Regalo di Natale
Il mandarino inglese
Regalatevi la storia Edmund Trelawny Backhouse (raccontata da Hugh Trevor-Roper): ignorante in patria ma celebrato nella Cina dell'Ottocento. Una vita tra realtà e leggenda
Confesso di essere invidioso. Perché la vita di sir Edmund Trelawny Backhouse, baronetto, è quella che avrei voluto vivere io. Siamo alla fine del XIX secolo, e il nostro eroe – che non ha brillato negli studi nella Perfida Albione e non è riuscito a mantenere il dignitoso impiego che il padre quacchero gli ha procurato – decide di emigrare (ancorché spinto da un lavoro) in Cina. È la Cina a cavallo fra Impero e Repubblica (di Sun Yat-sen, non quella terribile di Chiang Kai-shek), fra oppio e modernizzazione, ancora retta dall’Imperatrice vedova Cixi – nota come il “Grande Buddha” – ma in procinto di cambiare per sempre.
Qui il nostro eroe si inserisce alla perfezione. Collabora con i giornali anglofoni, padroneggia il mandarino al punto da dare lezioni agli stranieri, si forma una reputazione brillante di letterato e di straniero inserito nella Corte. Vive bene, anche se nella corrispondenza con casa lamenta poco denaro, e diviene piano piano il fulcro della comunità internazionale a Pechino. Frequenta funzionari imperiali e grand commis delle potenze occidentali che stanno penetrando in Asia, si offre (o viene cooptato) come mediatore in grandi affari commerciali, sviluppa una passione sfrenata per l’arte cinese.
Scrive insieme al giornalista JOB Bland un’opera monumentale (mai tradotta in italiano), ovvero China Under the Empress Dowager, la «Cina sotto l’imperatrice vedova», basata sui diari di un Grande Eunuco di Corte. Questo diviene un bestseller internazionale, in un mondo ancora assetato di conoscenza e che non vedeva l’ora di infiltrarsi nelle mura della Città Proibita, e catapulta sir Edmund al primo posto nell’Olimpo dei sinologi. Scrive una seconda opera, Decadenza Manciù, ma di questo è meglio non parlare qui.
Il successo è totale e quasi incondizionato. A parte qualche scaramuccia con gli altri contendenti al titolo di «primo sinologo al mondo», Backhouse ottiene tutto ciò che vuole. Al punto che potrà permettersi di trascorrere gli ultimi anni della sua vita in disparte, con una ieratica barba bianca e vestito in seta proprio come un mandarino di rango. Al punto da essere noto come «L’Eremita di Pechino».
E proprio così si intitola (in italiano) il libro che gli ha dedicato Hugh Trevor-Roper, grande storico inglese, nell’edizione di Adelphi apparsa per la prima volta nel 1976. Se in qualche modo gli argomenti sovraesposti vi interessano, andate a cercarlo ma sappiate che ne rimarrete attaccati anche a costo di far scuocere i tortellini del cenone. Perché tutto quello che vi ho detto sopra, tutto quello che il mondo ha creduto di sir Edmund, non è del tutto vero. E non è del tutto falso. Una lettura che, con il rigore della storiografia, è appassionante come un giallo (detto da uno che i gialli li odia). E che racconta un mondo che – ahimè – non esiste proprio più.