Regali di Natale
Orrore & Progresso
Dopo il riavvicinamento tra Usa e Cuba diventa doveroso rileggere la storia del colonialismo occidentale. E per farlo, non si può evitare di partire da Conrad. E dal suo "Cuore di tenebra”
Alcuni giorni fa, Barack Obama, annunciando la ripresa delle relazioni diplomatiche e commerciali tra Stati Uniti e Cuba, dopo più di cinquant’anni di silenzio, ha affermato che se non si può cambiare il corso della storia e cancellare l’orrore del colonialismo, è arrivato però il momento di lasciarselo alle spalle. Ma per mettere in soffitta un fardello così pesante bisogna conoscere cosa è stato, il colonialismo. C’è un libro che come nessun altro rappresenta la «coscienza infelice» dell’Occidente a proposito delle imprese coloniali perpetrate soprattutto ai danni dei neri africani: Cuore di tenebra di Joseph Conrad. Le 208 pagine di questo capolavoro (ripubblicato quest’anno da Einaudi al prezzo modico di 12,50), un viaggio iniziatico dell’autore, dopo più di 120 anni dalla sua impresa in Congo rappresentano ancora oggi il simbolo della modernità e postmodernità occidentali. Infatti, da un lato sono la rivelazione delle sanguinose imprese coloniali con le conseguenze che tutti oggigiorno esperiamo, ma dall’altro anche quella di uno stato primordiale della coscienza che porterà Marlow, il protagonista, alla conoscenza del proprio sé. E per estensione a quella di tutti noi.
Non è un caso che negli stessi anni esce L’interpretazione dei sogni di Sigmund Freud. E i due non si conoscevano: ma evidentemente le idee in certi periodi storici circolano e si diffondono. «Viaggiavamo nella notte delle età primeve» dice Marlow. E più avanti: «Mi sembrava di sforzarmi di raccontarvi un sogno, sforzo vano, perché nessun racconto di sogni potrebbe descrivere quel misto di assurdo, di sorpresa e di smarrimento e quella sensazione di essere catturato dall’invisibile che è la vera essenza dei sogni». La tenebra, l’ignoto, l’orrore che possono derivare ad ognuno di noi dal dover affrontare parti oscure che abbiamo dentro e non sappiamo di avere, rappresentano l’incipit di questo romanzo. «The horror, the horror», le ultime parole che Kurtz, un mercante di avorio, pronuncia prima di morire sono proprio il risultato dell’aver dimenticato qualcosa che riemerge nel momento supremo della vita di ognuno di noi: quando si deve affrontare la morte. Sono le stesse parole che il Kurtz di Francis Ford Coppola, il Marlon Brando di Apocalypse Now, film capolavoro sulla guerra americana in Vietnam, liberamente ispirato al romanzo di Conrad, ci lancia addosso come una pietra in un urlo soffocato e disperato di dolore dopo essere stato ferito a morte da Willard (un alter ego di Marlow), il tenente americano incaricato di ucciderlo. Un orrore che rivela un’anima nera, in molti sensi, anche in quello della considerazione negativa del colore della pelle, da parte di noi occidentali.
Si pensi all’evocazione delle paure primordiali nei bambini con l’immagine dell’ “uomo nero”. Cuore di tenebra è una storia di spoliazione, di depredamenti, di violenze inaudite nei confronti delle popolazioni indigene. «La conquista della terra – scrive Conrad – che più che altro significa toglierla a chi ha un diverso colore della pelle e il naso un po’ più schiacciato del nostro, non è una bella cosa a guardarla, a guardarla bene». E poi, più avanti, parlando dei suoi colleghi: «I loro discorsi comunque erano discorsi di sordidi pirati, avventati senza ardimento, avidi senza audacia e crudeli senza coraggio». In poche parole viene definita l’essenza del colonialismo e del falso mito del progresso, così in auge ai tempi di Conrad, un mito che poggiava sulla credenza che la conquista e l’espansione ne fossero l’essenza e che la frenesia di arricchimento, che può contaminare anche i paesi emergenti, portasse benessere a tutta l’umanità . Invece ci sono state solo distruzione, violenza cancellamento di realtà altre: questo è stato il colonialismo di cui ancora oggi si vedono le conseguenze sia sul piano culturale che ambientale. La critica di Conrad all’imperialismo britannico, una critica ante litteram è ancora attuale ed è tutta racchiusa in quella parola «the horror, the horror».
Infine una nota più leggera, ma, a mio avviso, altrettanto importante. Conrad, un polacco divenuto a 29 anni cittadino britannico, impara la lingua inglese solo a 21 anni e scrive il suo prodigioso romanzo in una lingua che non è quella materna. Ed esso diviene, altro evento straordinario, il simbolo della cultura anglosassone e una denuncia del colonialismo di tutto l’Occidente: anche su questo culturalmente e politicamente occorrerebbe riflettere.