Nicola Fano
Regali di Natale

Natale è faticoso

Una festa più da raccontare che da vivere: è il senso di una raccolta di racconti natalizi curata da Renato Minore con uno scritto di Paolo di Paolo, Paolo Febbraro, Oliviero La Stella, Dacia Maraini, Renzo Paris, Antonio Pascale, Romana Petri, Aurelio Picca e Claudio Volpe

Da grandi, il Natale è faticoso. Figli da sorprendere, coniugi da accontentare (tanto più se si è separati), genitori da accudire, nipoti da ritrovare. E i regali, il fritto vegetale, il sugo al tonno, il cappone, i tortellini, la cassoela; il presepio, l’albero, i festoni, la passeggiata in centro, i messaggi di auguri. Qualcosa si dimentica sempre. Ma anche per i bambini è una festa a due facce: una ricorrenza sostenuta da attese febbrili e pervasa di meraviglie (spesso inespresse) che passano troppo in fretta. Fa scuola la filosofia shakespeariana: «Tutte le cose del mondo sono perseguite con più zelo che non vissute» (Il mercante di Venezia). E ci si chiede: ne valeva la pena? Il Natale non è solo faticoso: è anche una festa che vive di ricordi e nei ricordi.

Natale sotto il CupoloneLa conferma potete averla leggendo i racconti che compongono un bel libretto curato da Renato Minore e pubblicato da Interlinea (Natale cotto il Cupolone, 90 pagine, 12 euro). Una manciata di scrittori romani (soprattutto d’adozione: Paolo di Paolo, Paolo Febbraro, Oliviero La Stella, Dacia Maraini, Renzo Paris, Antonio Pascale, Romana Petri, Aurelio Picca, Claudio Volpe) racconta il Natale sotto il segno di Raffaele La Capria, che con un suo scritto chiude il volume e chiosa – appunto – sulle fatiche natalizie. Perché poi, quel che colpisce in queste pagine è che gli autori – salvo i pochi casi che vedremo – hanno scelto la strada della memoria personale. Sia pure in forma obliqua, con una forte valenza narrativa (come fanno Paolo di Paolo immaginandosi immaginare un antico Natale di Goethe a Roma e Oliviero La Stella che ricama un probabile ricordo con il sogno di un Natale solitario, passato a mangiare tartine alle uova di lompo!). Ci sono elegie private (Romana Petri che ripensa al Natale in cui i suoi genitori si tradirono circa l’esistenza di Babbo Natale o Renzo Paris che ricorda un Natale dedicato allo studio di Elsa Morante), ci sono memorie visionarie (Aurelio Picca) e solo quattro racconti propriamente detti. Ossia invenzioni nude e crude. Si tratta di: una festività ottocentesca e povera ricostruita da Dacia Maraini; una trasfigurazione del più tipico auspicio natalizio («L’anno prossimo sarò più buono») di Claudio Volpe; l’affresco di una Roma affogata d’odio dove il benessere altrui frutta solo invidia e violenza (Paolo Febbraro) e infine un breve racconto di bontà tradita dove un teppista-tipo viene celebrato come un eroe prima che faccia il passo definitivo nella criminalità organizzata (Antonio Pascale).

E il senso del Natale? Più che un’occasione, il Natale è un equivoco: ci si aspetta qualcosa che non arriva. Proprio come il teppista di Pascale che sembra ravveduto e invece sta solo studiando da protettore di puttane nella Roma di quelli che una volta erano i quartieri alti. Ed ecco un’altra contraddizione: le memorie personali poggiano su una Roma a misura d’uomo (a misura di ricordo gaio) mentre le storie d’oggi trasudano i segni di una città incattivita, senza più tessuto sociale, senza solidarietà. Ecco il senso di questo prezioso libriccino: meglio vivere per ricordare, oramai. È questa la nostra sconfitta.

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