Twister: libri da recuperare
Pessimismo europeo
Flashpoints, il nuovo libro di George Friedman riflette sull'incompiutezza dell'Europa. E su quanto questo pesi sul nostro conflittuale presente. Un saggio che gli editori italiani farebbero bene a tradurre
Flashpoints. The Emerging Crisis in Europe di George Friedman uscirà il 27 gennaio in inglese. Se fosse tradotto da un editore italiano, il titolo potrebbe suonare Aree d’attrito: l’emergere della crisi in Europa. Anche questa volta, la rubrica non è una recensione, ma un invito a leggere e magari a tradurre un libro che aiuta a capire la situazione di oggi.
Friedman è fondatore della società Stratfor, che si occupa di global intelligence. Ha in dote la chiarezza e una sufficientemente ampia visione per non cadere in visioni moralistiche o emotive dei recenti accadimenti. Fa riferimento alle antiche rivalità tra le due religioni, cristiana e islamica, rivalità che ruotano da sempre – a suo dire – intorno al bacino del Mediterraneo. Ricorre ad approssimazioni, non foss’altro perché, in materia di religione, statistiche e tentativi di analisi causale sono destinati a scarso esito.
Friedman esordisce con la sua vicenda di europeo in fuga dall’Europa nazista, anzi dall’Ungheria dominata dal nazismo, che, finita la guerra, sarebbe finita sotto il tallone sovietico. Quella della sua famiglia, che attraversa le tragedie della prima, della seconda guerra mondiale, dell’olocausto e del comunismo, è, nelle sue parole, «la classica storia di rifugiati che si costruiscono una nuova vita in America».
Il libro si svolge su un ordito che sorregge la trama della storia contingente; ordito che trova alimento – secondo Friedman- nelle questioni di fondo della geopolitica. Queste tensioni e pulsioni di lunga durata sopravanzano costantemente, alla Braudel per intenderci, con la propria complessità ed enormità, le forze e le capacità delle classi dirigenti: «Non possiamo illuderci che i conflitti nati dalla geografia possano essere aboliti». In particolare la questione tedesca, nazione che emerge dall’aggregazione dell’800 con una ricchezza che sconvolge gli equilibri europei sia continentali sia con la Gran Bretagna. Una nazione forte che tuttavia vive nell’ossessione del rischio esiziale della morsa costituita dalla Francia e dalla Russia alleate. Rischio che per due volte viene consapevolmente sfidato, sfida che per due volte annienta lo sfidante.
Ma non sempre le tracce lunghe della storia guidano in modo lucido la lettura degli eventi correnti o consentono previsioni attendibili. Lo stesso Friedman ha lasciato una zampa in questa trappola, quando ha previsto la guerra tra Stati Uniti e Giappone negli anni Novanta dello scorso secolo (The Coming War With Japan, con Meredith LeBard, St Martins Press. 1991).
Però in Flashpoints aleggia un pessimismo che stimola l’attenzione.
Si nutre, questo pessimismo, di quelle orditure antiche del tessuto europeo, su cui la storia ricama le sue tragedie e su cui si sfilacciano i tentativi di risolvere i conflitti: Polonia-Ucraina-Russia, Balcani, Reno, Cipro, per ricordarne alcuni. Si nutre anche della inadeguatezza di un’Europa, quella di oggi, frutto di un disegno assai nobile volto a mantenere la pace. Frutto, che noi – a differenza di Friedman – speriamo ancora vivo, di un disegno che fino ad oggi ha tenuto, e per questo solo fatto, di aver attraversato prove non semplici allargando i suoi orizzonti in modo straordinario, per questo solo fatto è un disegno imprescindibile: La derisione di questo progetto si leva dai volti grevi dell’ignoranza popolare e si nutre nelle smorfie della miopia politica.
Concludiamo l’invito alla lettura con un passaggio del libro adatto ai tempi: «Il senso della nazione in Europa è radicato nella storia comune nella lingua nell’appartenenza etnica e anche, sì, nella cristianità e nella sua eredità, la secolarizzazione. L’Europa non ha altro concetto di nazione al di fuori di queste cose, nessuna delle quali è condivisa dai musulmani. E’ difficile immaginare un altro esito, al di fuori di un altro ciclo di ghettizzazioni e deportazioni. Ciò fa orrore alla sensibilità europea di oggi, ma non è estraneo alla storia europea. Incapace di distinguere musulmani radicali dagli altri musulmani, l’Europa si muoverà sempre più e in modo non intenzionale in questa direzione».