La Domenica: itinerari per un giorno di festa
Nel nome di Manuzio
Eterna riconoscenza per l'umanista stampatore che inventò il formato in ottavo (quasi tascabile), sistemò la punteggiatura, volle le pagine numerate e i cataloghi. Recarsi a Bassiano, suo luogo natale che lo celebra nel cinquecentenario della morte, è quasi un dovere...
Alla vecchia vestita di nero che siede con altre due al sole, sulla pietra di un muretto nella piccola piazza 25 luglio, chiediamo perché due diversi cartelli indicano direzioni opposte per raggiungere la parrocchiale di Bassiano, tra i comuni più alti della provincia di Latina. «Quello non è giusto – dice del segnale più vicino a lei – dovete passare sotto quella porta e salire». «Possibile sia sbagliato? E non protestate al Comune?», la incalziamo. «E che m’importa? Tanto io la strada per arrivare a Sant’Erasmo la so», fa spallucce. La verità è che il paese medievale all’ombra del monte Semprevisa, il più elevato dei Lepini, si snoda a spirale, con vicoli e scale strette. E dunque le direzioni opposte portano entrambe a Sant’Erasmo, il martire siriano che protegge Bassiano, onorato in una costruzione rifatta nell’Ottocento, ma che conserva ancora un affresco dov’è raffigurato anche il signore del luogo, Francesco VIII Caetani.
È infatti un castrum della blasonata famiglia, Bassiano. I signori, gli stessi che fecero bella Sermoneta e a valle crearono il giardino di Ninfa, si rifugiarono qui, nel Medioevo, per sfuggire la palude nella piana. Bonifacio Caetani, soprattutto, volle curarsi tra i boschi di faggi, lecci e querce a seicento metri sul livello del mare, aria buona che ora stagiona al meglio i prosciutti, vanto del paese. Ecco allora l’impianto medievale di Bassiano, fiorente nel XII secolo. Tutt’intorno alle case i duchi fecero costruire una cinta di mura ritmata da torri semicilindriche. Case-torri, le chiamano. Ancora ben conservate, danno l’impronta al centro storico. Tranne l’ultima, quella in cima al paese, appunto sopra la chiesa di Sant’Erasmo. Resta solo il basamento, circolare, e dà la forma alla piazza della Torre Civica, che assembla vasi di fiori sulle antiche pietre.
Ma la vecchina ha altro da mostrare, fiera, al visitatore. Un balconcino di fine ferro battuto, all’angolo di un austero palazzo rinascimentale. È la casa di Aldo Manuzio, il celeberrimo stampatore, nato qui nel 1449. …Propter bonorum librorum copiam. Quibus (ut speramus) fugabitur tandem omnis barbaries è il suo umanistico messaggio scritto all’entrata. Bassiano ne celebra a partire da febbraio i cinquecento anni dalla morte (con convegni, letture, un concorso per illustratori), avvenuta a Venezia nel 1515. E rilancia questo suo figlio prodigioso, che inventò praticamente il libro come lo intendiamo oggi. Aldo lasciò presto Bassiano. Roma la prima meta, a studiare latino. Poi Ferrara, dove perfezionò a tal punto il greco da parlarlo in casa. Divenne amico di Pico della Mirandola, che ne fece il precettore dei due nipoti, principi di Carpi. Uno di loro finanziò le prime prove di stampatore di Manuzio. Nel 1490 si stabilì a Venezia e prese a pubblicare opere di letteratura e filosofia greca e latina. Cominciò con i cinque volumi delle opere di Aristotele e via via che gli anni passavano i tomi divenivano sempre più preziosi e innovativi. Le edizioni di Aldo, Aldine appunto, erano preziose e maneggevoli. Manuzio introdusse il formato in ottavo, quasi tascabile, un passo avanti rispetto agli incunaboli. Sistemò definitivamente la punteggiatura, peraltro introducendo il punto a virgola. Volle le pagine numerate e i cataloghi, che permettevano la rassegna delle opere pubblicate. Tanto preziosi, i suoi libri, da essere ancora considerati dai bibliofili come veri e propri tesori. Perché a muovere l’umanista di Bassiano – il cui motto fu festina lente (affrettati con calma) – non era tanto il desiderio di guadagno ma quello di preservare dall’oblio la letteratura e la filosofia greca e latina.
Oggi il paese, memore di cotanto figlio, ha apprestato una bella biblioteca civica intitolata all’avo stampatore. E il legame di Manuzio con il greco ha origine probabilmente dalla vicina Abbazia di Valvisciolo, situata più a valle di Bassiano e fondata nell’VIII secolo da monaci greci per essere ricostruita nel 1240 dai Cavalieri dell’Ordine del Tempio. Eppure tanto scrigno di cultura non ebbe vita facile. Da Bassiano non si vede la pianura pontina, come negli altri borghi sui Lepini – Cori, Norma, Sermoneta. Perché è arretrato tra i contrafforti del Semprevisa, quasi nascosto dietro una gola stretta. Gli scorci del mare si colgono a una curva: ma è quello più lontano verso sud, dove i monti Ausoni s’impongono su Terracina e Fondi. In questo luogo appartato nel X secolo si rifugiarono agricoltori e contadini per sfuggire i barbari. A meno che le origini di Bassiano (o Vassiano, nel dialetto) non risalgano addirittura a Caracalla, che si dice edificasse la Torre di Acquapuzza, monito per le paludi sottostanti. Il braccio di ferro con terreni putridi e malsani portò qui, in alto, anche i più rigorosi osservanti della regola di San Francesco, nonché appunto monaci greci. I fraticelli facevano penitenza nella Grotta di Selva Scura, tre chilometri fuori le mura di Bassiano, dove c’è il Santuario del Crocifisso. Gli altri fondarono la Chiesa di San Nicola mentre ai Benedettini si deve quella di Santa Maria. Peccato che siano chiuse, come avverte sbrigativa la vecchietta-vestale di piazza 25 luglio. Ma a lei basta quel balconcino in ferro battuto da dove, le dicono da sempre, si affacciava ragazzetto il dotto e intrepido Aldo Manuzio.