrato di cioccolato amaro temperato.
La giostra d’alcol fu addirittura presentata ufficialmente alla grande esposizione coloniale internazionale di Parigi del 1931 con il nome di “Carrousel d’Alcool” all’interno del ristorante Italia arredato da quadri e cartelloni disegnati dallo stesso Prampolini e fu bevuta sotto una spettrale luce verde dopo un colpo di gong durante una serata che vide la partecipazione di Josephine Baker, la venere nera che folgorò Marinetti per la bellezza delle sue gambe. «Se il formaggio rimane una bizzarria unica al mondo – osserva Fulvio Piccinino – il cioccolato mangiato alla fine della bevuta del liquido è assolutamente delizioso. La moda attuale di abbinare vini rossi passiti, fortificati, chinati o aromatizzati con il cioccolato amaro aveva avuto ancora una volta dei futuristi i primi precursori».
Un nome, che è tutto un programma, è quello dato a un’altra delle polibibite: Avanvera firmata da Cinzio Barosi, torinese amante dei vermouth. Una mistura di 3 cl di Vermouth Cocchi, 3 cl di brandy italiano e 1 cl di Strega che anticipa di molti decenni il concetto di abbinamento cibo-cocktail. Barosi propone «una serie di miscele, alcune bislacche, che avevano la funzione – sottolinea ancora Piccinino – di stupire e provocare il consumatore». E non era forse questa d’altronde la missione che si erano proposti i futuristi quando nel Manifesto del Teatro della Sorpresa (Milano 11 ottobre del 1921) la poesia il teatro e il cinema dovevano avere come unico scopo di «provocare nel pubblico parole ed atti assolutamente imprevedibili perché ogni sorpresa partorisca nuove sorprese in platea, nei palchi e nelle città la sera stessa, il giorno dopo all’infinito»? Per questo le polibibite dovevano rispondere anche a principi estetici. Le decorazioni e gli abbinamenti dovevano creare sorpresa e stupore. Ecco come Piccinino interpreta i dettami di Barosi: «Per la presentazione si deve utilizzare un piattello di alluminio lucido. Al centro si colloca il bicchiere fermandolo con un frangino, poi si dispongono un mucchietto di mandorle, dei chicchi di caffè tostato e delle fette di banana. Queste decorazioni rappresentavano le colonie. Poi si posizionano delle fette di pomodoro, delle fette di parmigiano e dei filetti di acciughe, simboli della più schietta italianità».
Insomma stravolgere è la parola d’ordine creando emozioni. E certamente queste non mancarono nella prima serata futurista a Trieste nel 1910 quando venne ribaltato l’ordine delle portate. Si partì dal caffè al quale seguì il dolce da un nome che coniugava originalità e sconcerto, Marmellata dei gloriosi defunti. Niente in confronto a quello del secondo Spezzatino di mummia con fegatini di professori per non parlare dell’antipasto che era tutto un programma Demolizioni. E a chiusura del pranzo? Non poteva certo mancare il Vermouth, sinonimo di aperitivo e di convivialità al punto che il suo uso si diffuse nella cultura corrente come occasione di incontri, di manifestazioni e di appuntamenti come attestano i tanti cartoncini di invito che recavano inossidatamente la dicitura «La Signoria Vostra è invitata al vermouth delle ore…».
Il libro propone anche un interessante corredo iconografico con fotografie d’epoca che riprendono momenti conviviali dei futuristi in locali storici. Uno di questi, oltre al Savini di Milano dove il Movimento vide praticamente luce, e al Giubbe Rosse di Firenze è la bottega del Diavolo a Roma dove il vino si beve esclusivamente utilizzando tazze di ceramica, spesso realizzate dagli stessi artisti. Ma vengono riportati anche manifesti, cartelloni pubblicitari, e soprattutto – e la testimonianza è interessante per comprendere quanta attenzione venisse riservata alle polibibite – alcuni disegni con le indicazioni per la loro preparazione e presentazione. In uno di questi, Fortunato Depero disegna meticolosamente per l’aperitivo Coppia di brividi del 1933 i livelli dei vari componenti, vermouth e cognac, il tipo di bicchiere che deve essere usato, come deve essere zuccherato Il bordo del bicchiere, a che altezza deve essere posta una fetta d’arancia, dove le coste di pera, dove i chicchi d’uva. E alla base disegna anche come vanno collocate fette sottili di patate fritte.
Insomma questo libro si può leggere come un viaggio a ritroso nel tempo ma se ne possono trarre anche precise indicazioni per riproporre in un divertente gioco gastronomico i sapori futuristi d’antan e valutarne la loro attualità.
«Il rilancio della miscelazione futurista – è l’auspicio di Roberto Bava – della quale questa opera si fa strumento, riporterà in auge cocktail rimasti per anni non proposti e potrà forse essere occasione di ritorno in produzione di alcuni liquori desueti e di ingredienti caduti nell’oblio».