A proposito della "lettera a un amico islamico"
Basta con gli esami!
La responsabilità penale è personale: questo è un nostro pilastro. La fede non c'entra, non c'entra la nazionalità di origine e neppure quella finale. Un'opinione dopo l'attacco a Charlie Hebdo
Caro Nicola, il tuo messaggio al “caro amico islamico” (clicca qui per leggerlo, ndr) mi ha fatto un po’ pensare. E qualche pensiero vorrei condividerlo con te, perdonami se sarò un po’ critica. Innanzitutto il destinatario. Chi è l’amico islamico? Da tutto il tuo testo si deduce che è un immigrato che si è inserito nella società, lavora o cerca lavoro, si ritrova nelle moschee ufficiali o clandestine delle nostre città, che sono così aperte alle diversità da rendere complicato praticare una fede che non sia cattolica.
Eppure i terroristi francesi erano francesi, vissuti in Francia, andati nelle scuole francesi. Terroristi come quelli delle Brigate rosse. Che invece del comunismo tutto e subito vogliano il regno dell’islam tutto e subito è solo una differenza di obiettivi: una lezione di educazione civica non gliel’avresti fatta ai Curcio e ai Moretti. Unica differenza, i terroristi islamici sono seconde generazioni: quelle di cui noi non ci curiamo affatto, nonostante comincino ad esserci anche qui, i compagni di scuola delle mie figlie, per capirsi. Come le mie figlie occupazione zero, grande apertura verso il mondo e risposte pochine.
I nostri terroristi erano una minoranza, lo sono anche questi. Una minoranza i guerrieri dell’islam francesi, una minoranza spesso anche nei paesi arabi: persino Boko Haram deve macellare la popolazione per raggiungere i suoi tremendi obiettivi.
Certo, Charlie Hebdo e la scia di sangue di questi giorni ci muove di più, poteva succedere a noi, Boko Haram è lontano. Sono andata anche io in piazza Farnese, qualcosa bisogna pur fare, ma non sono Charlie né Hamed, un altro francese ucciso da un francese che non sarà la mia bandiera solo perché di origine araba. Il mio orrore per la morte del mio amato Wolinsky, di Hamed che non conosco, degli ebrei, persino dei terroristi è uguale. La pena di morte, la morte giusta, non esiste.
Restiamo umani. Noi non siamo in guerra, non è giusto scendere al livello dei nemici, fare il tifo per i mitra impugnati dalle mani giuste. Ma guardiamo anche con occhi sgombri con chi stare. Io sono agnostica, nemmeno laica. Un credente mi è lontano, ma lo rispetto. Rispetto ugualmente l’ebreo e l’islamico, il buddista e il cattolico: mi batterò sempre contro la religione, qualunque religione, nello Stato, ingerenza soft o meno. Per questo mi suona male, malissimo, la presenza di Erdogan alla marcia parigina. Non era l’unico capo di stato discutibile, a cui non si dovrebbe far rappresentare la libertà di stampa, ma la sua presenza è davvero stridente.
Hai ragione, la presenza dei migranti nel nostro mondo è colpa nostra, della colonizzazione. Molti sono profughi, o richiedenti asilo. Cosa cosa c’entrano loro con i fatti francesi? Certo, anche a loro va chiesta la reciprocità ma lo sanno, non temere: il loro colore, la loro lingua spesso li fa oggetto di soprusi (e sì, a volte anche delle forze dell’ordine) e a loro è richiesto un comportamento che a volte non abbiamo il coraggio di chiedere ai nostri figli. Sarebe bello che cogliessimo l’occasione della loro presenza per esercitare la reciprocità anche all’inverso: che ne sappiamo in Italia della resistenza e della lotta per la lingua in Bangladesh? Quanti tra noi sanno chi è Sekou Touré?
È l’incontro che ci fa umani, non solo la conoscenza: e l’arroccarsi, elevare barriere, non serve. Ridicolo è il dibattito sulla questione di Schengen, come se passaporti e permessi di soggiorno potessero isolarci dal pericolo. Il pericolo va guardato con occhi sgombri, lucidi: il rischio non si può abolire, come non si può abolire la morte, bisogna farci i conti.
Scusami se ti sommergo di considerazioni che non ti riguardano direttamente e che non ci sono nel tuo testo: ma proprio nel rischio pensare è obbligatorio, per trovare vie di uscita. Nel tuo scritto non c’è nulla con cui io sia in disaccordo, se non il tono. Se non, anche, l’esame del sangue: noi che l’abbiamo subito, sappiamo che non si trattò solo di un’analisi teorica. Venne meno larga parte di agibilità politica, ed è questo che ai brigatisti, che non lo capirono o non se ne curarono, non riesco a personare. I loro atti furono il miglior biglietto di favore per le televisioni di un signore che esige ora proprio l’agibilità politica dopo una condanna infamante. E in barba alla reciprocità, gliela concederemo ancora, vedrai.
Ma come ho rifiutato l’esame del sangue ai compagni ebrei rispetto alle questioni palestinesi, rifiuto l’esame del sangue agli islamici rispetto al terrorismo che si rifà a quella religione. Come rifiuto di essere condannata da un ipotetico tribunale che esamini le responsabilità del mondo occidentale, che pure ne ha immense.
La responsabilità penale è personale, questo è un nostro pilastro. La fede non c’entra, non c’entra la nazionalità di origine e neppure quella finale. C’entra la paura, forse, davanti all’orrore: ma, anche davanti alla paura, bisogna restare umani. Oggi e sempre.