Grande concerto a Milano
La musica scura
Al Blue Note è tornata Joyce Moreno. La grande artista brasiliana ha riscaldato la nostalgia dei classici: e il pubblico - come sempre - è stato tutto per lei
Per l’appassionato di musica jazz di passaggio a Milano, una visita al Blue Note è d’obbligo. Una volta si andava al Capolinea; ci s’andava in tram con il 19, seguendo attraverso il finestrino lo scorrere del Naviglio. Il Blue Note si trova in via Borsieri, in quel quartiere chiamato Isola dove salgono alti dei nuovi grattacieli e dove il tram – in questo caso è il 33 – fa il suo giro intorno a piazza Lagosta per tornare indietro. È l’unico Blue Note in Italia e ha una programmazione continua, esclusa l’estate.
L’altra sera si esibiva l’artista brasiliana Joyce Moreno con la sua Band. In giro tra Europa e Giappone, la compositrice, cantante e chitarrista ha subito fatta sua l’atmosfera da club, con i tavoli messi in cerchio e il viavai dei camerieri lesti nel servire vini, carni e cocktail.
Parlando un po’ in italiano un po’ in portoghese ha dato al pubblico le coordinate generali del concerto, dicendo che avrebbe eseguito alcuni dei brani che ascoltava quando aveva quindici anni. Bossanova, soprattutto: quel misto di saudade, ritmo, jazz e sensualità vocale che stregò il mondo in quegli anni e che ebbe in Antonio Carlos Jobim il suo astro intramontabile.
Ed è proprio con Desafinado che Moreno ha aperto le danze, mettendo subito in rilievo la sua capacità di stare vicino alla canzone da noi conosciuta, ma anche allontanandosene facendola propria, spostando di quel tanto che basta gli accenti, frantumandola in stop e unisono improvvisi e ben dosati. D’altronde la versatilità del repertorio brasiliano è grande e può far pensare a quello che i jazzisti riescono a tirar fuori dalle canzoni napoletane.
Dietro la cantante-chitarrista erano schierati il pianoforte di Helio Alves, il basso di Rodolfo Stroeter e la batteria di Tutty Moreno; un trio classico, dunque, al quale si aggiungevano i sapienti e precisi accordi chitarristici della leader, i cui ricordi musicali accompagnavano il pubblico in un viaggio a tappe con le canzoni di Caetano Veloso e i ritmi afrosamba di Buden Powell, tutti inclusi in Raiz, il suo nuovo cd.
E dalle radici si è via via risaliti al tronco e alle fronde, lasciandosi andare a un set ipnotico e vibrante senza più soluzioni di continuità, punteggiato dagli assolo del pianoforte e dal battito dei piedi di ognuno di noi. L’atmosfera della sala si è andata riscaldandosi, ma senza mai arrivare all’incandescenza. La voce di Moreno ha tonalità scure, ma sembra che l’artista non voglia spingerla oltre certi confini ben precisi. E i suoi musicisti sono soprattutto bravi e professionali. Ma quel quid in più di sensualità che la bossanova chiama a sé lo si sfiora e lo si lascia forse per la prossima occasione.
Dunque c’è il tempo per un bis, ma non di più. E si è subito fuori nella notte milanese, con lo sferragliare dei tram che si allontanano e si avvicinano. E con il desiderio di un altro buon bicchiere di vino da far scendere nello stomaco prima di mettere la testa sul cuscino.